Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26241 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15814-2018 proposto da:

P.G.G.M., A.M., A.P.,

C.V., L.L., W.Y., B.P., M.A.,

R.E., M.H., M.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DOMENICO CHELINI 5, presso lo studio

dell’avvocato MARCO TORTORELLA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA, in persona del Rettore pro

tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del

Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELIA SALUTE, MINISTERO

DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona dei

Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

ricorso successivo

B.C., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DOMENICO CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO

TORTORELLA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti successivi –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA, PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLA SALUTE,

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 137/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 26/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO

PORRECA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che A.P. e altri medici convenivano in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, i Ministeri dell’istruzione università e ricerca, della salute, dell’economia e finanze, e l’università degli studi di Genova, esponendo di aver frequentato corsi di specializzazione tra il 1983 e il 1993, quando erano state già emanate le direttive dell’Unione Europea nn. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE, quest’ultima trasposta solo con il D.Lgs. n. 8 agosto 1991 n. 257, sicchè avevano diritto alla remunerazione prevista da quest’ultimo testo normativo oltre accessori in uno al risarcimento anche in forma specifica correlato al mancato riconoscimento del titolo e dei relativi punteggi, ovvero, in alternativa, al corrispondente risarcimento per il tardivo recepimento della legislazione sovranazionale, ovvero, infine, sempre alternativamente, un corrispondente indennizzo per arricchimento senza causa;

il tribunale accoglieva le domande riconoscendo le spettanze previste dalla L. n. 370 del 1999, art. 11, e la corte di appello, per quanto qui ancora rileva, dichiarava inammissibili per precedente giudicato le domande di A.P. e M.L.; rigettava le domande di M.H., M.A., W.Y., R.E., quanto alle pretese fondate sulla specializzazione di oncologia; di C.V., P.G.G.M. quanto alla specializzazione di neurofisiopatologia; di B.P., L.L., quanto alla specializzazione di igiene e medicina preventiva; rideterminava le spettanze di A.M. escludendo quelle riconosciute per la specializzazione di igiene e medicina preventiva;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione A.P. e gli altri medici indicati in epigrafe, articolando cinque motivi;

resistono con controricorso le amministrazioni;

con successivo e riunito ricorso di B.C. ed altri medici, cui era sottesa analoga vicenda, veniva impugnata la medesima sentenza, formulando tre motivi;

Rilevato che con il primo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso o tardivo recepimento di direttive comunitarie, degli artt. 5 e 189, trattato CEE, delle direttive nn. 75/363, 82/76 e 93/16, come interpretate dalla Corte di giustizia, degli artt. 61, 62, 112, 115, 116, 184 c.p.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nel negare il riconoscimento delle spettanze per le specializzazioni di igiene e medicina preventiva, oncologia e neurofisiopatologia, sia in quanto l’inclusione nelle predette direttive, ovvero l’equivalente conformità, non erano state contestate dall’amministrazione, sia perchè la specializzazione in igiene e medicina preventiva era prevista dalla direttiva del 1993, sia perchè, in forza del D.Lgs. n. 257 del 1992, art. 2, e del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 34, era stato adottato il decreto ministeriale 30 ottobre 1993 di riconoscimento, ex art. 2, ai fini in parola, con la precisazione che, in ogni caso, neurofisiopatologia doveva ritenersi equivalente a neurologia, specializzazione già prevista, in particolare, dalla direttiva del 1975 n. 362;

con il secondo motivo del ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 189 del trattato CEE, delle direttive nn. 82/76, 75/363, 93/16, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria, artt. 2,3,10 e 97, Cost., D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, L. n. 370 del 1999, art. 11, dei REGCE n. 974 del 1998 e n. 2866 del 1998, degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c., nonchè l’omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato mancando di rilevare che era stata fondatamente domandata la riparazione del danno da perdita di “chance”, da lesione del diritto di seguire un percorso di specializzazione scevro da preoccupazioni esistenziali, e da mancato riconoscimento del punteggio concorsuale derivante dal riconoscimento comunitario del titolo; al contempo avrebbe dovuto compiutamente accordarsi la stessa somma prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991, per gli anni accademici dal 1991-1992, ferma sul punto, nel dubbio, la necessità di sollevare pregiudiziale comunitaria;

con il terzo motivo del ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c., della L. n. 370 del 1999, art. 11, nonchè l’omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di accordare anche interessi compensativi e rivalutazione monetaria progressiva, trattandosi di debito di valore perchè risarcitorio;

con il quarto motivo del ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 189 del trattato CEE, delle direttive nn. 82/76, 75/363, 93/16, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria, artt. 2,3,10 e 97, Cost., D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, L. n. 370 del 1999, art. 11, dei REGCE n. 974 del 1998 e n. 2866 del 1998, degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c., nonchè l’omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato mancando di rilevare che la soluzione riduttiva seguita avrebbe determinato un’incompiuta tutela dei diritti con sacrificio eccessivo e non proporzionale dei deducenti anche a fronte di quanto accordato a coloro che avevano seguito i corsi dopo l’anno accademico 19901991 ovvero i pregressi ma percependo sin dal 1999 una diversa seppure irragionevole misura di base, il tutto, se del caso, previa verifica pregiudiziale a seguito di rimessione alla Corte di giustizia;

con il quinto motivo del suddetto gravame si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., e art. 2909, c.c., poichè quanto alle ricorrenti A.P. e M.L. la corte di appello avrebbe errato nel ritenere ostativo il giudicato derivante dalla sentenza del tribunale di Genova n. 2260 del 2005 poichè in quel giudizio non era stata domandata l’applicazione della disciplina nazionale invocata in questo e non era stata avanzata domanda a titolo risarcitorio, fermo che in ogni caso erano stati convenuti i Ministeri non quali articolazioni dello Stato e, dunque, le parti erano differenti non essendo comprensibile l’affermazione del collegio territoriale per cui quella decisione avrebbe dovuto fare stato anche nei confronti della Presidenza del consiglio non evocata allora in lite;

con il primo, secondo e terzo motivo del successivo ricorso si formulano le medesime censure, in termini, del secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principale;

