Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2624 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. II, 04/02/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 04/02/2021), n.2624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9059/17) proposto da:

A.M.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.

Giovanni Marcelli, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’avv. Isabella Nelli, in Roma, v. Giovanni Sisco, n. 8;

– ricorrente –

contro

BANCA D’ITALIA S.P.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura

speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Giuseppe

Napoletano, e Ruggero Ippolito, ed elettivamente domiciliata presso

gli stessi, in Roma, v. Nazionale, n. 91;

– controricorrente –

e

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma n. cronol.

8517/2016, depositato il 14 ottobre 2016;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19

novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli Avv.ti Isabella Nelli (per delega), nell’interesse del

ricorrente, e Giuseppe Giovanni Napoletano, per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il sig. A.M.G. ha rivestito la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione della Banca delle Marche s.p.a. dall’aprile 2009 all’aprile 2012, a carico della quale erano state effettuate diverse ispezioni da parte della Banca d’Italia per il periodo dal 2006 al 2013. In conseguenza dell’emergenza di un contesto aziendale grave, la stessa Banca d’Italia aveva attivato i suoi poteri per la gestione di situazioni straordinarie, a seguito del cui esercizio il Ministero dell’economia e delle finanze aveva sottoposto la citata Banca delle Marche ad amministrazione straordinaria ai sensi degli artt. 70 e 98 del TUB allora vigente, seguita, poi, dal collocamento in liquidazione coatta amministrativa con dichiarazione della relativa insolvenza in virtù della sentenza del Tribunale di Ancona n. 22/2016.

Per effetto delle rilevate gravi irregolarità a carico degli ex componenti del Consiglio di Amministrazione nonchè del Comitato esecutivo della citata Banca Marche, tra cui figurava l’ A., la Banca d’Italia avviava un procedimento sanzionatorio nei suoi confronti ai sensi degli artt. 144 e 145 del TUB (“ratione temporis” vigente), comunicando l’avvio dello stesso con nota dell’11 ottobre 2013 e, all’esito dell’istruzione, irrogava a carico del medesimo A., con Delib. 5 agosto 2014, n. 420, la sanzione pecuniaria di Euro 254.000,00 per violazioni delle disposizioni sulla “governance”, per carenze dell’organizzazione, nei controlli interni e per omissioni nella gestione e nel controllo del credito.

2. La suddetta Delib. sanzionatoria veniva impugnata, con ricorso dell’8 ottobre 2014, dall’ A. dinanzi alla Corte di appello di Roma ai sensi dell’art. 145 TUB, avverso il quale la Banca d’Italia si costituiva, insistendo per il suo rigetto.

Dopo alcuni rinvii per formalizzare apposita eccezione di illegittimità costituzionale da parte dell’opponente con riferimento al citato art. 145 TUB, l’adita Corte di appello, con decreto n. cronolg. 8517/2016, ritenuta manifestamente infondata la sollevata eccezione riferita anche all’art. 6 della CEDU e respinta la richiesta di sospensione del giudizio per la prospettata pregiudizialità di quello penale contestualmente pendente, rigettava integralmente il ricorso.

A sostegno di tale pronuncia, essa rilevava l’esistenza della colpa in capo all’ A. anche per effetto del mancato assolvimento dell’onere probatorio circa l’insussistenza dell’inosservanza delle istruzioni relative all’organizzazione amministrativa e contabile e dell’omesso invio delle prescritte segnalazioni all’istituto di emissione, condotte, invece, riscontrate dagli accertamenti ispettivi compiuti dalla Banca d’Italia e senza che, al riguardo, potesse avere rilevanza il richiamo “per relationem” operato dall’opponente alle controdeduzioni presentate nel corso del procedimento amministrativo sanzionatorio, ravvisando, altresì, l’adeguatezza della sanzione irrogata in relazione alle violazioni rimaste accertate.

3. Avverso il suddetto decreto l’ A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimata Banca d’Italia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, art. 132 c.p.c., comma, n. 4), art. 183 c.p.c., comma 5 e art. 702-bis e ter c.p.c., nonchè degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU, avuto riguardo alle modalità di svolgimento dell’udienza camerale dinanzi alla Corte di appello e all’asserita illegittimità della dichiarata inammissibilità da parte della stessa delle richieste istruttorie non inerenti alla eccezione di illegittimità costituzionale proposta nel corso del giudizio.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha denunciato – sempre avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), artt. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., oltre che dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 4, prot. 7, CEDU, deducendo l’illegittimità dell’impugnato decreto siccome caratterizzato da mera adesione acritica all’opposto provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., L. n. 689 del 1981, art. 23,artt. 24 e 111 Cost., artt. 6 e 41 CEDU e art. 4, prot. 7, CEDU, nonchè l’omesso esame circa le richieste istruttorie di ammissione dell’audizione di esso ricorrente e di prove decisive per la decisione sulla responsabilità presunta e sull’inversione dell’onere della prova, sulla sua mancata audizione, sulla mancata ammissione di prove testimoniali, sulla mancata autorizzazione ad accedere alle parti riservate dei verbali ispettivi della Banca d’Italia e all’operatività di presunzioni sul nesso causale oltre che per la mancata assunzione di una c.t.u..

