Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26242 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. I, 18/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8842/2019 proposto da:

U.I., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Briganti,

per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 12;

– resistente –

avverso il decreto n. 1270/2019 del Tribunale di Ancona, Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, depositato

il 31/01/2019.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia,

nella Camera di consiglio del 13/10/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato l’impugnazione proposta da U.I. avverso la decisione della competente Commissione territoriale di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il tribunale ha ritenuto la insussistenza dei presupposti di riconoscimento di ogni forma di protezione.

U.I. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente, originario del Togo – che nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver abbandonato il proprio Paese temendo per la propria incolumità dopo aver subito, all’età di quindici anni, la distruzione di quanto custodito nella propria casa poichè il padre, segretario di un’associazione di produttori di cotone del villaggio in cui il richiedente viveva, era stato accusato dagli altri componenti di aver sottratto denaro dalle casse, raggiungendo l’Italia dopo essere transitato per il Ghana e quindi la Libia dove veniva sequestrato e picchiato tutti i giorni – fa valere la nullità del decreto impugnato per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, comma 11, lett. a) e comma 13, nonchè degli artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si denuncia l’assenza di motivazione, in merito alle ragioni della ritenuta non verosimiglianza delle affermazioni del richiedente, alla luce delle critiche che erano state rivolte alla decisione della commissione territoriale e dei documenti in atti. Tanto sarebbe valso, rispetto al rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, relativamente alle condizioni del paese di origine. Poichè il richiedente aveva riferito di aver abbandonato il proprio paese per le subite minacce alla vita, il tribunale aveva omesso di motivare sui rischi conseguenti al rientro in ragione del contesto del Paese di origine e del sistema istituzionale del Togo, da accertarsi su fonti aggiornate.

La qualificazione operata dai giudici di merito della vicenda narrata come “di vita privata e di miglioramento socio-economico” non avrebbe escluso l’esistenza di persecuzioni che ben avrebbero potuto derivare anche da soggetti non statuali con accertamento da svolgersi sul punto su fonti aggiornate.

Quanto alla protezione umanitaria sarebbe mancata l’effettiva valutazione comparativa (Cass. 4455/2018); il tribunale non aveva valutato criticamente e complessivamente la vicenda narrata dal richiedente in rapporto alle condizioni del paese di origine, alla giovane età, al periodo di prigionia subito in Libia, al percorso di integrazione in Italia.

In mancanza della videoregistrazione del colloquio dinanzi alla Commissione, sarebbe stato necessario l’espletamento del libero interrogatorio del richiedente davanti al tribunale e l’audizione intervenuta in udienza avrebbe dovuto essere effettiva e quindi svolgere la funzione di consentire la valutazione delle dichiarazioni del primo, in tutti i relativi risvolti, anche non verbali, e avrebbe dovuto tenersi dinnanzi al collegio decidente nella medesima composizione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e relativo alle circostanze e alle fonti normative indicate nel primo motivo di ricorso.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost., L. n. 881 del 1977, art. 11,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32, art. 35-bis, comma 11, lett. a), dell’art. 16 della direttiva Europea n. 32 del 2013, degli artt. 2,3 – anche in relazione all’art. 115 c.p.c. -del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6, 7,14, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19.

Il tribunale avrebbe dovuto valutare la credibilità del richiedente D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, in composizione collegiale apprezzando, nella loro globalità, tutte le dichiarazioni rese nel rispetto del principio di collaborazione istruttoria.

Si reiterano le censure indicate nel primo motivo sulla necessità dell’audizione del ricorrente nelle forme di un interrogatorio libero e di apprezzamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione in ragione di fonti aggiornate.

4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 46 della direttiva Europea n. 32 del 2013, nella valorizzata violazione del principio di effettività del ricorso in seguito alla inosservanza del dovere di cooperazione istruttoria.

5. Con il quinto motivo si denuncia la nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 1 e 13 e artt. 737,135 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e dell’art. 111 Cost., comma 6 e, in subordine, omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e in ulteriore subordine violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

Il ricorrente secondo il narrato reso si era fermato in Libia, paese di transito, vivendovi per un apprezzabile lasso di tempo e lavorandovi in modo continuativo ed il tribunale era incorso in una lacuna motivazionale omettendo di esporre le ragioni per le quali aveva escluso un suo effettivo radicamento in Libia e, comunque, in una violazione di legge.

