Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26230 del 22/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 26230 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 5373-2008 proposto da:
EDIL 3M DI MACCARONE CARLO GABRIELE & EUGENIO S.N.C.
01323090694, in persona del legale rappresentante protempore GABRIELE MACCARONE, ‘elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA GERMANICO 99, presso lo studio
dell’avvocato PANETTA MASSIMILIANO, rappresentato e
r
í

2013
1947

difeso dagli avvocati SUPINO VITTORIO, IEZZI LORENZINA
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

CIRILLO ANTONELLA CRLNNL56C59G482S, CIRILLO PATRIZIA

1

Data pubblicazione: 22/11/2013

CRLPRZ53L62G482D, elettivamente domiciliate ex lege in
ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentati e difesi dall’avvocato CIRILLO FABRIZIO
giusta delega in atti;
– controricorrenti

di L’AQUILA, depositata il 13/11/2007 R.G.N. 356/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/10/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato FABRIZIO CIRILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

avverso la sentenza n. 921/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 12-2-1999 Patrizia ed
Antonella Cirillo, proprietarie -in quanto aventi causa da
Francesco Cirillo – dei fondi agricoli siti in Rosciano (di
circa mq.40.000 di superficie), concessi con scritture in date

sfruttamento a cava dei materiali inerti ivi esistenti,
convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Pescara la
detta società deducendo che, alla data di scadenza contrattuale
del 30-8-1998, nonostante molteplici costituzioni in mora, non
aveva restituito i terreni, e non aveva neppure adempiuto alle
obbligazioni assunte di riempimento e ripristino dei fondi, di
ripristino della stradina interpoderale e dell’impianto di
irrigazione. Ciò premesso, ne chiedevano la condanna al rilascio
dei terreni, al pagamento della somma di L.455.080.000 (quale
prestazione equivalente al valore in denaro delle spese
necessarie per le opere di ripristino) e al risarcimento del
danno -da liquidarsi in separata sede- derivato dalla mancata
disponibilità ei fondi. Nel costituirsi m giudizio la società
Ditta Edilizia 3 M s.n.c. contestava la domanda deducendo
l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni a causa del
sequestro dei fondi disposto nell’ambito del procedimento penale
instaurato a carico di Eugenio e Gabriele Maccarone per aver
adibito i terreni, oggetto di causa, a discarica abusiva. In
esito al giudizio, il Tribunale adito accoglieva la domanda
attrice ordinando il rilascio dei terreni in favore delle

3

4/,

22-12- 1990 e 22-11-1994 alla società Ditta Edilizia 3 M per lo

proprietarie e quantificando il danno per equivalente in C
242.773,69 oltre interessi dalla data di pubblicazione della
sentenza; condannava altresì la convenuta al risarcimento dei
danni da liquidarsi in separata sede per la mancata
disponibilità dei fondi. Avverso tale decisione proponevano

Antonella Cirillo in via incidentale, ed in esito al giudizio,
la Corte di Appello di L’aquila con sentenza depositata in data
13 novembre 2007, notificata il 18 dicembre 2007, rigettava
l’appello principale e dichiarava inammissibile l’appello
incidentale, compensando le spese. Avverso la detta sentenza la
Ditta Edilizia 3 M ha quindi proposto ricorso per cassazione
articolato in tre motivi. Resistono le Cirillo con
controricorso, illustrato da memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la prima

doglianza,

deducendo la violazione e la falsa

applicazione dell’art.295 cpc in relazione agli artt.654 cpp e
211 disp.att. cpp, la ricorrente ha censurato la sentenza
impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha escluso che
nel caso di specie ricorressero i presupposti di legge per
disporre la richiesta sospensione del procedimento ex art.295
cpc.
La seconda doglianza, articolata sotto il profilo

della

motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, si fonda
invece sulla considerazione che la Corte di Appello non si
sarebbe fatta carico di spiegare compiutamente le ragioni della

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appello, la ditta Edilizia 3 M in via principale, Patrizia ed

reiezione del secondo motivo di gravame con cui l’appellante
aveva invocato il principio della impossibilità sopravvenuta
della prestazione, a causa del sequestro dei terreni, e
l’insussistenza del diritto delle proprietarie dei fondi al
risarcimento dei danni.