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha prospettato, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), art. 118 disp. att. c.p.c., oltre che dell’artt 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, unitamente all’art. 6 della CEDU, per l’asserita omessa motivazione sul divieto del “ne bis in idem”, nonostante una precedente definitiva sanzione intervenuta a carico di esso ricorrente in relazione alle medesime condotte.

5. Con la quinta doglianza il ricorrente ha denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), in relazione all’art. 2381 c.c., commi 3 e 6, e aert. 2909 c.c., nonchè dell’art. 24Cost. e art. 111Cost., comma 6 e dell’art. 6CEDU e dell’art. 4, prot. 7, CEDU, per omessa motivazione sull’obbligo del Consiglio di Amministrazione di agire informato.

6. Rileva il collegio che il primo motivo deve essere disatteso.

Occorre, in primo luogo, evidenziare che il procedimento camerale con cui vengono trattate le opposizioni avverso i provvedimenti sanzionatori della Banca d’Italia è soggetto essenzialmente ad un principio di concentrazione processuale che sfugge ad uno specifico regime preclusivo ed in cui, in effetti, trova una particolare valorizzazione il disposto dell’art. 175 c.p.c..

In generale, poi, nel giudizio civile è il giudice a valutare in concreto quando sia da ritenersi chiusa – ai sensi dell’art. 209 c.p.c. – la fase istruttoria con l’avvenuto esperimento dei mezzi ammessi, ragion per cui può ritenere superflua o irrituale l’ammissione di ogni ulteriore istanza istruttoria.

Ciò premesso, non può dirsi che, nella vicenda processuale in esame, si sia venuta a configurare una violazione del diritto di difesa dell’opponente (oggi ricorrente), posto che il nuovo termine indicato nella censura – una volta che le complessive difese di entrambe le parti si erano già cristallizzate con l’offerta in produzione di tutta la documentazione da ritenersi congrua in relazione alla risoluzione del “thema decidendum” – era stato concesso solo per illustrare le ragioni da addurre a sostegno dell’eccezione di illegittimità costituzionale prospettata dall’odierno ricorrente e, in ogni caso, quest’ultimo non spiega quali circostanze dotate di decisività sarebbero state indicate nelle nuove memorie e non adduce quale obiettiva e specifica rilevanza – in funzione della definizione del giudizio – avrebbero avuto i nuovi documenti che si intendevano produrre.

7. Anche il secondo motivo è destituito di fondamento e va respinto.

Diversamente da quanto con lo stesso denunciato, non si versa in presenza di una motivazione apodittica e priva di svolgimento logico-giuridico, siccome la Corte di appello l’ha fondata sulla – ancorchè sintetica, ma comunque sufficiente – valutazione delle acquisizioni probatorie e delle questioni giuridiche, anche di ordine processuale, effettivamente rilevanti ai fini della decisione. La circostanza che nel decreto sia stato fatto specifico riferimento ad apposite deduzioni della Banca d’Italia, ritenendole fondate e richiamando le risultanze degli accertamenti eseguiti per la rilevazione delle contestate violazioni disciplinari, non rende affatto apparente la motivazione, avendo la Corte laziale giustificato motivatamente l’attendibilità dei riscontri offerti dall’odierna controricorrente sulla crisi gestionale della Banca Marche e sulla correlata insufficienza e tardività della condotta ascrivibile al ricorrente quale presidente del C.d.A..

8. Pure la terza censura – come complessivamente strutturata – non coglie nel segno e deve essere rigettata.

Va, innanzitutto, rilevata l’inammissibilità per difetto di specificità della sub-censura 3/c in virtù dell’omessa indicazione dell’oggetto e della eventuale decisività delle circostanze che sarebbero state dedotte con le prove orali (cfr. Cass. n. 17915/2010 e, di recente, Cass. n. 16214/2019).

La Corte di appello ha, poi, motivatamente ritenuto che le istanze istruttorie avevano una finalità meramente esplorativa e che i documenti utilizzati per le ispezioni erano stati messi a disposizione del ricorrente per consentirgli il pieno esercizio del diritto di difesa e al contraddittorio, senza trascurare il fatto che allo stesso A. non era stato precluso il diritto ad essere ascoltato, che egli avrebbe potuto esercitare senza preventiva autorizzazione giudiziale ove avesse inteso avvalersi della relativa facoltà.

