Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26242 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19908-2018 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 294, presso lo STUDIO LEGALE VALLEFUOCO & ASSOCIATI

STP, rappresentata e difesa dagli avvocati VALERIO VALLEFUOCO,

ANGELO VALLEFUOCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona dei Ministri pro

tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del

Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8067/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA

PAOLO.

Fatto

CONSIDERATO

Che:

R.S. conveniva la Presidenza del consiglio dei ministri e i Ministeri dell’istruzione, università e ricerca, della salute, dell’economia e delle finanze, esponendo di aver frequentato un corso di specializzazione medica ricevendo la borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6: chiedeva, per il periodo precedente all’anno accademico 2006-2007, il riconoscimento, per differenza, dei medesimi emolumenti stabiliti, infine con quella decorrenza, dal D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, art. 39 se del caso a titolo risarcitorio, essendovi stata tardiva applicazione dell’acquis communautaire” e in particolare della direttiva n. 16 del 1993;

il tribunale rigettava la domanda per difetto di prova e la corte di appello confermava il rigetto della domanda per ragioni diverse e in diritto, affermando che l’attuazione della normativa sovranazionale era intervenuta nel 1991, mentre il miglioramento della remunerazione stabilito nel 1999, con decorrenza dal 2006-2007, pertanto successiva ai corsi della deducente, era stato oggetto di legittima discrezionalità legislativa, tenuto conto che la direttiva del 1993 era priva di elementi di novità regolatoria;

avverso questa decisione ricorre per cassazione l’originaria attrice formulando un motivo, proposto in via subordinata alla sollecitazione di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia;

parte ricorrente ha altresì depositato memoria.

Diritto

RILEVATO

che:

la ricorrente sollecita rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia perchè valuti se il D.Lgs. n. 368 del 1999, di recepimento della direttiva n. 93/16/CEE, indicato come sostitutivo del D.Lgs. n. 257 del 1991, che a sua volta aveva recepito la direttiva n. 82/76/CEE, “sia meramente riassuntivo e reiterativo” del primo decreto legislativo e come tale “esaustivamente assorbente dei principi normativi contenuti nelle direttive comunitarie” citate, “con piena e corretta applicazione da parte dello Stato italiano del principio di adeguata remunerazione a favore dei “medici ricercatori che hanno svolto la loro attività di ricerca negli anni in cui la normativa italiana è stata vigente con” i due decreti legislativi menzionati, “o se il blocco normativo causato dal ritardato recepimento, avvenuto dopo oltre sei anni, della direttiva n. 93/16/CEE, nelle more dell’emanazione del D.Lgs. n. 368 del 1999, sia causa di obbligo risarcitorio” per i soggetti quali la deducente, in superamento di ogni ostativo concetto di discrezionalità dello Stato nazionale;

la ricorrente sollecita poi un secondo quesito di rinvio pregiudiziale comunitario, finalizzato a chiedere se la decisione in merito all’applicazione della normativa comunitaria direttamente operante nell’ordinamento nazionale possa essere assunta dalla giurisdizione dello Stato o debba essere di esclusiva competenza della giurisdizione Eurounitaria, e, in caso di risposta affermativa sul primo punto, se l’interpretazione data dal giudice nazionale sia nel caso avvenuta attenendosi al dato prescrittivo letterale o sia stata oggetto di vaglio discrezionale anche derivante dalla discrezionalità attuativa fatta propria dai due decreti legislativi più volte richiamati;

nella memoria parte ricorrente sottospecifica altri due motivi di rinvio pregiudiziale, diretti a chiarire la necessità, in ottica comunitaria, di estendere il regime normativo applicabile dall’anno accademico 2006-2007;

con l’unico motivo di ricorso, indicato come subordinato, si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 1999, poichè la corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto lo stesso inapplicabile o inutilizzabile quale parametro risarcitorio, valutando la direttiva n. 93/16/CEE non innovativa quale invece era, e quindi omettendo di riconoscere l’adeguata remunerazione infine stabilita con il suddetto testo legislativo nazionale anche a chi, come la deducente, aveva svolto un corso di specializzazione in anni successivi al 1999 e precedenti all’applicazione della normativa statale violata, intervenuta con decorrenza dal 2006, con conseguente disparità di trattamento rispetto ai medici specializzandi che avevano seguito corsi temporalmente posteriori;

