Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26229 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. II, 18/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22246/2019 proposto da:

C.B., rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURO CECI,

presso il cui studio a L’Aquila, via Enrico De Nicola 1/A,

elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al ricorso

del 18/7/2019;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la SENTENZA n. 1268/2019 della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA,

depositato il 15/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 7/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello che C.B., nato in (OMISSIS), aveva proposto nei confronti dell’ordinanza con la quale, in data 21/2/2018, il tribunale aveva, a sua volta, rigettato l’opposizione che lo stesso aveva presentato avverso il provvedimento della commissione che aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale.

C.B., con ricorso notificato in data 18/7/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno è rimasto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, intitolato “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, la nullità del provvedimento impugnato e degli atti presupposti e conseguenti per omessa traduzione degli stessi in una lingua conosciuta allo straniero, la nullità del provvedimento impugnato per violazione della L. n. 15 del 1968, art. 14, come modificato dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18 e s.m.i. e per violazione dell’art. 137 c.p.c., nonchè, infine, la nullità del provvedimento per mancanza di sottoscrizione ed omessa valutazione, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, rigettando le eccezioni proposte sul punto, non ha considerato che la comunicazione della decisione negativa della commissione territoriale deve essere resa nella lingua indicata dal richiedente o, se non è possibile, in una delle lingue veicolari, e che la traduzione non integrale del provvedimento comporta un’evidente compromissione del diritto di difesa, con violazione dell’art. 111 Cost..

1.2. L’atto notificato al richiedente, ha proseguito il ricorrente, è, inoltre, una mera copia del provvedimento di diniego della protezione internazionale, privo dell’obbligatoria attestazione di conformità all’originale ed è, pertanto, nullo per difetto della sua necessaria formalità comunicatoria.

1.3. L’atto impugnato, infine, ha concluso il ricorrente, è carente tanto della sottoscrizione in originale, quanto della coccarda e della stringa che devono comparire su ciascuna delle pagine firmate digitalmente in modo da garantire l’identificabilità del suo autore.

2.1. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui risulta articolato.

2.2. Intanto, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale (cfr. Cass. n. 23760 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020). La sentenza impugnata, del resto, ha evidenziato, senza che sul punto alcuna contestazione sia stata mossa, che il provvedimento impugnato, nella parte in cui contiene il diniego della protezione internazionale e l’indicazione dei modi e dei termini per impugnare l’atto, è stato tradotto in inglese, che il ricorrente, in sede di audizione innanzi alla commissione, ha dichiarato di conoscere.

2.3. Il richiedente, inoltre, come rilevato dalla sentenza impugnata con statuizione rimasta priva di censura, ha partecipato al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze della pronuncia che lo ha riguardato, che il ricorrente, in effetti, ha tempestivamente e compiutamente impugnato (cfr. Cass. n. 23760 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020).

2.4. Per il resto non può che ribadirsi il principio per cui, in tema d’immigrazione, la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicchè deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può, dunque, limitarsi, pur a fronte di un vizio che comporti – in ipotesi – la sua nullità quale provvedimento amministrativo, al mero annullamento dello stesso (cfr., di recente, Cass. n. 17318 del 2019).

3.1. Con il secondo motivo, intitolato “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente, lamentando la mancata applicazione degli artt. 1 e 2 della Convenzione di Ginevra, la violazione di legge per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per la mancata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè, infine, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, senza fornire alcuna motivazione in ordine alla dichiarata mancanza dei relativi presupposti, ha respinto tanto la domanda di protezione internazionale, quanto la domanda di protezione umanitaria che lo stesso aveva proposto.

3.2. Così facendo, in effetti, ha osservato il ricorrente, il tribunale, a seguito di un’erronea interpretazione dei fatti, delle dichiarazioni rese dal richiedente e dei documenti allegati, dei quali ha omesso ogni valutazione, non ha considerato che la storia personale dello stesso è logicamente coerente e credibile e si situa in un contesto socio-economico ben delineato, e che ciò attribuisce piena coerenza e credibilità alle dichiarazioni rese dal richiedente il quale, del resto, ha fornito, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione presentata.

3.3. Sussiste, quindi, ha proseguito il ricorrente, il pericolo, in caso di rientro nel suo Paese d’origine, del danno grave tanto nel senso indicato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), quanto nel senso previsto dello stesso D.Lgs. n. 251, art. 14, lett. c).

Il Gambia, in effetti, come emerge da fonti internazionali attendibili, non può essere considerato uno Stato sicuro per la diffusione di episodi di violenza indiscriminata da parte di privati o di gruppi di persone e per la presenza in ampie zone del paese di scontri armati tra le forze di sicurezza gambiane e i ribelli separatisti.

3.4. Sussistono, inoltre, ha aggiunto il ricorrente, i seri motivi per la concessione del permesso di soggiorno previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, che il tribunale, senza alcuna reale motivazione, ha negato nonostante che il richiedente, nel corso dell’audizione personale, avesse ben descritto la sua precaria e vulnerabile situazione personale e sociale.

Il richiedente, del resto, è ben inserito nel contesto sociale in cui risiede, parla perfettamente la lingua italiana e svolge attività lavorativa ed è, quindi, perfettamente integrato nel territorio nazionale. Il suo allontanamento comporterebbe, pertanto, un aggravamento delle sue condizioni psicologiche già compromesse.

2.1. Il motivo è fondato nei limiti che seguono.

2.2. Questa Corte, in effetti, ha più volte affermato (cfr. le ordinanze n. 13449 del 2019, n. 13450 del 2019, n. 13451 del 2019, n. 13452 del 2019) che il giudice di merito, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione.

2.3. La decisione impugnata non soddisfa i suindicati requisiti. La corte d’appello, infatti, ha ritenuto che in Gambia non esiste una situazione di conflitto armato interno limitandosi a fare, sul punto, rifermento alle “notizie desumibili facilmente da qualunque sito di politica internazionale, come ad es. (OMISSIS)”, vale a dire ad una fonte giornalistica che, per quanto autorevole, non è, tuttavia, riconducibile, a quelle previste dall’art. 8, comma 3, cit..

In effetti, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda di protezione internazionale, il giudice di merito non può poggiare la propria valutazione sulla esclusiva base della credibilità soggettiva del richiedente, essendo tenuto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, ad un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, peraltro derivanti anche dall’adozione del rito camerale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente asilo che (se non già reperibili in atti nel fascicolo della Commissione territoriale) la Commissione Nazionale sul diritto d’asilo, sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO o del Ministero degli esteri, ai sensi del comma 3 dell’art. 8 cit., fornisce agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative.

Ora, l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 cit. non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici Senza Frontiere), che spesso contengono informazioni dettagliate e aggiornate (cfr. Cass. n. 13449 del 2019), ma non può essere di certo sufficiente, senza neanche aver dato conto dell’attivazione dei canali informativi previsti dalla legge, il riferimento a dati desunti da una fonte riguardante categorie di soggetti, come i lettori di una testata giornalistica, non comparabili con i richiedenti la protezione internazionale (cfr. Cass. n. 16202 del 2012, la quale ha cassato la decisione della Corte di appello, che aveva ritenuto inverosimili le dichiarazioni di un cittadino del Togo sul rischio di persecuzione nel paese d’origine, facendo esclusivo riferimento, tra l’altro, alle risultanze del sito del Ministero degli Esteri destinato all’informazione turistica).

3. La sentenza impugnata, pertanto, dev’essere in parte qua cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, la quale provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il primo motivo, accoglie il secondo nei limiti esposti in motivazione e, per l’effetto, nei predetti limiti, cassa la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di L’Aquila che, in diversa composizione, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

 

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