Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26239 del 28/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/09/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 28/09/2021), n.26239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17805-2018 proposto da:

GAVIMAR SRL, in persona dell’Amministratore Unico pro tempore,

elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’Avvocato ENRICO CASCELLA;

– ricorrente –

contro

BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA SPA, in persona del Procuratore

Speciale pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

OMBRONE, 14, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAPUTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE FILIPPO MARIA

LA SCALA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 766/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA

ALDO ANGELO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Nell’ottobre del 2010, la s.r.l. Gavimar ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso, dietro ricorso della s.p.a. Banco di Desio e della Branza, dal Tribunale di Vicenza per il pagamento di una determinata somma di danaro, quale fideiussore della s.a.s. Marmi La Precisa di C.G. & C..

Con sentenza depositata nel dicembre 2016, il Tribunale ha rigettato l’opposizione.

2.- Avverso questa pronuncia ha presentato appello la società Gavimar. La Corte di Appello di Venezia ha respinto l’impugnazione, con sentenza depositata in data 29 marzo 2018.

3.- A fronte delle contestazioni mosse dalla società appellante, la Corte di Venezia ha rilevato che, “ai fini dell’opponibilità al terzo contraente delle limitazioni dei poteri di rappresentanza degli organi di società di capitali, l’art. 2384 c.c., comma 2, e l’art. 2475 bis c.c., comma 2, richiedono non già la mera conoscenza della esistenza di tali limitazioni da parte del terzo, ma altresì la sussistenza di un accordo fraudolento o, quanto meno, la consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di danno per la società”.

“Come emerge dal loro stesso tenore testuale e anche dalla ratio a essi sottesa (che è quella di privilegiare la tutela della sicurezza e della rapidità delle contrattazioni), non basta provare la malafede del terzo per contestare utilmente l’efficacia e la validità dell’atto posto in essere dal rappresentante nei confronti dello stesso terzo”. “Non basta la mera conoscenza effettiva, da parte del terzo, dell’esistenza di limitazioni alla rappresentanza: occorre un “accordo fraudolento o, comunque, un comportamento teso a danneggiare la società; è necessario cioè dimostrare, quanto meno, che la finalità perseguita dall’agente si sia realizzata attraverso una stipulazione potenzialmente generatrice di danno per la società”.

Nel caso concreto – ha proseguito il giudice del merito -, “deve escludersi che dalle risultanze processuali sia emersa la prova del dolo della banca ossia che questa abbia agito con il consapevole intendimento di stipulare con l’amministratore privo di potere atti suscettibili di provocare un danno alla società”.

La società debitrice principale e la società garante “erano composte dagli stessi soci”: tra loro “legati da uno stretto vincolo di parentela”; e ricoprenti “ciascuno il ruolo di amministratore in ognuna di esse”. Già in precedenza Gavimar, del resto, aveva rilasciato garanzie nell’interesse di Marmi La Precisa a favore di altri istituti (“sia pure nella vigenza di una diversa previsione statutaria, che prevedeva la possibilità di rilasciare garanzie senza liimitazione a favore di terzi”) per importi considerevoli. La società garantita, inoltre, svolgeva la propria attività di lavorazione di marmi e graniti in un “fabbricato concessole in locazione dal 1991 dalla società fideiubente, nel cui oggetto sociale rientra anche la locazione di immobili di qualsiasi tipo e le lavorazioni, anche affidate a terzi, di marmi e graniti.

Posti questi dati – ha concluso la pronuncia – la “fideiussione prestata in favore dell’una società all’altra poteva perciò legittimamente ritenersi preordinata al soddisfacimento economico della società fideiubente e congruente con gli scopi sociali di quest’ultima”.

4.- Avverso questo provvedimento la s.r.l. Gavimar ricorre per cassazione, svolgendo due motivi.

Resiste, con controricorso, la s.p.a Banco di Desio e della Brianza.

5.- Entrambe le parti hanno anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.- I motivi di ricorso sono intestati nei termini che qui di seguito vengono riportati.

Primo motivo: “violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 2384 e 2475 bis c.c. in relazione all’art. 2380 bis c.c.”.

Secondo motivo: “nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, mancando la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui la decisione sarebbe fondata”.

7.- Il primo motivo di ricorso sostiene che “nessuna indagine è stata svolta dai giudici del merito in ordine a tale stretta strumentalità tra fideiussione e conseguimento dell’oggetto sociale; di più nessuna affermazione si rinviene nella sentenza impugnata a giustificazione della coerenza della fideiussione con l’oggetto sociale di Gavimar”. Il motivo aggiunge che “detta limitazione era ben nota a Banco Desio (circostanza incontroversa), in possesso dello statuto di Gavimar.

Tutto questo per affermare che, nella specie, la “prova dell’intenzionale agire dei terzi in danno alla società” – come occorrente “perché possa determinarsi, oltre alla responsabilità degli amministratori verso la società, anche un riflesso negativo dell’atto per i terzi – “e’ stata senza dubbio raggiunta”.

