Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26241 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. I, 18/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8800/2019 proposto da:

A.R., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Lufrano, per

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 12;

– intimato –

avverso il decreto n. 2183/2019 del Tribunale di Ancona, Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, depositato

il 16/02/2019.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia,

nella Camera di consiglio del 13/10/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato l’impugnazione proposta da A.R. avverso la decisione della competente Commissione territoriale di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il Tribunale ha ritenuto la non credibilità del racconto del richiedente e la insussistenza dei presupposti di riconoscimento di ogni forma di protezione.

A.R. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente – originario del Pakistan della Regione del Punjab – che nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver abbandonato il proprio Paese poichè ricercato dalla polizia in quanto accusato, ingiustamente, di aver commesso un reato (egli aveva avuto un diverbio con un ragazzo che molestava la sorella e nella colluttazione che ne era seguita il molestatore rimaneva ucciso, attinto da un colpo d’arma da fuoco che accidentalmente veniva esploso), consapevole di non potersi difendere e provare la sua innocenza in un sistema giudiziario quale era quello del Pakistan – fa valere la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il Tribunale aveva escluso erroneamente l’esistenza di una minaccia grave ed individuale derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, apprezzando la necessità dell’esistenza di un rischio individualizzato non considerando che il Pakistan è uno dei Paesi più pericolosi al mondo e che per il principio di non refoulement il richiedente non poteva essere respinto.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non si confronta con la motivazione impugnata nella parte in cui il Tribunale nel distinguere tra le ipotesi relative alla invocata protezione sussidiaria e rispettivamente descritte alle lett. a) e b) e, quindi, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), conclude quanto a quest’ultima che la “sola presenza di civili nell’area in questione – il Punjab la cui situazione è scrutinata sub par. 5, p. 4 – non costituisce un pericolo per la vita e la loro incolumità in ragione di quanto esaminato al paragrafo corrispondente” (p. 7) e non cogliendo la ratio del provvedimento impugnato propone una critica generica e come tale inammissibile (Cass. 10/08/2017 n. 19989).

La censura pure contenuta in ricorso sulla mancata valutazione da parte del tribunale degli elementi integranti una valutazione di “individualizzante del rischio” si pone in contrasto con la dedotta violazione dell’art. 14, lett. c) cit., nella sua oggettiva rilevanza e come tale sortisce l’effetto di dare contenuto ad una critica inconcludente.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il difetto di credibilità sul rifugio politico e la protezione sussidiaria non esclude l’obbligo di fornire una motivazione non apparente a tale domanda che prescinda da un accertamento sulle diverse condizioni integrative del rimedio. Il Tribunale doveva vagliare l’esposto pericolo di morte per accertare, acquisendo informazioni sul paese di origine D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 3, se le autorità (“nigeriane”) erano in grado di offrire protezione rispetto a siffatte minacce e la condizione personale di vulnerabilità del richiedente la protezione umanitaria, che ben poteva consistere nella mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza dignitosa in ipotesi di rimpatrio e nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione.

2.1. Il motivo è anch’esso inammissibile.

2.1.1. La proposta critica assertivamente riporta una astratta elencazione delle prerogative discendenti dal riconoscimento della protezione umanitaria senza però soffermarsi a dare indicazione degli elementi concreti che, relativi alla vicenda personale, siano espressivi sia di una individuale condizione di vulnerabilità che di una raggiunta integrazione nel Paese ospitante, estremi congiuntamente valutabili nella stima comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine nel raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, richiesta ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

3. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del Regolamento UE n. 603/2013.

Il tribunale da un canto aveva erroneamente ritenuto che la Commissione nazionale avesse radicato la competenza dello Stato italiano esercitando la cd. clausola di sovranità, prevista dall’art. 17 Reg. UE n. 603/2013, decidendo di esaminare la domanda di protezione di un cittadino di un paese terzo anche se tale esame non le competeva in base ai criteri stabiliti nell’indicato regolamento, dall’altro aveva poi dichiarato manifestamente infondata la domanda qualificandola come “reiterata”.

Ad una consultazione del sistema Eurodac, preposto a rilevare la presenza al suo interno delle impronte dei richiedenti, non risultavano quelle della persona del ricorrente rispetto alla quale, pertanto, non vi era la prova della presentazione di un’altra domanda di protezione internazionale in altro paese Europeo e quindi la competenza dell’organo amministrativo dello Stato italiano.

Il motivo è inammissibile per difetto di sussunzione e mancanza di autosufficienza.

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017).

Il ricorrente si duole dell’errata interpretazione di risultanze Eurodac e quindi dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che come tale è estranea al dedotto vizio di violazione di legge sostanziale.

Inoltre, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (tra le altre, da ultimo: Cass., n. 16700 del 05/08/2020).

Il Tribunale ritiene la competenza dello Stato italiano ex art. 17 Regolamento UE 604 del 2013 a pronunciare sulla domanda di protezione, nonostante in passato il richiedente avesse presentato omologa domanda in Inghilterra, non essendosi perfezionato il meccanismo impeditivo di una nuova pronuncia, per improcedibilità della seconda richiesta (art. 23 del Regolamento UE n. 604 del 2013 sulla mancata “ripresa in carico” dello Stato interessato da una prima domanda entro i termini prescritti) con conseguente radicamento della “competenza” in capo allo Stato membro presso il quale la nuova domanda è stata presentata.

Il Tribunale in tal modo ritenuta la competenza dello Stato italiano apprezza poi della domanda la sua manifesta infondatezza, trattandosi di domanda reitererà D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 29 e quindi non fondata su elementi di prova nuovi ed incolpevolmente non dedotti dinanzi allo Stato destinatario della prima domanda.

Si tratta di ulteriore ratio che sostiene il giudizio di rigetto della domanda e che non viene come tale censurato nel motivo di ricorso.

4. Il ricorso è conclusivamente inammissibile.

Nulla sulle spese essendo l’Amministrazione rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

 

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