Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26245 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1882-2018 proposto da:

M.E.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GRAZIA PULVIRENTI;

– ricorrente –

Contro

COMUNE DI GIARRE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2220/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 01/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.C. convenne in giudizio il Comune di Giarre davanti al Tribunale di Catania, Sezione distaccata di Giarre, chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto alla voltura del contratto di locazione e assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica a suo tempo assegnato alla defunta I.C., e ciò anche ai fini dell’acquisto dell’alloggio ad un prezzo agevolato.

A sostegno della domanda espose di aver vissuto nell’immobile fin dal 1972 insieme alla I. e a M.D., cognato della stessa, col quale aveva poi contratto matrimonio nel 1978, trasferendo la propria residenza anagrafica nell’immobile in questione. Aggiunse che il M. aveva chiesto la voltura del contratto alla morte della I., ma che era morto a sua volta prima che il contratto venisse stipulato, mentre il Comune aveva avviato nei suoi confronti la procedura di regolarizzazione con un canone superiore a quello fissato dalla legge.

Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale per il pagamento di canoni non corrisposti per il periodo dal 2000 al 2008, pari ad Euro 5.064,12, oltre interessi.

Il Tribunale rigettò la domanda dell’attrice, accolse quella riconvenzionale e condannò la C. al pagamento della somma richiesta dal Comune, compensando le spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dalla C. e la Corte d’appello di Catania, con sentenza del 1 dicembre 2017, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catania ricorre M.E.M.R., in qualità di erede della defunta C.C., con atto affidato a tre motivi.

Il Comune di Giarre non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L.R. Sicilia 22 marzo 1963, n. 26, art. 6, sul rilievo che il termine di conferma della domanda di riscatto da parte dell’assegnatario non sarebbe perentorio.

Osserva la ricorrente che la I. aveva presentato domanda di riscatto dell’alloggio ai sensi della legge citata, che tale domanda era stata confermata da M.D. e, alla morte di questi, da C.C.. L’affermazione secondo cui il termine di trenta giorni è perentorio sarebbe in contrasto con il diritto costituzionalmente riconosciuto alla proprietà di un alloggio, per cui, una volta presentata la domanda da parte dell’assegnatario, sussisterebbe un vero e proprio diritto al subentro (viene richiamata anche la Delib. CIPE 15 marzo 1995). Ai fini del subentro non dovrebbero valere le risultanze anagrafiche, bensì l’effettiva situazione di stabile convivenza.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 12 e della Delib. CIPE suindicata, art. 7.

Ribadendo una serie di considerazioni già fatte col primo motivo, la ricorrente aggiunge che per la voltura non sarebbe previsto alcun termine e che la C. ed il M. avevano diritto alla voltura siccome conviventi con l’assegnatario alla morte di questi ed inclusi nel suo nucleo familiare.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2719,2730,2734 e 2735 c.c., oltre a omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

La ricorrente contesta la motivazione della sentenza nella parte in cui ha affermato che aveva natura di confessione stragiudiziale la dichiarazione della C., resa ai vigili urbani ed al Sindaco di Giarre, secondo cui ella aveva trasferito la residenza anagrafica nell’alloggio in questione solo nel 1978.

4. Osserva il Collegio che il ricorso è redatto con una tecnica non rispettosa dei criteri di cui all’art. 366 c.p.c. e che si caratterizza, nel suo complesso, per una totale genericità.

4.1. Tanto premesso, il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha rigettato la domanda per la semplice ragione che M.D., coniuge della C. e suo preteso dante causa, non era affatto assegnatario dell’alloggio; per cui ogni discussione sulla perentorietà o meno del termine di cui alla L.R. Sicilia 22 marzo 1963, n. 26, art. 6 è evidentemente fuor di luogo (e comunque, è da confermare il principio già espresso dalla sentenza 5 novembre 1992, n. 11976, di questa Corte, secondo cui tale termine è perentorio).

La doglianza, inoltre, non rispetta la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in relazione alla presunta sussistenza di una voltura in favore del M. – alla quale la C. avrebbe potuto riallacciare la propria domanda di subentro – posto che nulla viene detto in ordine alla documentazione di supporto ed alla sua reperibilità nel fascicolo relativo al giudizio odierno (v. ricorso a p. 11).

4.2. Il secondo motivo, in certa misura ripetitivo del primo, è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), poichè richiama una serie di documenti senza dire se, dove e come siano stati messi a disposizione di questa Corte. E a ciò occorre aggiungere che è la stessa ricorrente a confermare l’esattezza della sentenza impugnata là dove essa ha affermato che la C. trasferì la residenza nell’immobile in questione solo nel 1978, cioè tre anni dopo il decesso dell’assegnataria I..

4.3. Il terzo motivo – che potrebbe anche considerarsi assorbito dalla inammissibilità dei precedenti – è inammissibile per difetto di rilevanza, posto che la contestazione riguarda soltanto una delle argomentazioni utilizzate dalla Corte d’appello, per cui la sentenza in esame resisterebbe ugualmente alle censure proposte, anche in caso di ipotetico accoglimento del motivo in esame.

5. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

Pur sussistendo le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso: tale obbligo non sussiste, poichè la ricorrente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Catania in data 19 dicembre 2017.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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