ragione della connessione che le unisce, sono infondate non
cogliendo nel segno. Ed invero, premesso che nel sistema
attualmente in vigore esiste una tendenziale autonomia tra il
giudizio penale e quello civile, non può comunque negarsi, in
via astratta e di principio, un rapporto di pregiudizialità tra
essi ostandovi l’art.211 delle norme di attuazione ispirato alla
finalità di prevenire contraddittorietà di giudicati. Ne deriva
che la sospensione necessaria del procedimento civile postula il
fondamentale presupposto che la sentenza penale possa avere
efficacia di giudicato nel giudizio civile, non essendo al
riguardo sufficiente l’influenza, in sede civile, dell’indagine
dei fatti accertati in sede penale (v. Cass.n.20241/2006).
Tale orientamento, ormai consolidato, è stato ribadito di
recente, affermandosi il principio, secondo cui “in materia di
rapporto tra processo civile e processo penale, il primo può
essere sospeso, in base a quanto dispongono gli artt. 295 cod.
proc. civ., 654 cod. proc. pen. e 211 disp. att. cod. proc.
pen., solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla
commissione del reato oggetto dell’imputazione penale un effetto
sul diritto oggetto di giudizio nel processo civile, e sempre a

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Entrambe le censure, che vanno trattate congiuntamente in

condizione che la sentenza che sia per essere pronunciata nel
processo penale possa esplicare nel caso concreto efficacia di
giudicato nel processo civile, atteso che, fuori da tali casi,
la sospensione di quest’ultimo si tradurrebbe in una violazione
del principio di ragionevole durata del processo”.

Tutto

ciò

premesso,

merita

di

essere

condivisa

la

considerazione, posta a base della decisione, dalla Corte di
merito, la quale ha statuito a riguardo che nel caso di specie
si è del tutto al di fuori della problematica connessa alla
pregiudizialità penale, non ricorrendo il nesso di
indispensabile antecedenza logico-giuridica tra la definizione
del processo penale e quello della presente causa civile, sì che
possa configurarsi l’esigenza di evitare. Ciò, in quanto ”
fatti posti a fondamento dell’azione penale ed ascritti a carico
dei soci della società Ditta Edilizia 3 M s.n.c. (utilizzo non
autorizzato dei terreni come discarica) risultano ben diversi e
distinti da quelli (identificantisi nell’inadempimento alle
molteplici obbligazioni originate dal titolo contrattuale)
dedotti a fondamento della domanda di restituzione e
risarcimento del danni azionata nei confronti della società
nella presente sede; parimenti, ben differenti appaiono le
conseguenze connesse agli obblighi restitutori di cui alla
sentenza penale (che attengono puramente e semplicemente
all’illecita realizzazione della discarica) rispetto alle
obbligazioni dedotte a sostegno della domanda azionata nella

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(Cass.n.10054/09).

presente sede (quali specificamente previste e disciplinate nel
titolo contrattuale”
Con la conseguenza che, nella specie, non sussiste affatto la
pretesa illegittima duplicazione del risarcimento perché la
riduzione in pristino dei fondi in sede penale è, di per sé,

esaurendo in essa i suoi effetti, mentre il ripristino disposto
con la sentenza civile attiene all’adempimento di diverse ed
ulteriori obbligazioni contrattuali, connesse alla cessazione
del rapporto dedotto nella domanda.
Ugualmente corretta – e quindi condividibile – è altresì la
considerazione dei giudici di merito, in relazione alla pretesa
impossibilità sopravvenuta della prestazione dedotta dalla
società appellante a causa del sequestro probatorio della cava,
quando la Corte di secondo grado sottolinea opportunamente che
la liberazione del debitore intanto può verificarsi in quanto
concorrano l’elemento obiettivo dell’impossibilità di eseguire
la prestazione, in sé e per sé considerata, e quello soggettivo
dell’assenza di colpa da parte del debitore con riguardo
all’evento che ha reso impossibile la prestazione. Ed invero
l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, tale da
determinare l’estinzione dell’obbligazione, deve essere esclusa
quando essa sia imputabile al debitore, comportando in tal caso
la conversione dell’obbligazione di adempimento in quella di
risarcimento dei danni provocati.

