Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26238 del 28/09/2021

Cassazione civile sez. I, 28/09/2021, (ud. 09/09/2021, dep. 28/09/2021), n.26238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25818/2020 r.g. proposto da:

O.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Massimo

Goti, presso il cui studio elettivamente domicilia in Prato, alla

via Q. Baldinucci n. 71.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza n. 1199/2020 della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE

depositata il 30/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 09/09/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 7 aprile/30 giugno 2020, la Corte di Appello di Firenze respinse il gravame proposto da O.M. contro la decisione resa dal tribunale di quella stessa città reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte ritenne: i) i fatti narrati dal richiedente inattendibili e, comunque, inidonei a giustificare le sue richieste di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); ii) insussistenti, nel Delta State, in Nigeria, da cui proveniva l’appellante, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), dell’appena menzionato D.Lgs.; iii) parimenti insussistenti fatti o accadimenti giustificativi della invocato rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Avverso questa sentenza l’ O. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. a), b) e c), ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione socio politica esistente in Nigeria e dell’omessa attività istruttoria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, censurandosi il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;

II) “Violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione alla omessa motivazione per quanto riguarda il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, criticandosi il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Le descritte doglianze, scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione, si rivelano insuscettibili di accoglimento nel loro complesso.

2.1. Invero, la corte fiorentina: i) ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente protezione, così conseguentemente disattendendo la richiesta di riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); ii) ha escluso che nel Delta State, in Nigeria, da cui proveniva il ricorrente, sia attualmente riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 12, della sentenza impugnata); iii) quanto alla invocata protezione umanitaria (da scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), ha evidenziato l’assenza di stati patologici di rilievo o di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione, altresì negando l’esistenza di una situazione di avvenuta integrazione in Italia del richiedente protezione.

2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che:

i) quanto al diniego della protezione sussidiaria, giova ricordare che la valutazione di inattendibilità del racconto del dichiarante osta al riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche di quest’ultima quanto alle fattispecie di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c) del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha opinato che, sostanzialmente, nel Delta State, in Nigeria, non si segnala attualmente una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. La doglianza di cui al primo motivo si risolve, sul punto, in una censura meritale, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 24193 del 2021; 28/09/2021 Cass. n. 11863 del 2018; Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 16056 del 2016), avendo la corte di appello tratto il proprio convincimento dal sito “(OMISSIS)” del Ministero degli Esteri – che fornisce informazioni comunque destinate a chi si deve recare all’estero – da cui non emerge il presupposto di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), con riguardo alla zona del Delta State, in Nigeria. Il ricorrente, inoltre, non indica specifici elementi idonei a sovvertire, in parte qua, la decisione impugnata, né rileva il riferimento alla “zona diversa”, poiché, in questo caso, il rimpatrio avverrebbe nella zona di provenienza del ricorrente, dove non è in essere un conflitto armato, come nel nord-est del Paese (cfr. Cass. n. 24193 del 2021);

la censura complessivamente afferente il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari si rivela inammissibile, risolvendosi, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie. Nessun decisivo rilievo assume, infine, da sola, ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, l’eventuale integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta dal richiedente (ma concretamente esclusa dalla corte distrettuale), posto che vige nella materia de qua il principio di diritto secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (cfr., nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 24413 del 2021, secondo cui “…occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano”; Cass., SU, n. 24959 del 2019. Cfr. anche Cass. n. 24104 del 2021, secondo cui “…lo svolgimento di attività lavorativa nel nostro Paese, da solo, non costituisce una ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per più ragioni: i) perché la legge non stabilisce alcun automatismo tra lo svolgimento in Italia di attività lavorativa e la sussistenza di una condizione di “vulnerabilità”; perché il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura temporanea, mentre lo svolgimento di attività lavorativa, in particolare a tempo indeterminato, legittimerebbe un permesso di soggiorno sine die; iii) perché la “vulnerabilità” richiesta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 17832 del 3.7.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019). Lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, per contro, può essere solo uno dei fattori indizianti che, valutati unitamente a tutte le altre circostanze del caso concreto, può dimostrare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo…”);

iii) a fronte di tale corretta operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui il ricorrente ha chiesto l’applicazione, le doglianze sviluppate nei motivi di ricorso in esame investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione sussidiaria ed umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017, Cass. n. 2959 del 2021 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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