Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26229 del 28/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/09/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 28/09/2021), n.26229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNTO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5365-2020 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE,

3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO FABIANI,

FRANCESCO PAOLO LUISO;

– ricorrente –

PA.GI., P.B., PE.AN., S.A.S. FARMACIA

C. DELLA DOTT.SSA G.P., elettivamente domiciliati in Roma,

via Caio Mario 27, presso lo studio dell’avv. Francesco Alessandro

Magni, che li rappresenta e difende insieme all’avv. Roberto

Sagripanti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2723/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 18/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La presente causa è stata intrapresa da P.G. dinanzi al Tribunale di Firenze, in relazione alla successione della madre R.L.. L’attore ha chiamato in giudizio gli altri eredi e la società Farmacia C. S.a.s., deducendo di essere stato leso nei propri diritti di legittimario dalle disposizioni testamentarie e donazioni della propria madre. Per quanto ancora interessa in questa sede, l’attore sostenne che, in occasione della costituzione della società in accomandita semplice “Farmacia C.”, avvenuta nel 1992 mediante conferimento della farmacia di proprietà della de cuius R.L., quest’ultima aveva posto in essere una liberalità in favore dei figlio Pa.Gi., che fu reso, con tale operazione, compartecipe della società in misura del 49%; di contro la madre, a fronte del conferimento dell’intera azienda, acquistò la partecipazione del 51%.

Il Tribunale la Corte d’appello di Firenze hanno escluso che, in concomitanza della costituzione della società, la de cuius avesse realizzato una liberalità favore di Pa.Gi., il quale aveva acquisito una partecipazione sociale corrispondente all’incremento di valore dell’azienda derivante dal suo apporto nell’impresa familiare, secondo la valutazione del consulente tecnico.

Per la cassazione della sentenza P.G. propone ricorso affidato a un unico motivo, con il quale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si duole del criterio di calcolo fatto proprio dai giudici di merito, il quale avrebbe portato a una duplicazione di poste in favore di Pa.Gi.. Gli intimati hanno resistito con controricorso.

La causa è stata fissata dinanzi alla sesta sezione civile su conforme proposta del relatore di manifesta infondatezza del ricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Il ricorso è infondato.

Il senso della complessiva censura proposta con il ricorso, ancora ribadita nei suoi estremi essenziali con la memoria, è il seguente: a) l’impresa familiare era di proprietà esclusiva della comune madre; b) il figlio Pa.Gi., il quale aveva coadiuvato la madre nella gestione dell’impresa, poteva vantare solo un diritto di credito nei confronti della titolare; c) la Corte d’appello ha utilizzato un criterio di calcolo che ha portato alla duplicazione del credito del figlio verso la madre, che sarebbe stato utilizzato, una prima volta, in sede di determinazione del valore dell’azienda conferita nella società di nuova costituzione: dal valore dell’azienda conferita, infatti, è stato detratto un importo pari al valore del credito di Pa.Gi.; una seconda volta, quanto il credito è stato “successivamente ripreso al fine di ritenere pressoché paritario il conferimento del figlio, con quello rettificato della madre, (…), sebbene il credito del figlio fosse ormai pari a zero, perché già speso per dimidiare il valore della farmacia della madre”. La censura non tiene conto che, come ricorda la Corte d’appello, l’atto di costituzione della società “ben specifica che la madre conferisce nella società l’azienda commerciale (…) ogni credito e debito relativo alla gestione della stessa farmacia maturato alla data odierna”. Ciò posto – e premesso in punto di diritto che la quota di incremento di valore dell’azienda, riferibile all’attività del familiare, costituisce un credito del familiare verso il titolare dell’impresa (Cass. n. 7223 del 2004; Cass. n. 874 del 2005) – è inevitabile concludere che l’operazione, nei termini assunti nella sentenza impugnata, non ha fatto altro che neutralizzare le partite di segno opposto: passiva per la titolare, debitrice del figlio, e attiva per il figlio, creditore della madre. La titolare, invece di pagare in moneta, ha soddisfatto il credito del figlio, rendendolo compartecipe dell’azienda per importo corrispondente: il suo patrimonio non ha subito nella vicenda altra diminuzione se non quella dipendente dalla liquidazione del credito; analogamente non ha subito alcun incremento la sfera del creditore, il quale ha realizzato il credito non per equivalente, ma in natura, acquisendo una partecipazione di pari valore nella società di nuova costituzione. Non c’e’ stato, in altri termini, né impoverimento, né arricchimento, essendo quindi assenti i requisiti oggettivi della donazione (Cass. n. 6994 del 2000; Cass. n. 818 del 2012).

In una vicenda del genere, la liberalità, in ipotesi soggetta a riunione fittizia, non potrebbe che ravvisarsi, nella forma del negozio misto con donazione, nell’eventuale divario fra il valore del credito per l’incremento e la misura della partecipazione attribuita al creditore, qualora risulti che il divario fu voluto per spirito di liberalità di una parte verso l’altra (Cass. n. 7681 del 2019). La Corte d’appello, però, ha escluso la ricorrenza di una tale eventualità e la relativa statuizione non è stata censurata. Non è neanche in discussione in questa sede l’effettività del credito per l’incremento dipendente dall’apporto dei figlio nell’impresa familiare.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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