7

correlata funzionalmente alla rimozione della discarica abusiva,

Ed è appena il caso di sottolineare a riguardo che il
provvedimento di sequestro intervenne il 2 ottobre 1998 quando
la cessionaria era già in mora sui tempi della riconsegna che
avrebbe dovuto avvenire il 30 agosto 1998 senza peraltro che si
fosse premurata di adempiere le ulteriori obbligazioni, previste

vegetale, il ripristino della viabilità interna, l’attivazione
dell’impianto di irrigazione (v. pagg. 10 e 11 della sentenza
impugnata).
Resta da esaminare la terza

doglianza, articolata

sotto il

profilo della motivazione omessa insufficiente e
contraddittoria, con cui la ricorrente lamenta che la Corte
territoriale avrebbe reso una motivazione contraddittoria, se
non apodittica, non essendo dato di comprendere la ragione “per
la quale il risarcimento del danno da ritardata consegna dei
fondi non sia stata limitata al periodo temporale intercorso tra
la data di scadenza del contratto e quella del provvedimento di
sequestro e soprattutto non sia stata in alcun modo determinata
nel tempo nonostante la stessa Corte abbia riconosciuto e
dichiarato in sentenza che i fondi sono medio tempore stati
restituiti”
Ha quindi concluso il motivo di impugnazione con il seguente
quesito di diritto:”

dica la Ecc.ma Corte se nel caso in esame

atteso che la oggettiva impossibilità di riconsegna dei fondi
alle legittime proprietarie è stata limitata nel tempo a
decorrere dalla scadenza del contratto 31.8.1998 alla data del

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in contratto, riguardanti il riempimento delle cave con terreno

sequestro e che alcun termine è stato fissato dal giudice di
merito il danno generico liquidato andava, se del caso, quanto
meno limitato a tale periodo, sia pure se da liquidarsi in
separata sede e determinato limitatamente alle sole aree da
rimettere in pristino secondo le risultanze della stessa Ctu

La censura è inammissibile. Ed invero, in primo luogo, deve
sottolinearsi che, nel vigore dell’art.366 bis cpc, in base al
capoverso di tale articolo, il ricorrente che denunci un vizio
di motivazione della sentenza impugnata è tenuto, a corredo del
relativo motivo, a formulare in riferimento alla anzidetta
censura un momento di sintesi, omologo del quesito di diritto,
indicando chiaramente in modo sintetico, evidente ed autonomo,
il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume
omessa, insufficiente o contraddittoria, ed indicando
specificamente le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
o contraddittorietà della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione. Nel caso di specie, non solo la
ricorrente, dopo aver dedotto un vizio motivazionale, ha
formulato un quesito di diritto in luogo di un momento di
sintesi, ma soprattutto ha esaurito il quesito di diritto nella
mera asserzione che il danno generico liquidato andava limitato
ad un determinato periodo e stabilito limitatamente alle sole
aree da rimettere in pristino, secondo le risultanze della
stessa Ctu versata in atti, senza indicare chiaramente, in modo
evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la

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versata in atti”

motivazione

sarebbe

stata

omessa,

insufficiente

o

contraddittoria, e soprattutto senza indicare neppure
minimamente le ragioni per cui la motivazione sarebbe stata
inidonea a sorreggere la decisione ed il ragionamento della
Corte avrebbe contenuto un insanabile contrasto tra le

l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base
della decisione.
Ora, posto che la norma di cui all’art. 366 bis citato non può
essere interpretata nel senso che il momento di sintesi possa
desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di
ricorso, poiché una siffatta interpretazione si risolverebbe
nell’abrogazione tacita della norma in questione, il motivo in
esame, privo dei requisiti richiesti, deve essere dichiarato
inammissibile, ai sensi dell’art.366 bis c.p.c.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle
censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in
esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla
rifusione, in favore di ciascuna contro ricorrente, delle spese
di questo giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al D.M.
n.140/2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità, in favore delle

10

‘-i

argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire

controricorrenti, che liquida in complessivi E 4.200,00 di cui
C 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed C 200,00
per esborsi.

Così deciso in Roma in camera di Consiglio in dat 18.10.2013

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