Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26227 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. II, 18/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 18/11/2020), n.26227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20763/2019 proposto da:

M.J., elettivamente domiciliato in Monfalcone (GO) via duca

d’Aosta n. 66, presso lo studio dell’avv.to FEDERICO CECHET, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BARI, depositata il 27/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Bari, con decreto pubblicato il 29 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da M.J., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale rigettava la domanda perchè ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, lett. b, la commissione territoriale aveva dichiarato inammissibile la domanda di protezione riproposta negli stessi termini, senza addurre nuovi elementi sulle condizioni personali o sul paese di origine.

Nel caso di specie si erano già pronunciati, nel 2015 la commissione territoriale con provvedimento di rigetto, e successivamente, nel 2016, il Tribunale di Bari che aveva respinto il ricorso giurisdizionale.

Il ricorrente non aveva versato in atti il verbale della prima audizione ed esibito il primo provvedimento di rigetto della commissione territoriale di Foggia e neanche l’ordinanza del tribunale di rigetto del ricorso giurisdizionale. Inoltre, nel ricorso, nel quale assumeva genericamente l’esistenza di una persecuzione politica per via della sua trascorsa militanza nel partito d’opposizione BNP, non aveva indicato gli elementi di novità introdotti in sede di reiterazione della domanda di asilo politico.

Peraltro, secondo la giurisprudenza di legittimità era possibile la deduzione di nuovi fatti di persecuzione o di nuovi elementi di prova di circostanze già allegate, purchè gli stessi fossero stati incolpevolmente non dedotti dall’interessato nel precedente procedimento.

Dalla lettura del ricorso non emergeva quali fossero gli elementi di prova a sostegno della domanda e anzi a pagina 2 si leggeva che la documentazione comprovante la propria persecuzione era stata da sempre messa a disposizione dell’autorità ma mai presa in considerazione.

Dunque, i motivi di impugnativa dovevano ritenersi meramente ripetitivi rispetto a quelli posti a base della prima domanda di protezione già rigettata dalla commissione territoriale nel 2015. In ogni caso, il paese di provenienza del ricorrente non evidenziava con riferimento del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), una condizione di conflitto armato con violenza generalizzata. In Bangladesh la situazione era tale da poter potenzialmente ricondurre al pericolo di un danno grave per l’instabilità politica e le tensioni tra il partito al governo e quello all’opposizione, tuttavia il ricorso del richiedente non conteneva alcuna specifica rievocazione in fatto delle ragioni dell’espatrio in modo da quantomeno integrare le precedenti dichiarazioni già valutate negativamente. Infine, il ricorrente non aveva dedotto alcuna patologia, nè provato una stabile integrazione socioeconomica nel tessuto sociale del paese e, dunque, sotto il profilo della protezione umanitaria non poteva riconoscersi una situazione di vulnerabilità tale da impedire il rimpatrio.

2. M.J. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente il ricorrente chiede alla Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3 septies, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, convertito dalla L. n. 46 del 2017, in relazione all’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che avverso il decreto di primo grado è proponibile unicamente ricorso per cassazione.

In sostanza il ricorrente lamenta il venir meno della reclamabilità del decreto del tribunale e l’eliminazione del doppio grado di merito.

La questione di costituzionalità sollevata dal ricorrente è manifestamente infondata. In proposito è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto già affermato da questa Corte: “E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione” (Sez. 1, Ord. n. 27700 del 2018).

1.1 Il primo motivo di ricorso non è rubricato. In sostanza il ricorrente lamenta la nullità del decreto per non essersi tenuta l’udienza di comparazione al fine di procedere all’audizione dell’interessato nonostante la mancanza di video registrazione dell’audizione svolta dinanzi la commissione territoriale.

1.2 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Il motivo è privo di specificità, perchè il ricorrente censura il fatto che non si sia tenuta l’udienza di comparizione al fine di procedere all’audizione del richiedente ma non chiarisce se l’udienza di comparizione si sia effettivamente tenuta senza tuttavia procedere all’audizione o se la stessa sia stata del tutto omessa.

In ogni caso deve precisarsi che il procedimento si svolgeva ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, in quanto il ricorrente aveva presentato analoga domanda già rigettata nel 2015 dalla commissione territoriale, con decisione confermata nel 2016 dal Tribunale di Bari, che aveva respinto il relativo ricorso giurisdizionale. La domanda, dunque, era stata dichiarata inammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, in quanto riproposta negli stessi termini, senza addurre nuovi elementi sulle condizioni personali o sul paese di origine. In tali casi il citato art. 29, esclude espressamente che si debba procedere all’esame del richiedente.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4,5,6,7,8 e 11, nella parte in cui il decreto impugnato ha rigettato la domanda proposta in via principale sul riconoscimento dello status di rifugiato, in via subordinata il riconoscimento della protezione sussidiaria e in estremo subordine il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il provvedimento del tribunale sarebbe viziato da assoluta contraddittorietà delle motivazioni avendo respinto tutte le richieste del ricorrente. Le motivazioni della sentenza sarebbero inconsistenti non tenendo minimamente in considerazione le condizioni antidemocratiche del paese di origine come testimoniato dai vari report citati nel ricorso introduttivo.

2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

La censura non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato che ha confermato la decisione della commissione territoriale di inammissibilità della domanda reiterata per mancata allegazione di fatti nuovi.

Giova ribadire in proposito che: In tema di protezione internazionale, i “nuovi elementi”, alla cui allegazione il D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 29, lett. b), subordina l’ammissibilità della reiterazione della domanda di riconoscimento della tutela, possono consistere, oltre che in nuovi fatti di persecuzione o comunque costitutivi del diritto alla protezione stessa, successivi al rigetto della prima domanda da parte della competente commissione, anche in nuove prove dei fatti costitutivi del diritto, purchè il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza innanzi alla commissione in sede amministrativa, nè davanti al giudice introducendo il procedimento giurisdizionale di cui all’art. 35 del D.Lgs. citato (Sez. 6-1, Ord. n. 5089 del 2013).

3. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo svolto effettiva attività difensiva il Ministero intimato.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

 

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