Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26237 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 18/10/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 18/10/2018), n.26237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24299-2016 proposto da:

A.N.A.S. S.P.A., – AZIENDA NAZIONALE AUTONOMA DELLE STRADE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.P., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE, 16,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO CHIODETTI, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1000/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/04/2016 R.G.N. 3354/2013.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 1000/2016, pubblicata il 22 aprile 2016, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale della stessa sede, ha dichiarato il diritto di F.P. ad essere inquadrata con qualifica di “assistente di sala operativa” (livello B) a decorrere dal 17/10/2008 e condannato la datrice di lavoro A.N.A.S. S.p.A. al pagamento delle conseguenti differenze retributive;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con unico motivo, cui ha resistito la F. con controricorso;

– che entrambe le parti hanno depositato memoria;

rilevato:

che con il motivo proposto viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione alle disposizioni del verbale di intesa tra la società A.N.A.S. S.p.A. e le organizzazioni sindacali del 17/7/2008 e dell’art. 74 del CCNL 2002/2005 per avere la Corte ritenuto il diritto dell’appellante al livello superiore senza verificare in concreto se vi fosse stata pienezza di esercizio delle corrispondenti mansioni e per avere, al contrario, fondato interamente il proprio iter motivazionale sulla premessa che nella Sala Operativa, in cui operava la lavoratrice, non era presente personale con la qualifica rivendicata, da ciò facendo derivare la conclusione che in termini quantitativi e qualitativi tra le funzioni espletate dalla F. fossero prevalenti quelle riconducibili a tale qualifica (piuttosto che a quella di Addetto Sala Operativa, in cui risultava inquadrata);

osservato:

che quando il ricorso per cassazione sia proposto – come nella specie – per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, il requisito posto dall’art. 366, n. 4, può considerarsi soddisfatto soltanto se il ricorso contiene la specifica indicazione delle affermazioni in diritto rinvenibili nella sentenza impugnata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione di queste stesse norme fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla dottrina prevalente, solo in tal modo potendo la Corte di legittimità essere posta nella condizione di verificare il fondamento della violazione denunciata (giurisprudenza costante; cfr., fra le molte, Cass. n. 14832/2007);

– che, nell’inosservanza di tale principio, il ricorso tende a sollecitare una inammissibile diversa lettura e nuova valutazione del materiale di prova, e cioè un accertamento che è estraneo ai compiti di questa Corte e costituisce invece prerogativa del giudice di merito, a fronte di sentenza che ha ritenuto accertato, sulla scorta delle risultanze istruttorie, che l’appellante avesse “svolto con continuità le mansioni di addetto ed anche le ulteriori mansioni proprie dell’assistente”: e tali ulteriori mansioni – precisa il giudice di appello avesse svolto, oltre che con continuità, “con pienezza”, avuto riguardo “anche” (ma non solo) all’inesistenza di una figura con tale inquadramento nella sala operativa ove la stessa prestava servizio, fermo restando che il prolungato inadempimento della società all’accordo del 17 luglio 2008, che aveva definito un nuovo modello organizzativo e un aggiornamento delle declaratorie professionali, non poteva “riverberarsi in danno del lavoratore” che, come l’appellante, avesse “effettivamente svolto continuativamente” le mansioni di assistente di sala;

– che è invero consolidato il principio giurisprudenziale, secondo cui la Corte di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della causa ma solo quello di sottoporre a controllo, secondo la disciplina dell’art. 360 c.p.c., n. 5 tempo per tempo vigente, la valutazione compiuta dal giudice di merito “al quale soltanto spetta di individuare le fonti dei proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (cfr., fra le molte, Cass. n. 6288/2011);

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– che di esse va disposta la distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore della controricorrente avv. Guido Chiodetti, come da sua dichiarazione e richiesta.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dell’avv. Guido Chiodetti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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