Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26244 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. II, 06/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 06/12/2011), n.26244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 30846/05) proposto da:

B.G., detto G. (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al

ricorso, dagli Avv.ti BOCCARDI MONICA ed Ercole ed elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv. Marina Petronio, in Roma, via

Cola di Rienzo, n. 8;

– ricorrente –

contro

M.G., ((OMISSIS));

– intimato –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 708/2005,

depositata il 21 giugno 2005;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’8

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.G. chiedeva ed otteneva, in data 19 dicembre 1994, dal Presidente del Tribunale di Rimini decreto ingiuntivo per l’importo di L. 40.000.000, oltre accessori, nei confronti di M.G., a titolo di saldo del prezzo di acquisto di ceramiche antiche. Avverso il decreto monitorio proponeva opposizione M.G., invocando la nullità de provvedimento impugnato che indicava come debitore ingiunto il nome di M.G. e, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’ingiungente al risarcimento del danno per l’avvenuta notifica del decreto ingiuntivo per la somma di L. 100.000.000. Il Tribunale adito, con sentenza n. 200 del 2001, rigettava l’opposizione e condannava l’opponente al pagamento delle spese processuali. Interposto appello da parte del M.G., nella costituzione dell’appellato (che formulava anche appello incidentale per la declaratoria di responsabilità del M. ai sensi dell’art. 96 c.p.c., e per l’errata liquidazione delle spese giudiziali), la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 708 del 2005 (depositata il 21 giugno 2005), in parziale accoglimento del gravame, revocava il decreto ingiuntivo; rigettava la domanda formulata dal B.G.; dichiarava tenuto quest’ultimo a restituire a M.G. quanto da lui percetto in esecuzione del revocato decreto ingiuntivo; rigettava l’appello incidentale e dichiarava interamente compensate le spese dell’intero giudizio. A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale rilevava, in linea pregiudiziale, che, in virtù dell’incontestata erroneità nell’individuazione del nome del debitore-ingiunto, il decreto ingiuntivo doveva essere necessariamente revocato e che, in dipendenza della costituzione dell’effettivo debitore, si poteva comunque decidere la causa nel merito a seguito dell’instaurato giudizio di cognizione conseguente alla formulata opposizione. A tal proposito la Corte felsinea riteneva non provata la pretesa creditoria come dedotta in giudizio dal B. e, pertanto, condannava quest’ultimo a restituire al M. quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado.

Avverso detta sentenza (notificata il 29 settembre 2005) ha proposto ricorso per cassazione il B., basato su sette motivi, nei riguardi del quale l’intimato M.G. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c., con riferimento all’art. 342 c.p.c., sul presupposto che la Corte di appello avesse erroneamente qualificato la domanda del M. formulata in sede di opposizione a decreto ingiuntivo come eccezione riconvenzionale tendente a paralizzare la richiesta di condanna formulata dalla controparte, malgrado il giudice di primo grado l’avesse ricondotta alla nozione di azione che non era stata specificamente impugnata.

1.1. La doglianza è infondata perchè, al di là della circostanza che le questioni relative alla qualificazione delle istanze proposte dalle parti non hanno nessuna incidenza ai fini della formazione del giudicato sull’oggetto del giudizio, la Corte territoriale, sulla scorta di un’adeguata valutazione degli atti processuali e tenendo presenti le posizioni sostanziali che le parti ricoprono in conseguenza della proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, ha rilevato che il M., con l’atto ex art. 645 c.p.c., e le sue successive difese formalizzate entro i termini processuali preclusivi, oltre ad insistere sulla nullità del decreto monitorio per sua inidoneità nella identificazione del destinatario, aveva anche contestato, nel merito, la pretesa creditoria dedotta dal B. (di cui aveva lamentato anche l’eccessività) ed aveva formulato domanda riconvenzionale di tipo risarcitorio (peraltro ritenuta infondata) ricondotta alla supposta illegittimità dell’iniziativa monitoria così come esercitata.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 156 e segg., 287, 638 e 125 c.p.c..