Rilevato che:

il motivo è infondato e la richiesta di rinvio pregiudiziale sollecitato non può essere accolta;

secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto dei differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, e questo perchè la direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991 (Cass., 14/03/2018, n. 6355 del 2018, con motivazione ampiamente ricostruttiva; conf. Cass., 29/05/2018, n. 13445);

il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un’adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428, e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, che ha riconosciuto agli specializzandi la borsa di studio annua, e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999;

quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva n. 93/16 – che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni – ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratto di formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa e una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali;

tale contratto, peraltro, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo a un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (cfr. Cass., 19/11/2008, n. 27481, Cass., 22/09/2009, n. 20403, Cass., 27/07/2017, n. 18670);

ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute nel D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili, come anticipato, solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007;

il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007;

per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato quindi espressamente disposto che continuasse a operare la precedente disciplina del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che sotto quello economico;

la direttiva n. 93/16, che costituisce, in modo manifesto, un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti, non ha dunque registrato un carattere innovativo con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione;

la previsione di un’adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e, si ripete, i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991;

l’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente e idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi annuali connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso testo legislativo e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa (Cass. 26/05/2001 n. 11565)” (Cass., 15/06/2016, n. 12346; Cass., 23/09/2016, n. 18710; l’indirizzo trova indiretta conferma nella sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria);

in particolare, ai sensi della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12, e della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1 (cfr., anche, di recente, Cass., 23/02/2018, n. 4449, Cass., 19/02/2019, n. 4809);

il fatto che la normativa comunitaria non abbia stabilito una definizione di adeguata remunerazione – ferma la non irrisorietà della quantificazione nazionale – è stato ribadito anche dalla pronuncia della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16, evocata dalla ricorrente, come pure osservato dalla difesa erariale nel controricorso (pag. 4);

quanto al secondo quesito della sollecitata pregiudiziale, è del tutto pacifico che la normativa comunitaria quando direttamente operante nell’ordinamento interno dev’essere quindi applicata dai giudici nazionali, quando invece, come nel caso, non è tale, ed è oggetto d’implementazione legislativa nazionale, dev’essere interpretata conformemente alla lettera e finalità delle prescrizioni, se necessario, al di fuori dell'”acte clair”, con rinvio pregiudiziale;

nella fattispecie si è visto che non sussistono i presupposti per il prospettato rinvio;

pertanto, risulta complessivamente corretta la decisione gravata;

conclusivamente, il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999, e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva quanto legittima scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi;

l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è dunque cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991;

stante quanto sopra non vi è alcuna violazione della normativa sovranazionale, e alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento posto che l’incremento previsto nell’esercizio della discrezionalità legislativa per i corsi di specializzazione collocati in tempi successivi, non escludendo l’adeguatezza della remunerazione precedente, è stato espressione di una scelta che rientra nelle opzioni legislative di regolare diversamente situazioni successive nel tempo (cfr., anche, di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4809, cit.);

questa Corte ha infine già sottolineato che l’indirizzo cui si intende dare continuità nella presente sede solo apparentemente risulta contraddetto da due identiche e coeve decisioni della stessa Sezione Lavoro (Cass., n. 8242 e n. 8243 del 22/04/2015), la cui motivazione non affronta peraltro espressamente la problematica relativa alla fattispecie fin qui illustrata, e richiama gli indirizzi espressi da questa Corte in relazione alla diversa situazione dei medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione anteriormente al 1991;

del resto, come già sottolineato (Cass., 27/02/2019, n. 5711), la stessa sezione si è poi espressa nel senso qui sostenuto (Cass., 27/02/2018, n. 4449);

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali delle amministrazioni resistenti liquidate in Euro 3.000,00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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