Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26228 del 22/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 26228 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 7962-2008 proposto da:
MORETTI STEFANIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio
dell’avvocato VALLEFUOCO ANGELO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente t
2013
1940

contro

INPDAP ;
– intimato –

avverso la sentenza n. 339/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 03/04/2007 R.G.N.

1

6800/2005;

Data pubblicazione: 22/11/2013

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/10/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato MASSIMILIANO VOLO RANCATI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 24 aprile 2002 Stefania
Moretti conveniva in giudizio l’Inpdap esponendo di detenere in
locazione un appartamento di proprietà del predetto istituto,
sito in Roma alla via Giuseppe Berto n.31, e di aver

l’immobile posto in vendita mediante la procedura di
dismissione di cui al DL 351/2001. Aggiungeva che la data del
rogito era stata più volte rinviata dall’Istituto e che, nel
frattempo, la condizione igienico-sanitaria dell’appartamento
era divenuta precaria. Ciò premesso, chiedeva che il Tribunale,
accertasse la sussistenza del suo diritto di prelazione per
l’acquisto del bene e condannasse l’Inpdap al risarcimento dei
danni in suo favore a causa dei vizi dell’immobile e del
sofferto disagio abitativo. In esito al giudizio, in cui si
costituiva l’Inpdap contestando la domanda, il Tribunale adito,
dopo aver disposto il mutamento del rito in quello locatizio,
rigettava le domande avanzate dall’attrice. Avverso tale
decisione la Moretti proponeva appello ed in esito al giudizio,
in cui si costituiva l’Inpdap resistendo, la Corte di Appello
di Roma con sentenza depositata in data 3 aprile 2007
rigettava l’impugnazione proposta. Avverso la detta sentenza la
soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione
articolato in quattro motivi, illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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/11

esercitato il diritto di prelazione chiedendo di acquistare

Al fine di poter inquadrare più compiutamente i termini della
controversia,

appare

opportuno

riepilogare,

sia

pure

brevemente, i fatti di causa, così come sono stati
rappresentati nella sentenza impugnata, prendendo le mosse
dalla dichiarazione di disponibilità all’acquisto, datata 30

esercitare il diritto di prelazione, impegnandosi ad acquistare
l’immobile condotto in locazione ed accettando il prezzo di
L.298.500.000 per l’acquisto dell’unità immobiliare, allo stato
di fatto e di diritto, in cui si trovava alla data di
sottoscrizione della comunicazione.
Essendosi la Moretti iscritta alla Cooperativa Cosvedil ai fini
dell’acquisto in forma collettiva, l’ente prendeva atto di tale
iscrizione consentendo uno sconto sul prezzo dell’immobile pari
al 14% del prezzo comunicato (lettere del 23 aprile e 3 giugno
2002). Nello stesso tempo, dichiarava espressamente che,
qualora la conduttrice non si fosse presentata al rogito
fissato, sarebbe stata considerata rinunciataria con
conseguente alienazione dell’alloggio alla cooperativa di
adesione.
Fatto sta che la Moretti, dopo aver chiesto con una prima
comunicazione di procrastinare la data del rogito, con una
successiva lettera del 27 giugno 2002, manifestava la volontà
di non sottoscrivere il rogito alle condizioni indicate
dall’ente, non avendo tenuto conto dei danni presenti
nell’appartamento (v.pag.4 della sentenza impugnata).

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marzo 2000, con cui la Moretti comunicava all’Inpdap di voler

Sulla base di tali emergenze, il giudice di primo grado ha
quindi respinto le domande introdotte dalla Moretti con
citazione notificata in data 24 aprile 2002 rigettando sia la
domanda di accertamento del diritto di prelazione