6. I motivi, che si prestano ad un trattazione congiunta perchè connessi e finanche propositivi di critiche a contenuto reiterato, sono infondati.

7. In via preliminare vanno apprezzati i motivi di rilievo processuale.

7.1. Sulla questione in rito relativa all’audizione del richiedente protezione davanti al giudice del merito, recentemente questa Corte di cassazione ha affermato, all’esito di pubblica udienza, il seguente principio di diritto: “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che a domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 18 settembre 2020 n. 21584).

Ribadita l’insussistenza dell’obbligo per il giudice dell’audizione del richiedente, in continuità con Cass. 17717 del 2018, si è valorizzata l’utilità dello svolgimento dell’incombente davanti al giudice a fronte di novità fattuali (nei termini, vd. anche: Cass. n. 27073 del 23/10/2019) contenute nel ricorso giurisdizionale e non coperte da quanto dichiarato dal richiedente nel corso del colloquio dinanzi alla commissione territoriale o, ancora, di chiarimenti e precisazioni, la cui esigenza insorga da valutazioni del giudicante o da sollecitazioni dello stesso richiedente.

A fronte dell’indicato principio le critiche con cui il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, sono generiche in quanto per esse si lamenta come non soddisfatto il giudizio sulla credibilità del dichiarante nell’assolta funzione, in concreto ed invece avuta, di mero adempimento burocratico nonostante la disposta ed espletata audizione davanti al tribunale.

Il ricorrente non ha infatti dedotto di aver sollecitato l’audizione al giudice del merito con la precisazione degli aspetti in ordine ai quali egli intendeva fornire chiarimenti nè poi ha censurato le motivazioni di non credibilità delle dichiarazioni rese, nella parte in cui il giudice ne rileva contraddizioni ed incoerenze, in quanto non chiarite.

Il ricorrente nel denunciare dell’assolto incombente istruttorio il puro formalismo non ne fa poi valere la consistenza nell’asserita inutilità in concreto dal medesimo avuta.

Il giudice del merito all’esito dell’audizione ha infatti apprezzato, nella successiva fase decisoria, come contraddittorie e quindi non credibili le dichiarazioni rese dal richiedente.

A fronte di un siffatto giudizio, esito di un modello processuale in cui con il rinnovarsi del colloquio in fase giurisdizionale si amplia la platea di allegazione e prova destinata a sostenere la valutazione di merito sulla credibilità del racconto, quanto residua è una critica sulla motivazione che come tale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere condotta sulla decisività di circostanze dichiarate ed obliterate o, ancora, male intese per un percorso logico perplesso ed incomprensibile (sui contenuti del vizio di motivazione: Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Si tratta di contenuti che sfuggono al proposto motivo.

7.2. Quanto alla denunciata audizione del dichiarante davanti al solo relatore e non dinanzi a tutti i componenti del collegio giudicante, ferma l’applicabilità alla materia delle norme sul rito camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. e segg., come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 1, vero è che l’atto “istruttorio” può essere assunto anche da un giudice singolo, componente dal collegio, senza che tanto si ponga in violazione del principio di imrnutabilità del collegio giudicante, volto ad assicurare che i giudici che pronunciano la sentenza siano gli stessi che hanno assistito alla discussione.

Il principio di immutabilità del collegio – destinato ad operare anche nei procedimenti in Camera di consiglio – trova applicazione soltanto una volta che abbia avuto inizio la fase di discussione, in quanto solo da questo momento è vietata la deliberazione da parte di un collegio composto diversamente da quello che ha assistito alla discussione (Cass. 15325/2020 p. 8).

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, in difetto di esplicite norme contrarie, il principio generale, secondo cui un giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell’organo collegiale, trova applicazione anche nelle ipotesi di procedimento camerale applicato a diritti soggettivi per quelle ragioni di celerità e sommarietà delle indagini proprie di tale particolare tipo di procedimento (Cass., Sez. Un., 19 giugno 1996, n. 5629; vd. in motivazione Cass. n. 15325 cit., ibidem).

In via conclusiva le censure d’indole processuale sono infondate e tanto, nella non univocità della critica, sia che con queste il ricorrente abbia denunciato la mancata audizione del ricorrente per difetto di una “specifica esaustiva indagine” sia che egli abbia censurato il fatto che l’audizione non sia avvenuta dinanzi al collegio.