In particolare, con tale doglianza, il ricorrente ha inteso confutare la sentenza impugnata nella parte in cui, sulla sola base della erronea indicazione del nominativo del destinatario dell’ingiunzione (riportato come M.G. anzichè come M. G.), si sarebbe dovuta ritenere la nullità del provvedimento monitorio, malgrado non potesse sussistere dubbio alcuno in ordine all’individuazione delle parti e del suddetto destinatario, il quale era ricavabile dal contesto del ricorso, dalla natura del credito, dal cognome, dalla indicata residenza anagrafica e dalle generalità riportate esattamente in sede di notifica indirizzata, appunto, proprio all’opponente.

3. Con il terzo motivo i ricorrente ha prospettato, in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c., facendo rilevare che la Corte di appello era pervenuta alla dichiarazione di revoca del decreto ingiuntivo per motivi diversi da quelli che erano stati dedotti.

3.1. I due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi – sono fondati.

Pur essendo pacifica, nel caso in esame, la difformità del solo nome del debitore nell’indicazione del destinatario dell’opposto decreto ingiuntivo rispetto a quello effettivo, è altrettanto vero che, nella fattispecie, sussistevano plurime circostanze dalle quali evincere la sostanziale irrilevanza di tale errore materiale e l’idoneità, in ogni caso, del provvedimento monitorio al raggiungimento del suo scopo. Infatti, la corretta individuazione dell’effettivo destinatario di detto decreto nella persona di M.G. (e non G.) era desumibile sia in relazione alla ragione del credito esposta nel ricorso, sia con riferimento all’esattezza dell’indirizzo di residenza che in ordine alla rituale notificazione effettuata proprio a M.G. presso la sua effettiva residenza, come, del resto, dal medesimo attestato nella citazione in opposizione. Pertanto, in virtù delle predette risultanze, dei dati anagrafici e degli elementi relativi all’esatta individuazione della residenza e alla regolare notificazione avvenuta proprio nei confronti del soggetto da ritenersi effettivamente ingiunto, non poteva certamente rilevarsi che il provvedimento monitorio era stato destinato (malgrado il riferimento al nome G. anzichè G.) a soggetto estraneo e diverso rispetto a quello inteso come debitore (cfr. Cass. n. 731 del 1981 e Cass. n. 7523 del 1992). Quest’ultimo, oltretutto, nel caso di specie, ha tempestivamente proposto opposizione, riconoscendo di essere la parte contrattualmente contrapposta (e, perciò, passivamente legittimata sul piano sostanziale e processuale) con riferimento al rapporto giuridico dedotto in giudizio, tanto è vero che, oltre al profilo formale di nullità, si è difesa anche nel merito, contestando l’avversa pretesa creditoria (oltre a proporre domanda riconvenzionale risarcitoria), così permettendo al decreto monitorio, ritualmente notificato, di raggiungere il suo scopo e di essere considerato valido sul piano giuridico (senza, perciò, poter essere, per tale specifico motivo, revocato), ai sensi della norma generale prevista dall’art. 156 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 638 dello stesso codice di rito.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per assunta violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 5, artt. 165 e 166 c.p.c., nonchè dell’art. 74 disp. att. c.p.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), oltre che per l’omesso esame di due documenti decisivi, prodotti dallo stesso B. a sostegno delle proprie tesi (avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). In termini più specifici, il ricorrente ha dedotto l’erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui aveva valorizzato le eccezioni del M. (relative alla pretesa di aver pagato prezzi superiori ai valori reali delle ceramiche acquistate) e aveva ritenuto che il B. avesse rivestito la qualità di venditore delle ceramiche contestate, mentre, in realtà, si sarebbe dovuto ritenere l’organizzatore della collezione ed il ricercatore delle ceramiche, sul mercato internazionale. Con tale doglianza, inoltre, il ricorrente ha inteso confutare il passaggio motivazionale della sentenza di appello nella parte in cui aveva ritenuto che la circostanza in virtù della quale lo stesso B. aveva venduto la collezione al M. era emersa dalla lettera de medesimo B. del 19 aprile 1993, la quale, tuttavia, non era stata mai ritualmente prodotta agli atti e, quindi, come tale, non era valutabile sul piano probatorio, senza che, peraltro, la Corte felsinea avesse preso in considerazione altri due documenti decisivi (riconducibili alle lettere del 6 maggio 1993 e 5 ottobre 1994, inviate dal M. al B., allegate alla produzione monitoria), dai quali si sarebbe dovuto evincere che il B. era un organizzatore e non un venditore e che, in ogni caso, il M. aveva riconosciuto di aver acquistato dal B. solo parte delle ceramiche.