(rectius, di

opzione), in considerazione del rifiuto della Moretti di

per l’inidoneità dell’immobile all’uso abitativo e per il
conseguente disagio sofferto. La Corte di appello, a sua volta,
respingeva l’impugnazione della Moretti perché la stessa,
all’atto dell’esercizio del diritto di prelazione si era
impegnata ad accettare l’immobile nello stato di fatto in cui
si trovava all’epoca ed al prezzo indicato nella dichiarazione,
la cui congruità non era stata contestata sulla base dei
criteri stabiliti dal D.L. 351/2001, non costituendo i vizi
denunciati elementi validi di contestazione di quei criteri ma
ultronei rispetto ad essi. Con la conseguenza – così continuava
la Corte- che il comportamento, della Moretti, di
procrastinare il rogito e quindi di rifiutarsi di
sottoscriverlo appariva tale da giustificare la conferma della
sentenza di primo grado (V. pagg. 4 e 5 della decisione di
seconde cure).
Tutto ciò premesso, passando all’esame delle doglianze svolte
dalla Moretti, va rilevato che con
il primo motivo,

deducendo la violazione e la falsa

applicazione dell’art.3 co.3 D.L. 351/2001 convertito in legge
410/2001, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata

5

A\

addivenire alla stipula, sia la domanda di risarcimento danni

nella parte in cui la Corte di Appello ha rigettato la domanda
di accertamento relativa alla sussistenza del diritto di
prelazione in capo ad essa Moretti per avere la stessa
rifiutato di sottoscrivere il rogito alle condizioni e sulla
base dei criteri stabiliti dal D.L. 351/2001 senza aver fornito

dall’Inpdap. Al contrario, al fine di rispondere alla domanda
di accertamento avanzata, la Corte avrebbe dovuto accertare
unicamente se, al momento della messa in vendita da parte
dell’ente, la Moretti possedesse i requisiti di legge e avesse
correttamente manifestato la volontà di acquistare l’immobile
locatole.
Con la seconda

doglianza, svolta per violazione e falsa

applicazione dell’art.112 cpc in relazione all’art.360 n.3 cpc,
la ricorrente ha dedotto che la Corte avrebbe violato la norma
indicata per aver preso in considerazione circostanze non
sussistenti al momento della proposizione della domanda e
viceversa verificatesi solo nelle more del giudizio di primo
grado, quale il rifiuto di sottoscrivere il rogito avvenuto
quasi un anno dopo la proposizione della domanda.
Sia l’una che l’altra censura non colgono nel segno e devono
essere disattese. Al riguardo, è opportuno premettere che la
dismissione del patrimonio degli enti previdenziali pubblici è
stata oggetto di diverse disposizioni di legge, fra le quali
quella, applicabile “ratione temporis” alla fattispecie, di cui
al D.L. 25 settembre 2001, n. 351, art. 3 convertito nella L.

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A

elementi tali da comprovare la incongruità del prezzo richiesto

23 novembre 2001, n. 410 che riconosce in favore dei conduttori
delle unità immobiliari ad uso residenziale il diritto di
opzione per l’acquisto di detti beni al prezzo determinato
secondo quanto disposto dai commi 7 ed 8 dello stesso articolo.
Ora, il corretto esercizio del diritto di opzione per

efficacia – il rilievo non è di poco conto – è subordinata
all’accettazione del prezzo determinato dall’ente pubblico,
presuppone una manifestazione di volontà del conduttore che, in
quanto tale, è certamente suscettibile di revoca, la quale può
attuarsi anche

per facta concludentia

e

manifestarsi nel

rifiuto di sottoscrivere il rogito alle medesime condizioni
economiche indicate dall’ente ed in precedenza pienamente
accettate.
E ciò, soprattutto dopo che, così come è avvenuto nel caso di
specie -la circostanza va rimarcata come elemento di riscontro
della serietà della revoca – era stato comunicato alla
conduttrice,

espressamente, che, qualora non si fosse

presentata al rogito fissato,

sarebbe stata considerata

rinunciataria con conseguente alienazione dell’alloggio alla
cooperativa di adesione.
Ciò posto, la conclusione cui perviene la Corte di appello
merita di essere condivisa,correggendosi la motivazione nei
termini innanzi precisati. Né elementi di segno contrario
possono essere tratti dalla considerazione, posta dalla
ricorrente a base della seconda doglianza, secondo cui sia il

