Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26245 del 22/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26245 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 17794-2010 proposto da:
I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA
2013

LUIGI, ROMEO LUCIANA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2895

contro

ARIGLIANO COSIMO;
– intimato –

Data pubblicazione: 22/11/2013

avverso la sentenza n. 744/2010 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositata il 22/03/2010 R.G.N. 1944/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/10/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;

PECCERELLA LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udito l’Avvocato OTTOLINI MARIA TERESA per delega LA

r.g. n. 17794/10
udienza del 16.10.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Cosimo Arigliano ha chiesto al Tribunale di Brindisi che fosse accertata l’origine professionale
della malattia (broncopatia cronica ostruttiva) denunciata in data 26.7.1999, con la conseguente

l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.
Il Tribunale ha rigettato la domanda con sentenza che è stata riformata dalla Corte d’appello di
Lecce, che, previa rinnovazione delle indagini peritali, ha accertato il diritto del ricorrente alla
corresponsione dell’indennizzo per danno biologico da malattia professionale (di cui all’art. 13 del
d.lgs. n. 38 del 2000) nella misura del 15%, a decorrere dal 1.1.2004, condannando l’Inail al
pagamento di detta prestazione, oltre ad accessori di legge.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’Inail affidandosi ad un unico motivo di
ricorso, illustrato anche con memoria.
L’intimato non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo si denuncia violazione dell’art. 13, n. 2, d.lgs. n. 38/2000 e del d.m. di
approvazione delle tabelle delle menomazioni pubblicato il 25.7.2000, nonché dell’art. 74 del d.P.R.
n. 1124/65, argomentando sulla inapplicabilità della disciplina stabilita dal d.lgs. n. 38/2000 cit. alle
malattie professionali denunciate, come nel caso in esame, in data antecedente al 25.7.2000 (nella
specie, si tratta di una malattia professionale denunciata in data 26.7.1999), alle quali, si sostiene,
continua invece ad applicarsi la disciplina stabilita dall’art. 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965.
2.- Il ricorso deve ritenersi fondato alla stregua dei principi stabiliti da questa Corte (cfr.

ex

plurimis Cass. n. 9956/2011, Cass. n. 17089/2010, Cass. n. 12613/2008) secondo cui “in tema di
infortuni sul lavoro e malattie professionali, il nuovo regime introdotto dall’art. 13 del d.lgs. n. 38
del 2000 al fine del riconoscimento dell’indennizzo in capitale del danno biologico per
menomazioni superiori al 6 per cento sino al 16 per cento subito dal lavoratore si applica
unicamente per i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e malattie professionali verificatisi o
denunciati successivamente all’entrata in vigore del d.m. 12 luglio 2000, recante le tabelle
valutative del danno biologico. Ne consegue che, in caso di malattia (od infortunio) denunciata

condanna dell’Inail alla corresponsione delle prestazioni previste dal Testo unico per

dall’interessato prima del 9 agosto 2000, essa deve essere valutata in termini di incidenza
sull’attitudine al lavoro del richiedente, ai sensi dell’art. 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965, e può dar
luogo a rendita per inabilità permanente solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura
superiore al 10 per cento”.
3.- E’ stato precisato, infatti, che il d.lgs. n. 38 del 2000, con l’art. 13, ha introdotto un nuovo
sistema di liquidazione del danno conseguente agli infortuni e alle malattie professionali,
prevedendo per la prima volta la liquidazione del danno biologico (indipendentemente, quindi, da

capitale, in caso di menomazioni di grado pari al 6% e inferiore al 16% e mediante una rendita, per
le menomazioni di grado superiore -, aggiungendo in quest’ultimo caso una ulteriore quota di
rendita per le conseguenze patrimoniali, commisurata al grado di menomazione, ala retribuzione
dell’assicurato e sulla base di una apposita tabella dei coefficienti.
In precedenza, la disciplina relativa alla materia degli infortuni sul lavoro e sulle malattie
professionali, stabilita dal d.P.R. n. 1124 del 1965, prevedeva invece un indennizzo dei postumi
permanente rappresentati da un riduzione della capacità lavorativa del dipendente oltre la soglia del
10%, secondo quanto stabilito dall’art. 74 del decreto presidenziale citato, superata anche solo in
caso di aggravamento successivo dipendente dal medesimo infortunio o malattia professionale (art.
83, comma 8, del d.P.R. n. 1124/1965).
Tale diversità di disciplina giustifica la disposizione di cui all’art. 13 della legge n. 38/2000,
secondo cui il nuovo sistema è applicabile unicamente per “i danni conseguenti ad infortuni sul
lavoro verificatisi, nonché a malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di entrata in
vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3” (poi emanato il 12 luglio 2000), laddove le
espressioni adoperate dalla legge (“verificatisi” e “denunciate”) si riferiscono chiaramente agli
infortuni e alle malattie professionali, che sono oggetto della denuncia di cui agli artt. 52 e 53 del
d.P.R. n. 1124 del 1965, e non ai danni che superino la soglia indicata dalla legge e che sono
accertabili unicamente a posteriori, anche quanto alla decorrenza degli stessi.
Poiché nel caso in esame la malattia professionale, del cui aggravamento si trattava, era stata
originariamente denunciata in data 26.7.1999, i relativi postumi permanenti andavano valutati in
termini di incidenza sull’attitudine al lavoro (e in tale ottica – come si desume anche dalla narrativa
contenuta nel ricorso dell’Inail – erano stati considerati dall’originaria domanda dell’assicurato e dal
successivo atto di appello) e avrebbero potuto dar luogo ad una rendita per inabilità permanente
solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura superiore al 10% (come era stato richiesto
dall’interessato con il ricorso introduttivo).

2

una riduzione della capacità di produzione di un reddito da parte del lavoratore colpito) — in

4.- In base alle considerazioni svolte, il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza
impugnata va cassata, con rinvio della causa ad altro giudice, che si designa nella Corte d’appello di
Lecce, in diversa composizione, il quale si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e regolerà
anche le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 ottobre 2013.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese alla

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