4.1. La complessa doglianza è fondata e deve, quindi, essere accolta. Infatti, sulla ricostruzione del rapporto contrattuale intercorso tra le parti, la Corte di appello di Bologna (cfr., in particolare, pag. 15), con motivazione apodittica e, comunque, assolutamente insufficiente, pur assumendo che era in contestazione che si fosse trattato di una vendita, fonda la sua decisione di convincimento sulla sussistenza di detto contratto in base ad una lettera del 19 aprile 1993 (specificamente confutata dal ricorrente) inviata dal B. al M., senza, però, attestarne la ritualità e la tempestività della sua produzione in giudizio e senza, oltretutto, prendere in considerazione altre emergenze istruttorie riconducibili anche ad ulteriori documenti regolarmente allegati agli atti di causa fin dalla fase monitoria del primo grado.

E’, quindi, ravvisabile, nel caso di specie, avuto riguardo anche al criterio del riparto dell’onere probatorio nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. Cass. n. 807 del 1999 e Cass. n. 17371 del 2003), una deficienza motivazionale apprezzabile sia in ordine alla valutabilità (o meno) in ambito probatorio, con riferimento alla preventiva verifica della ritualità della sua acquisizione agli atti del giudizio, della lettera del 19 aprile 1993 (occorrendo necessariamente osservare le formalità prescritte dal combinato disposto degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c.: cfr., tra le tante, Cass. n. 18913 del 2004 e, da ultimo, Cass. n. 5671 del 2010), sia sul piano dell’inadeguatezza e dell’incompletezza dell’esame dell’impianto probatorio complessivamente acquisito e rilevante in funzione della conferente decisione nel merito della controversia.

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e la conseguente nullità della sentenza, nonchè la violazione dell’art. 342 c.p.c., in correlazione con l’art. 163 c.p.c., n. 4, e conseguente nullità dell’appello, avuto riguardo alla mancata indicazione degli elementi presi in considerazione per considerare come eccessivi i valori delle ceramiche oggetto del rapporto contrattuale dedotto in giudizio.

6. Con il sesto motivo il ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione dell’art. 1495 c.c., con riferimento agli artt. 1490 e 1497 c.c., avuto riguardo alla decadenza e prescrizione dell’azione e delle eccezioni del M. e alla ritenuta valutazione dell’addebito di prezzi esagerati come vizio o mancanza di qualità dei beni oggetto della compravendita. Con lo stesso motivo il ricorrente ha prospettato, inoltre, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omesso esame di eccezione dal medesimo proposta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) o per omesso esame di un punto decisivo della controversia indicato dal medesimo B..

7. Con il settimo motivo ha dedotto l’omessa motivazione sul punto decisivo della controversia dallo stesso prospettato (relativo alla valutazione delle ceramiche), con violazione dell’art. 112 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

8. Questi ultimi tre motivi possono essere considerare assorbiti dall’accoglimento degli altri tre (e, in particolare del quarto), poichè è necessario, per la loro cognizione (che rimane, perciò, impregiudicata in sede di rinvio con riguardo ai profili di merito e di legittimità implicati), che siano preventivamente individuate la natura del rapporto intercorso tra le parti e le loro reciproche obbligazioni, che costituirà, invero, l’oggetto dell’indagine alla quale dovrà procedere il giudice di rinvio, che si atterrà a quanto precedentemente evidenziato sia con riferimento alla ritenuta validità del decreto ingiuntivo che alla necessaria rivalutazione, assistita da una logica ed esaustiva motivazione, del complessivo materiale probatorio ritualmente acquisito.

9. In definitiva, quindi, previo rigetto del primo motivo, il ricorso merita accoglimento con riferimento al secondo, terzo e quarto motivo, con conseguente assorbimento degli altri, a cui consegue la cassazione con rinvio della sentenza impugnata (in relazione, appunto, alle doglianze accolte), designandosi, in proposito, altra Sezione della Corte di appello di Bologna, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso; accoglie il secondo, terzo e quarto motivo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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