7

l’acquisto dell’immobile condotto in locazione, la cui

giudice di primo grado sia quelli di appello

in tal modo

avrebbero violato la previsione dell’art.112 cpc prendendo in
esame circostanze non sussistenti al momento della proposizione
della domanda e viceversa verificatesi solo nelle more del
giudizio di primo grado.

pronunciato può ritenersi violato solo quando il giudice
pronunci oltre i limiti delle domande e delle eccezioni
proposte,

oppure alteri alcuno degli elementi obiettivi di

identificazione dell’azione, attribuendo e/o negando ad alcuno
dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non
compreso,

nemmeno

implicitamente,

nella domanda oppure

sostituendo la causa petendi con una differente basata su fatti
diversi da quelli allegati dalle parti. Al contrario, deve
essere invece esclusa la violazione dell’art.112 cpc quando la
pronuncia sia

fondata su rilievi ed accertamenti di fatto,

ritualmente emersi dalla compiuta istruttoria nell’ambito del
tema decisionale, oggetto del dibattito processuale, anche se
differenti

da quelli originariamente dedotti dalle parti.

Infatti, è certamente consentito al giudice di avvalersi di
tutti gli elementi comunque emersi dalla compiuta istruttoria
per argomentare in merito ai temi del dibattito processuale.
Giova aggiungere che è principio generale del nostro
ordinamento quello secondo cui la sussistenza delle condizioni
dell’azione, costituendo esse requisiti di fondatezza della
domanda volta ad ottenere il riconoscimento del diritto

Ed invero, il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il

azionato,

deve essere verificata al momento della decisione.

Con la conseguenza che il giudice del merito, in tale momento,
può e deve prendere in considerazione le circostanze, pur
sopravvenute nel corso del giudizio, che siano ostative al
riconoscimento del diritto azionato.

Passando all’esame della terza doglianza, per violazione e/o
falsa applicazione dell’art.1578 cc in relazione all’art.360
n.3 cpc, va osservato che, ad avviso della ricorrente, la Corte
di Appello sarebbe incorsa nella violazione indicata quando ha
disatteso la domanda risarcitoria, trascurando che danni
risarcibili non sono solo quelli derivanti dall’inabitabilità
dell’immobile ma anche quelli subiti a causa di vizi che
diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito.
La Corte inoltre, avrebbe altresì sbagliato quando ha disatteso
la domanda di danni perché la conduttrice non aveva richiesto
la risoluzione del contratto o la riduzione del canone e non
aveva effettuato direttamente i lavori di riparazione. In tal
modo, la Corte aveva trascurato che il diritto al risarcimento
è indipendente dalla proposizione delle ulteriori domande
concesse al conduttore.
Tale doglianza è stata quindi conclusa con tre distinti quesiti
di diritto: l)

“la pretesa dimostrazione della inabitabilità e

non semplicemente della riduzione dell’idoneità all’uso
pattuito dell’immobile locato in seguito a vizi sopravvenuti
come presupposto per il riconoscimento del risarcimento del

9

Ne deriva il rigetto delle censure in esame.

danno subito dal conduttore costituisce violazione della norma
di cui all’art. 1578 c. c. ?n; 2)”la considerazione
dell’esperimento delle azioni previste dal primo comma
dell’art. 1578 c. c. come presupposto vincolante per la
richiesta del risarcimento del danno da parte del conduttore

l’idoneità all’uso pattuito rappresenta violazione della norma
di cui all’art. 1578 secondo comma c.c. 3) “il rigetto
della domanda di risarcimento avanzata dal conduttore per vizi
sopravvenuti all’immobile locato che ne riducano l’idoneità
all’uso pattuito per non avere il conduttore stesso provveduto
alla riparazione dei danni ex art. 1577 c.c. costituisce
violazione e/o falsa applicazione della norma di cui all’art.
1578 secondo comma c.c. ?”.
La censura deve essere dichiarata inammissibile per un duplice
ordine di considerazioni.
In primo luogo, deve essere esclusa la ammissibilità del
quesito “multiplo”, sul rilievo che ad una censura di diritto
esposta nel motivo non può che corrispondere un quesito di
diritto ed uno solo, solo in tal modo escludendosi ogni rischio
di equivocità e solo con tale scelta restando sostenibile il
rapporto di pertinenzialità esclusiva e diretta tra motivo e
quesito (Cass. n. 1906/2008). Nè può richiedersi una previa
attività interpretativa della Corte, costretta a sostituirsi
al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione,
per poi procedere alle singole risposte tra loro diversificate.

