Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26231 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. II, 18/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22769/2019 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui via dei Portoghesi 12, domicilia per legge;

– ricorrente –

contro

O.O.;

– intimato –

avverso il DECRETO n. 456/2019 del TRIBUNALE DI L’AQUILA, depositato

il 7/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 7/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ministero dell’interno, con ricorso notificato in data 17/7/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto, depositato il 7/2/2019, con il quale il tribunale di L’Aquila, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta da O.O., cittadino della (OMISSIS), ha riconosciuto a quest’ultimo la protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il richiedente è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ministero, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, lett. c), ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha riconosciuto al richiedente la protezione sussidiaria prevista dall’art. 14, lett. c) cit..

1.2. La ricostruzione operata dal tribunale in ordine alla sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nell’Edo State non risulta, infatti, adeguatamente supportata dalle COI utilizzate, limitandosi ad una generica elencazione di atti di violenza che interessano l’intero territorio della Nigeria.

1.3. Non risulta, inoltre, possibile risalire alla fonte delle informazioni citate, in netta violazione dei principi di trasparenza e tracciabilità delle COI.

1.4. Il decreto, poi, fa riferimento ad informazioni ricavate dal sito (OMISSIS) il quale, tuttavia, costituisce un canale informativo che, seppur attendibile, non è rivolto a soggetti, come i turisti, non comparabili con i richiedenti la protezione internazionale.

1.5. Il decreto, infine, ha completamente omesso di analizzare il terzo elemento costitutivo della protezione sussidiaria, costituito dalla presenza, nell’area di interesse, di un conflitto armato, interno o internazionale, per effetto del quale il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello così elevato da far ritenere che un soggetto, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, subirebbe, per la sua sola presenza nel territorio, il rischio effettivo di subire detta minaccia. Peraltro, ha concluso il ricorrente, come si evince dal Report dell’EASO COI Meeting del 2017, nessuna regione della Nigeria supera la soglia del rischio comune, ad eccezione della zona nord orientale in cui opera l’organizzazione terroristica di (OMISSIS).

2.1. Con il secondo motivo, il ministero, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha riconosciuto la protezione sussidiaria sulla base di un rapporto COI che ha come esclusivo riferimento temporale il periodo che va dal 2012 al 2014, laddove, in forza della norma citata, la domanda di protezione internazionale dev’essere esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese d’origine del richiedente.

2.2. In effetti, ha concluso il ricorrente, le fonti consultate evidenziano che, al netto di sporadiche violenze, nella zona di provenienza del richiedente, non appare sussistere, negli anni 2016, 2017 e 2018, alcun conflitto armato, interno o internazionale, che abbia generato una violenza indiscriminata.

3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.

Il tribunale, infatti, dopo aver esposto che dal sito (OMISSIS) emerge come le autorità nigeriane abbiano reso noto che (OMISSIS) starebbe pianificando di allargare le proprie azioni terroristiche all’intero Paese, compresa la capitale e la città di Lagos, ha rilevato, per un verso, che, come emerge dal rapporto di Amnesty International del 2017, la Nigeria è caratterizzata da patenti violazioni di diritti umani, tra cui esecuzioni stragiudiziali e torture, e, per altro verso, che, nella zona di provenienza del richiedente, e cioè l’Edo State, il rapporto COI utilizzato dalla sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Trieste n. 237 del 5 aprile 2017 dimostra che tale Stato, per l’aumento degli episodi di violenza e degli associati decessi, è uno dei più violenti del Delta del Niger, ed ha, in forza di tali fatti, ritenuto che, nel caso esaminato, sussistesse, in ragione di tale “violenza indiscriminata”, il rischio per il richiedente di subire, ai fini previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), un danno grave.

3.2. Tale decisione si pone, tuttavia, in evidente contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte la quale, in effetti, ha più volte ribadito che:

– ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale va accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019; Cass. n. 15317 del 2020);

– il giudice di merito, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, ha il dovere di procedere a tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, in motiv.): nei giudizi di protezione internazionale, in particolare, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (Cass. n. 13897 del 2019; Cass. n. 9230 del 2020), vale a dire, più precisamente, delle informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente asilo che (se non già reperibili in atti nel fascicolo della Commissione territoriale) la Commissione Nazionale sul diritto d’asilo, sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO o del Ministero degli esteri, fornisce agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative;

– l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 cit. non ha, peraltro, carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici Senza Frontiere), che spesso contengono informazioni dettagliate e aggiornate (cfr. Cass. n. 13449 del 2019), ma non può essere di certo sufficiente, senza neanche aver dato conto dell’attivazione dei canali informativi previsti dalla legge, il riferimento ai dati desunti da una fonte riguardante categorie di soggetti, come i turisti o i cittadini stranieri, non comparabili con i richiedenti la protezione internazionale (Cass. n. 16202 del 2012, la quale ha cassato la decisione della corte di appello, che aveva ritenuto inverosimili le dichiarazioni di un cittadino del Togo sul rischio di persecuzione nel paese d’origine, facendo esclusivo riferimento, tra l’altro, alle risultanze del sito del Ministero degli Esteri destinato all’informazione turistica);

– il ricorrente, dal suo canto, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. n. 26728 del 2019).

3.3. Il decreto impugnato, al contrario, per un verso, non risulta, a fronte del testo delle fonti più recenti riprodotto nel ricorso, aver utilizzato le informazioni più aggiornate al momento della decisione assunta, e, per altro verso, non ha svolto alcun accertamento sul fatto che il grado di violenza indiscriminata asseritamente esistente in quel momento nell’Edo State avesse origine in un conflitto armato nè che tale violenza avesse raggiunto livello talmente elevato da far ritenere che il richiedente, se rinviato nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subire, in conseguenza, una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona.

4. Il ricorso dev’essere, pertanto, accolto e il decreto impugnato, per l’effetto, cassato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di L’Aquila che, in diversa composizione, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa il decreto impugnato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di L’Aquila che, in diversa composizione, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

 

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