Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26244 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. I, 18/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12162/2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Lufrano,

per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 12;

– intimato –

avverso il decreto n. 3601/2019 del Tribunale di Ancona, Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, depositato

il 16/03/2019.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia,

nella Camera di consiglio del 13/10/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato l’impugnazione proposta da S.M. avverso la decisione della competente Commissione territoriale di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il tribunale ha ritenuto la insussistenza dei presupposti di riconoscimento di ogni forma di protezione in quanto le vicende narrate erano “confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di miglioramento sociale”.

S.M. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare alla discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente – originario del Senegal, della regione del Casamance – che nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver abbandonato il proprio Paese per garantirsi un futuro diverso da quello che avrebbe potuto avere nel villaggio di origine dove egli, amante dello studio, allontanatosi da casa, per raggiungere un’altra città del Senegal, vi era stato riportato dal padre che lo costringeva a lavorare nei campi – fa valere, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, per avere ritenuto le dichiarazioni rese dal ricorrente restano “confinate nei limiti di una vicenda privata”.

Il motivo è inammissibile per genericità.

Il ricorrente dopo aver dedotto che ai fini della protezione internazionale è indifferente la natura pubblica o privata della vicenda narrata dal richiedente e che il giudice è tenuto a verificare, ove gli agenti della persecuzione o del danno grave (D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6) abbiano natura privata, se lo Stato sia in grado di proteggerei propri cittadini da quegli atti persecutori o di danno grave adottando misure per impedirli attraverso un sistema giuridico effettivo che permetta di perseguirli e punirli penalmente, non deduce poi, mancando così al proprio onere di allegazione, circa la individuazione nelle condotte narrate degli estremi di un “danno grave” ascrivibile alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), la cui applicabilità, per l’effetto, risulta solo assertivamente invocata.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per avere il tribunale escluso l’esistenza nel Paese di provenienza di una situazione di violenza indiscussa e incontrollata.

I giudici del merito avevano erroneamente ritenuto l’insussistenza di una minaccia grave ed individuale derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, apprezzando la necessità dell’esistenza di un rischio individualizzato in violazione del principio di non refoulement per il quale il richiedente non poteva essere respinto.

Il motivo è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

Il ricorrente non si confronta infatti con la motivazione impugnata nella parte in cui il tribunale nel distinguere tra le ipotesi relative alla invocata protezione sussidiaria e rispettivamente descritte alle lettere a) e b) e, quindi, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), conclude quanto a quest’ultima che la “sola presenza di civili nell’area in questione – il Senegal la cui situazione è scrutinata sub par. 5, p. 2 – non costituisce un pericolo per la vita e la loro incolumità in ragione di quanto esaminato al paragrafo corrispondente” (p. 7).

Il ricorrente contrappone poi alle fonti ufficiali scrutinate nel decreto impugnato per escludere una situazione di pericolo indiscriminato (Report EASO pubblicato il 22 marzo 2017; Report pubblicato sul sito Refworld del 23 maggio 2017 a cura dell’International Committee of the Red Cross e del 2017 di Minority Rights Group International; Report del Ministero dell’Interno Commissione Nazionale, Unità COI pubblicato il 30 ottobre 2017; Report Freedom House relativo al 2016; Human Rights and Labor Country Reports del 20 aprile 2018) ulteriori fonti (Report della Commissione Nazionale per il diritto di asilo Ara II – Unità COI del 2018; United Dates Department of State 2016 Country Reports on Human Rights Practices del 3 marzo 2017) che non danno conto dell’oggettivo travisamento delle prime da parte del tribunale ovvero superamento in quanto più aggiornate e decisive fonti qualificate (Cass. 18/02/2020 n. 4037) e si traducono in una mera contrapposizione sconfinante nel merito.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver ritenuto sussistenti condizioni di vulnerabilità del ricorrente in caso di suo rientro in patria. Nella scarsa credibilità dei fatti narrati ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, il tribunale era poi incorso quanto alla regione di provenienza ed alle specifiche situazioni di vulnerabilità in “un deficit istruttorio e di accertamento di fatti” circa il pericolo del richiedente in caso di rimpatrio di essere sottoposto a persecuzioni.

La condizione personale di vulnerabilità del richiedente la Protezione umanitaria ben poteva consistere nella mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza dignitosa in ipotesi di rimpatrio e nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione.

Il motivo è anch’esso inammissibile.

La proposta critica assertivamente riporta una astratta elencazione delle prerogative discendenti dal riconoscimento della protezione umanitaria senza però soffermarsi a dare indicazione degli elementi concreti che, relativi alla vicenda personale, siano espressivi sia di una individuale condizione di vulnerabilità che di una raggiunta integrazione nel Paese ospitante, estremi congiuntamente valutabili nella stima comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine nel raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, richiesta ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Il ricorso è conclusivamente inammissibile.

Nulla sulle spese essendo l’Amministrazione, costituitasi tardivamente al dichiarato fine di partecipare all’eventuale discussione della causa, rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

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