Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26234 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. II, 18/11/2020, (ud. 09/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stufano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22990/2019 proposto da:

E.V.O., elettivamente domiciliato in Roma viale angelico

n. 38, presso lo studio dell’avv.to MARCO LANZILAO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2340/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 5 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da E.V.O., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Venezia aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. La Corte d’Appello rilevava che la vicenda narrata dal richiedente era priva di riferimenti fattuali credibili, con riferimenti del tutto generici e piena di imprecisioni e contraddizioni. Egli, infatti, aveva raccontato di essere scappato dal proprio paese a seguito di contrasti insorti con il capo del villaggio che voleva appropriarsi di terreni di proprietà sua e del padre per farvi istallare un’azienda. I suddetti contrasti avevano portato a degli scontri nel corso dei quali il dichiarante era stato ferito e, successivamente, essendo continuati i contrasti, egli ed il padre erano stati arrestati. Il padre era morto in carcere e lui, essendo stato autorizzato a presenziare ai funerali, seppur accompagnato dalla polizia, era riuscito a scappare durante le operazioni di sepoltura.

La Corte d’Appello confermava la valutazione di inattendibilità del racconto in quanto generico, lacunoso contraddittorio ed inverosimile già espressa dal tribunale.

La non credibilità del racconto determinava il rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Non ricorrevano i presupposti neanche della protezione di cui alla successiva lett. c), del citato art. 14, non risultando dalla consultazione delle fonti ufficiali, che la Nigeria, paese di provenienza del ricorrente, fosse soggetta a una violenza generalizzata.

Anche il permesso di soggiorno per motivi umanitari doveva essere negato non sussistendone i presupposti di vulnerabilità nè con riferimento alla complessiva situazione del paese di origine nè in relazione alla specifica condizione soggettiva del ricorrente.

3. E.V.O. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine. Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; contraddittorietà tra le fonti citate e il loro contenuto, motivazione solo apparente.

La censura attiene alla ritenuta assenza di una situazione tale da comportare una condizione di pericolo per la sicurezza individuale all’interno della Nigeria. In particolare, con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). A tal fine il ricorrente cita alcune fonti tra le quali Amnesty International, il Ministero degli affari esteri, (nota del marzo 2019) e ribadisce l’assoluta contraddittorietà tra le fonti citate e le conclusioni cui è giunta la Corte d’Appello. Inoltre, anche sensi dell’art. 10 Cost., vi sarebbe il diritto all’asilo.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: La Corte ha omesso ed errato nel non applicare al ricorrente la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi possa correre dei gravi rischi. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost., omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza. Omesso esame delle fonti informative relativamente alla condizione socioeconomica della Nigeria.

La censura attiene al mancato riconoscimento delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sussistendo la condizione soggettiva di vulnerabilità oltre che quella oggettiva con riferimento al paese di provenienza i seri motivi di carattere umanitario. La Corte peraltro non avrebbe tenuto conto della situazione della Nigeria e non avrebbe verificato le allegazioni e le complessive acquisizioni istruttorie, non attivandosi per completare le suddette allegazioni al fine della valutazione comparativa. Il ricorrente cita nuovamente fonti internazionali per evidenziare la situazione della Nigeria sotto il profilo della vulnerabilità oggettiva.

3. I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

La Corte d’Appello ha ampiamente motivato sia in relazione alla non credibilità del racconto che alla situazione soggettiva del ricorrente così come in ordine alla situazione complessiva della Nigeria.

Il ricorrente, inoltre, deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale della Nigeria, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

Come si è detto la Corte d’Appello ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza (non solo Amnesty International come censurato dal ricorrente, ma anche il sito Coi/Easo e la direttiva di non rimpatrio da parte dell’UNHCR), la situazione generale del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Nigeria, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019).

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

8. In conclusione il ricorso è inammissibile, le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

 

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