La Corte di merito si è conformata alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (a partire da Cass. Sez. U. n. 20935/2009; v., in senso conforme, Cass. n. 18683/2014 e, da ultimo, Cass. n. 8210/2016), alla stregua della quale il contraddittorio tra la l’Amministrazione procedente e l’interessato è assicurato, nell’ambito della fase istruttoria, dalla preventiva contestazione degli addebiti (pacificamente avvenuta in modo adeguato nella fattispecie), dall’esplicazione del diritto degli incolpati di dedurre le loro difese e di esercitare il diritto di accesso agli atti della procedura sanzionatoria. Peraltro, è stato anche chiarito che nel procedimento amministrativo sanzioriatorio in questione, l’omessa previsione della trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative (e la conseguente impossibilità di interloquire) non si pone in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quando – come stabilito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, “Grande Stevens c. Italia” -, pur avendo le sanzioni natura sostanzialmente penale, il provvedimento con cui le stesse vengono irrogate sia assoggettato – come, appunto, quello di cui trattasi – ad un sindacato giurisdizionale pieno, attuato nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo.

9. Il quarto motivo è da ritenersi inammissibile per difetto di specificità.

Esso, infatti, pone riferimento alla asserita proposizione dell’eccezione circa l’esistenza di un supposto precedente giudicato (avuto riguardo alla circostanza che gli accertamenti avevano coperto un lungo periodo in cui si sarebbero complessivamente concretate le condotte, disciplinarmente rilevanti, ascritte al ricorrente), ma si richiamano solo gli atti processuali in cui sarebbe stata proposta siffatta eccezione.

Senonchè, nel giudizio di legittimità il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, onde la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione, nè, a maggior ragione, il mero riferimento ad atti in cui sarebbe stata dedotta l’eccezione circa l’esistenza di un giudicato precedente (cfr. Cass. n. 15737/2017).

E’ pur vero che nell’impugnato decreto non si fa alcun specifico riferimento alla prospettazione di detta eccezione, ma in esso si richiama puntualmente un principio giurisprudenziale generale sulla sussistenza di una ipotesi di concorso materiale e formale di violazioni, in tal senso desumendosi implicitamente che non era emersa la sussistenza di una precedente pronuncia passata in giudicato che aveva riguardato gli stessi fatti, nè il ricorrente – come già sottolineato – ha idoneamente indicato quale sarebbe stato questo provvedimento nè ne ha trascritto nel motivo il contenuto.

10. Anche il quinto ed ultimo motivo è destituito di fondamento.

A tal proposito si osserva che, nell’impugnato decreto, la Corte laziale motiva sufficientemente sulla inadeguatezza e tardività dell’attività di controllo del ricorrente, nella qualità per cui è stato sanzionato, sui flussi informativi oggetto di contestazione e sulla mancata rilevazione della deficienza patrimoniale della Banca Marche come rimasta accertata.

In particolare, la citata Corte ha dato atto che – sulla scorta dei congrui e mirati accertamenti esperiti in sede ispettiva e non idoneamente confutati – era emerso come la Banca Marche, nel periodo in cui il ricorrente rivestiva la carica di consigliere di amministrazione e con riferimento alla gestione chiusa nel 2012, si fosse venuta a trovare in una grave crisi economica ed imprenditoriale, dalla quale si poteva evincere in modo evidente la indubbia e rilevante carenza patrimoniale (quale effetto, per l’appunto, della pregressa sottostima dei rischi), dal momento che il Total capità si era portato al di sotto del requisito prudenziale (applicato ordinariamente) dell’8%. Inoltre, la Banca presentava un deficit – chiaramente ricostruibile – ammontante a circa 200 milioni di Euro ed un portafoglio crediti che, oltre a caratterizzarsi per la sua eccessiva concentrazione, era risultato deteriorato in modo particolarmente accentuato (solo valorizzando il dato che il 31% delle partite era in “default”). In tal senso, ed alla stregua dei compiuti accertamenti, il giudice dell’opposizione si è conformato all’uniforme giurisprudenza di questa Corte sul c.d. obbligo di agire informati dei componenti del Consiglio di Amministrazione delle imprese bancarie e ciò, a maggior ragione, per quelli che hanno anche compiti esecutivi (come proprio il ricorrente che rivestiva la funzione di amministratore “con deleghe”).

Infatti, è stato più volte affermato che, in tema di sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 144, il dovere di agire informati dei consiglieri (anche non esecutivi) delle società bancarie, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6 e art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacchè anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del “business” bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega (cfr., tra le tante, Cass. n. 22848/2015 e Cass. n. 5606/2019).

11. In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidando nei sensi di cui in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

 

 

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