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/4/s

per vizi sopravvenuti all’immobile locato che ne riducano

In secondo luogo, l’inammissibilità deriva dal difetto di
correlazione delle censure con la

ratio decidendi

della

sentenza, fondata essenzialmente sulla considerazione che i
vizi dell’immobile erano in realtà insussistenti o comunque di
assai scarso rilievo ed erano stati denunziati all’ente,

prezzo dell’immobile.
Infatti la pretesa esistenza di vizi dell’immobile, tali da
determinarne l’inidoneità all’uso o comunque tali da provocare
un serio disagio abitativo, era rimasta priva di riscontro
probatorio. Ciò, alla luce del sopralluogo effettuato dal
Dipartimento di prevenzione in data 18.1.2002 dove, pur essendo
evidenziata la presenza di umidità in una parete della stanza
da letto e nel corridoio in corrispondenza di un elemento
radiante, nulla si diceva in ordine all’inabitabilità
dell’appartamento, cioè alla sua inidoneità all’uso. Inoltre,
con riguardo al preteso disagio abitativo, doveva tenersi
presente che erano stati effettuati da parte della società
gestrice dell’immobile alcuni interventi di manutenzione nel
corso del rapporto di locazione e che la conduttrice, peraltro,
non aveva richiesto né la risoluzione del contratto di
locazione né la riduzione del canone né tanto meno aveva mai
allegato e documentato la necessità di lavori urgenti che,
peraltro, ove eventualmente sussistenti, avrebbe potuto
effettuare direttamente, salvo rimborso, dandone contemporaneo
avviso al locatore.

Il

/Ìf

pretestuosamente, al fine di ottenere un ulteriore “sconto” sul

Queste, nella sostanza, le ragioni poste a base del rigetto
della domanda risarcitoria, proposta dalla conduttrice. Ed è
appena il caso di osservare che le ragioni di censura sopra
esposte e comunque riassunte dalla stessa ricorrente nei
quesiti di diritto riportati non sono assolutamente in

motivo della loro inammissibilità.
Resta da esaminare l’ultima doglianza, articolata sotto il
profilo della motivazione omessa e/o contraddittoria, per
essere la Corte territoriale incorsa in molteplici vizi
motivazionali.
Tale censura non è accompagnata da alcun momento di sintesi e
deve essere pertanto dichiarata inammissibile. Ed invero, come
è stato ribadito recentemente da questa Corte, nel vigore
dell’art.366 bis cpc, in base al capoverso di tale articolo, il
ricorrente che denunci un vizio di motivazione della sentenza
impugnata è tenuto – nel confezionamento del relativo motivo a formulare in riferimento alla anzidetta censura un c.d.
quesito di fatto e cioè indicare chiaramente in modo sintetico,
evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione
la rende inidonea a giustificare la decisione. A tal fine è
necessaria la enunciazione conclusiva e riassuntiva di uno
specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ciò
risulti in modo non equivoco. Tale requisito, infine, non può

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correlazione con le ragioni della decisione, onde l’ulteriore

ritenersi rispettato allorquando solo la completa lettura
dell’illustrazione del motivo, all’esito di una interpretazione
svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte
ricorrente, consenta di comprendere il contenuto ed significato
delle censure, posto che la ratio che sottende la disposizione

del filtro di accesso alla Suprema Corte, la quale deve essere
posta in condizione di comprendere dalla lettura del solo
quesito di fatto quale sia l’errore commesso dal giudice del
merito.V.Cass. n.6549/2013)
Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, il ricorso
per cassazione in esame deve essere rigettato, senza che
occorra provvedere sulle spese in quanto la parte vittoriosa,
non essendosi costituita, non ne ha sopportate.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 17.10.2013

di cui all’art.366 bis cpc è associata alle esigenze deflattivo

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