“Si tratta di un negozio unilaterale, nel quale il solo fideiussore assume, nell’interesse di un terzo, obbligazioni verso un soggetto creditore”: lo stesso, quindi, “si presume dannoso”. Del resto, “la presunzione di dannosità della fideiussione è sempre alla base anche della qualificazione della stessa quale atto a titolo gratuito ai fini della revocatoria fallimentare”.

“Il rilascio della fideiussione costituì” – così si conclude – “un atto che, a scapito di Gavimar, ha determinato vantaggi per il solo Banco di Desio.

9.- Il motivo non può essere accolto.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “ai fini dell’opponibilità al terzo contraente delle limitazioni dei poteri di rappresentanza degli organi di società di capitali”, la normativa vigente “richiede non già la mera conoscenza della esistenza di tali limitazioni da parte del terzo, ma altresì la sussistenza di un accordo fraudolento o, quanto meno, la consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di danno per la società” (Cass., 26 marzo 2009, n. 7293).

Stando ai principi di diritto comune (art. 2697 c.c.), come pure confermati dal contenuto normativo dell’art. 2475 bis c.c., l’onere della prova della effettiva esistenza di un accordo fraudolento, ovvero della consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di danno, viene a incombere sul soggetto che intende predicare l’opponibilità del vizio al terzo e l’inefficacia dell’atto.

10.- A supporto della propria tesi, per cui la limitazione dei poteri dell’amministratore Gavimar nella specie comportava l’inefficacia della fideiussione, il ricorrente dichiara che la fideiussione è negozio che “si presume dannoso”.

Ora, il ricorrente non specifica, per la verità, se con tale formula intenda affermare che la fideiussione è intrinsecamente, e inevitabilmente, dannosa o se è invece da ammettere la possibilità di una prova contraria (non aiuta la comprensione il richiamo che il ricorso fa, in proposito, alla norma della L. Fall., art. 64; del resto, la fideiussione ben può essere prestata a titolo oneroso, come riscontra ad esempio Cass. 24 febbraio 2004, n. 3615 e secondo quanto caratteristicamente avviene nell’attività imprenditoriale del c.d. credito di firma).

E’ chiaro comunque che la tesi così enucleata verrebbe a svuotare (se non in toto, per grandissima parte) di significato normativo – per la materia appunto della prestazione di garanzie personali – la prescrizione dell’art. 2475 bis c.c., comma 2, per cui l’opponibilità al terzo contraente della limitazione della rappresentanza dipende dall’avere quest’ultimo “agito intenzionalmente a danno”.

Prima ancora, però, la tesi viene a contraddire la stessa prescrizione normativa in discorso: al requisito dell’agire intenzionalmente dannoso del terzo sostituendosi, in tal modo, quello del danno in sé per una certa tipologia di operazioni negoziali (quale, nella specie, quella del contratto di fideiussione); e così sopprimendosi, tra le altre cose, pure il profilo dell'”intenzionalità” dell’azione del terzo, che la norma per contro prescrive in modo espresso.

11.- E’ vero che la fideiussione – per sua propria natura espone chi la presta a un rischio tipico (quello, naturalmente, di non riuscire a recuperare le somme sborsate al creditore garantito dal debitore, quale soggetto istituzionalmente tenuto, invece, a sopportare la perdita patrimoniale corrispondente al debito assunto).

In quanto connaturato al contratto di fideiussione, tuttavia, questo aspetto (di tipica esposizione del fideiussore al rischio del mancato rientro) si pone su un piano affatto diverso da quello che viene a rilevare nel contesto della norma dell’art. 2475 bis c.c. La prospettiva adottata da quest’ultima disposizione, infatti, attiene propriamente – come assicura, se non altro, l’adozione dell’avverbio “intenzionalmente” – alle caratteristiche della fattispecie concreta che, volta per volta, sia presa in specifica considerazione.

Di conseguenza, una simile prospettiva viene a richiedere una valutazione calata nel concreto e intesa a radunare i vari dati presenti secondo la complessiva loro articolazione (e di cui, quindi, l’eventuale prestazione di una fideiussione si pone semplicemente come uno degli elementi da prendere in esame).

12.- Il secondo motivo di ricorso assume vizio di motivazione apparente: la pronuncia della Corte veneziana non dà “alcuna spiegazione del modo in cui la fideiussione in questione poteva soddisfare un interesse economico o contribuire allo svolgimento dell’attività di Gavimar”.

13.- Il motivo non può essere accolto.

Esso, infatti, non si confronta con la ratio decidendi adottata dalla sentenza impugnata. Che ha ampiamente indicato le interrelazioni correnti tra la società che ha prestato la fideiussione e la società debitrice principale: da quelli concernenti alle rispettive compagini sociali a quelli attinenti allo svolgimento delle relative imprese sociali (cfr., in particolare, la notazione inerente alla locazione del fabbricato e alla lavorazione di marmo e granito anche a mezzo terzi).

14.- In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.500,00 (di cui Euro 100,00, per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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