8. Sulle ulteriori censure.

8.1. Quanto a vizio motivazionale previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nei consolidati approdi interpretativi di questa Corte di cassazione, è quella che pur graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (da ultimo: Cass. n. 13248 del 30/06/2020), come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.

8.1.1. Il Tribunale ha ritenuto la vicenda narrata di vita privata ed espressiva di una intenzione di miglioramento socio-economico, nella esigenza della famiglia di mantenersi all’indomani della fuga dal villaggio di origine dopo le accuse rivolte al padre di essersi impadronito dei soldi dell’associazione di appartenenza, per poi escludere il riconoscimento dello status di rifugiato ed il danno grave richiesto per la protezione sussidiaria, sulla base di fonti aggiornate solo genericamente contrastate sul punto in ricorso.

Più esattamente il tribunale considera le condizioni integrative dello status di rifugiato (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8) e della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g)) sub specie del danno grave (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)), per poi escludere che il timore persecutorio rappresentato dal richiedente abbia i connotati richiesti per l’accesso alle indicate forme di protezione o comunque integri un “danno grave”.

Quanto alla protezione umanitaria i giudici del merito esclusa nella vicenda narrata l’esistenza di condizioni individuali di elevata vulnerabilità, per impossibilità del richiedente di soddisfare bisogni ed esigenze non eludibili in caso di rimpatrio tenuto conto del contesto socio-economico del paese di origine, ponendo in comparazione la situazione del Togo e quella goduta in Italia, hanno altresì ritenuto le attività dedotte di partecipazione a corsi di formazione volontariato o apprendimento della lingua e l’intervenuta assunzione lavorativa “a tempi ridotti con salario al di sotto dell’assegno sociale”, evidenze intese come non sufficienti ad una integrazione in Italia e contestate genericamente in ricorso per una dedotta diverso loro rilievo.

Il complessivo impianto motivatorio esclude che esso si collochi al di sotto del cd. minimo costituzionale, essendo chiaro il costante riferimento alle prove ed in particolare alle condizioni del paese di origine ed al racconto reso dal dichiarante.

8.1.2. La deduzione di una omessa considerazione nel decreto impugnato del periodo di prigionia in Libia e quindi della mancata attivazione del dovere di collaborazione istruttoria da parte del giudice è profilo del motivo inammissibile perchè, meglio qualificata la censura come omessa pronuncia, e quindi come violazione del principio di corrispondenza ex art. 112 c.p.c., essa soffre di non autosufficienza non avendo il ricorrente provveduto a dedurre di aver allegato siffatta situazione a fondamento della domanda dinanzi al tribunale.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente inteso da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, Cass. n. 9842 del 2019; più recentemente: Cass. n. 9188 del 2020).

8.2. Quanto al denunciato vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la censura è infondata.

Il “fatto” la cui omessa valutazione integra il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è da intendersi riferito ad un preciso accadimento storico-naturalistico principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo e che, se esaminata, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

La censura sul fatto omesso decisivo non può consistere, come tale, in una critica diretta alla rivalutazione di fatti storici accertati dal giudice del merito (Cass. SU n. 34476 del 27/12/2019; Cass. n. 27072 del 2019).

8.3. Quanto al censurato mancato esercizio del dovere dell’Autorità Giudiziaria di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, comma 3, esso è infondato avendo il tribunale scrutinato al situazione del Togo sulla scorta di fonti aggiornate e comunque circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

Il giudice non può essere infatti chiamato a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso del D.Lgs. n. 251 del 2007, citato art. 3, comma 5 e alla apprezzata non credibilità del racconto, come anche alla non riconducibilità delle situazioni ivi rappresentate alle condizioni di tutela, si accompagna la non individualizzazione del rischio dedotto che è presupposto della protezione internazionale ed umanitaria.

La censura poi con cui si denuncia una lacuna motivazionale in ordine alla mancata considerazione quale luogo di radicamento della Libia, paese di transito, è anch’essa inammissibile per come già rilevato supra, sub specie del difetto assoluto di motivazione, per sua novità.

Restano poi ferme, quanto al rilievo assolto dall’audizione del richiedente ancora riproposte in ricorso, le valutazioni sopra svolte sui termini e contenuti di ingresso della stessa nel giudizio di merito.

9. Il ricorso, conclusivamente infondato, va rigettato.

Nulla sulle spese non avendo l’Amministrazione intimata articolato difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

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