Ritenuto che

i ricorsi sono stati riuniti preliminarmente ex art. 335 c.p.c.;

il ricorso principale è improcedibile;

la difesa ricorrente, infatti, nel primo ricorso ha indicato che la sentenza impugnata è stata notificata via p.e.c. il 23 marzo 2018;

agli atti il Collegio constata che non risulta la relata di notificazione menzionata, essenziale alla prova di resistenza (data dal rispetto del termine per il ricorso per cassazione dalla data di pubblicazione della decisione gravata);

le Sezioni Unite di questa Corte hanno complessivamente chiarito che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo p.e.c., senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti, anche tardivamente costituitosi, depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2; viceversa, nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga solo intimato (oppure tali rimangono alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio; e questi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito di copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata (e del corrispondente messaggio p.e.c. con annesse ricevute) senza attestazione di conformità oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa (Cass., Sez. U., 25/03/2019, n. 8312);

perchè operasse eccezionalmente il mancato disconoscimento appena ricostruito, sarebbe stato necessario, pertanto, che venisse allegata la copia analogica della relata telematica in discussione, cosa non avvenuta nel caso del ricorso principale, in cui risulta aver svolto difese l’avvocatura dello Stato;

quanto al ricorso successivo, in cui non risultano difese dell’avvocatura erariale, la stessa difesa – le parti, si ripete, sono assistite dal medesimo difensore – nulla dice in ordine alla notifica della sentenza gravata;

trattandosi dello stesso difensore, egli, anche in applicazione dell’art. 88 c.p.c., avrebbe dovuto specificare che alle parti coinvolte la sentenza gravata non era stata notificata;

pur volendo prescindere dal fatto che, in assenza di questa specifica non vi è prova come necessario del rispetto dell’art. 369 c.p.c., anche con riferimento al ricorso successivo, deve evidenziarsi che esso risulta complessivamente inammissibile;

questa Corte ha infatti chiarito che:

– in tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie nn. 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore, con l'”aestimatio” del danno effettuata dalla L. n. 370 del 1999, art. 11, abbia proceduto a un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo valevole anche nei confronti di coloro non ricompresi nell’art. 11 cit., a cui non può applicarsi il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, in quanto tale decreto, nel trasporre nell’ordinamento interno le direttive in questione, ha regolato le situazioni future con la previsione, a partire dai corsi dell’anno accademico 1991-1992, di condizioni di frequenza dei corsi diverse e più impegnative rispetto a quelle del periodo precedente (Cass., Sez. U., 27/11/2018, n. 30649);

– con la conseguenza che alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale – secondo le regole generali di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c. – gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall’eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale (Cass., 09/02/2012, n. 1917 e succ. conf., citata adesivamente dalle Sezioni Unite da ultimo richiamate: pag. 14 punto 5.3);

– tale liquidazione legislativa è come tale di norma statisfattiva, salva rigorosa prova, da parte del danneggiato, di circostanze diverse da quelle normali, tempestivamente e analiticamente dedotte in giudizio prima della maturazione delle preclusioni assertive o di merito e di quelle istruttorie (cfr., Cass., 09/07/2015, n. 14376, Cass., 17/01/2019, n. 1058), come nel ricorso non viene in alcun modo specificamente spiegato;

– ciò posto, quanto al resto, alla fattispecie è applicabile la nuova previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, da interpretarsi come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè in cassazione è denunciabile – con ipotesi che si converte in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dando luogo a nullità della sentenza – solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”; nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ossia in manifeste e irresolubili contraddizioni, nonchè nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”; esclusa qualunque rilevanza di semplici insufficienze o contraddittorietà, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., 12/10/2017, n. 23940);

– nella censura non si indica quale sarebbe stato, invece, lo specifico fatto idoneamente e tempestivamente allegato, decisivo rispetto alle singole domande svolte, il cui esame, in tesi, sarebbe stato omesso; ne deriva che:

– non risulta alcun vizio motivazionale, nel perimetro di ammissibilità sopra ricostruito;

– non emerge alcun errore “in iudicando”;

– non vi è alcuna lesione della tutela dei diritti fondamentali, atteso che si rientra per un verso nel perimetro dell’applicazione del regime assertivo e probatorio, e per l’altro nella valutazione non irragionevole della quantificazione come prima ricostruita;

– vi è stata applicazione della normativa nazionale alla luce di quella comunitaria divenuta “acte clair”, come indirettamente confermato anche dalla pronuncia della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C616/16 e C617-16 con cui è stato ribadito che la normativa comunitaria non ha stabilito una definizione di adeguata remunerazione e quindi alcun parametro liquidatorio ad essa correlato, ferma la necessità che la conclusiva quantificazione giurisprudenziale o legislativa non sia irrisoria, irrisorietà nel caso palesemente da escludere;

spese secondo soccombenza quanto al ricorso principale;

non deve disporsi sulle spese quanto al ricorso successivo in assenza di difese dall’avvocatura erariale;

l’importo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sarà dovuto per ciascun ricorso distintamente, dai relativi ricorrenti in solido.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, così provvede:

a) dichiara improcedibile il ricorso principale condannando i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali delle amministrazioni controricorrenti liquidate in complessivi Euro 6.000,00 oltre spese prenotate a debito;

b) dichiara inammissibile il ricorso successivo;

c) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti di ciascun ricorso, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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