Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26226 del 19/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 19/12/2016, (ud. 21/10/2016, dep.19/12/2016),  n. 26226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23300-2015 proposto da:

UNICREDIT S.P.A, C.F. e P.IVA (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo studio dell’avvocato ELIO

LUDINI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO n. (OMISSIS) (OMISSIS) S.P.A., C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 342-B, presso lo

studio dell’avvocato MARIO GUIDO, che lo rappresenta e difende

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, emesso il 06/07/2015 e

depositato il 24/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO ANTONIO

GENOVESE;

udito l’Avvocato Mario Guido, per il controricorrente, che si riporta

al controricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

“Con decreto del 24 luglio 2015, il Tribunale di Roma ha respinto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) SpA, proposta dalla Banca UNICREDIT s.p.a., per un credito pignoratizio a garanzia di un finanziamento erogato in ragione di un Piano “regolarmente attestato” di risanamento dell’esposizione debitoria e di riequilibrio della situazione finanziaria dell’intero gruppo societario (cd. Gruppo Dimafin) di cui era parte anche la società poi fallita, non potendosi accedere alla richiesta della curatela di revocare, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d), la garanzia concessa (il 15 dicembre 2009) in ragione di quel finanziamento volto a favorire la continuità aziendale;

che, secondo il giudice circondariale, per quello che ancora interessa e rileva in questa sede, il credito non poteva essere ammesso in privilegio in quanto il piano attestato, redatto il 18 settembre 2009, non era completo, risultando dalla relazione di asseverazione dell’attestatore che l’atto aveva ricevuto una successiva integrazione il 18 novembre 2009 (mancante agli atti) e che in base ad essa, così come integrato e modificato, permaneva quella ragionevolezza utile ad assicurare il risanamento ed il riequilibrio della situazione finanziaria; che l’esenzione dalle revocatorie presuppone la sussistenza del piano, anche nella forma aggiornata, nel difetto di esso, non poteva applicarsi l’esenzione L. Fall., ex art. 67, lett. d).

Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso Banca UNICREDIT SpA, con atto notificato il 22 settembre 2015, sulla base di tre motivi con il quale lamenta la violazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 67 (oltre che degli artt. 115 e 116 e 132 c.p.c.).

La Curatela resiste con controricorso.

Il ricorso, i cui mezzi vanno esaminati congiuntamente, essendo tra di loro strettamente connessi, appare manifestamente fondato.

Va premesso:

– che il piano attestato di risanamento, di cui alla L. Fall., art. 67, lett. d), appartiene al genus delle convenzioni stragiudiziali adottate dall’imprenditore per rimediare alla situazione della crisi d’impresa, che trova la sua giustificazione nella volontà del legislatore di incentivare il riacquisto – da parte dell’impresa – della capacità di stare sul mercato e di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, così esaltando il valore della cd. continuità aziendale;

– che, in tale prospettiva, viene giustificata l’esenzione, per gli atti esecutivi del piano di risanamento, dall’azione revocatoria (fallimentare ed ordinaria);

– che, secondo il giudice a quo, il mancato deposito della integrazione di piano, pure però pacificamente verificato da parte del professionista attestatore della “veridicità dei dati contabili, economici e finanziari sottesi al piano”, renderebbe quest’ultimo non esaminabile, così dovendosi escludere il suo effetto protettivo;

– che, la disposizione invocata, nel testo applicabile ratione temporis (2009 e cioè anteriormente alle modifiche apporta nel 2012 (secondo cui: d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purchè posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 c.c. e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore)), era così formulata: ” d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purchè posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare 11 riequilibrio della sua situazione finanziarla e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b), ai sensi dell’art. 2501 bis c.c., comma 4″;

– che questa Corte, al riguardo, ha già avuto modo di affermare (Sez. 6-1, Sentenza n. 13719 del 2016) il principio secondo cui, in tema di azioni revocatorie relative agli atti esecutivi del piano attestato di risanamento di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d), (nel testo vigente ratione temporis, e cioè anteriormente alle modifiche del 2012), il giudice, per ritenere non soggette alla domanda della curatela gli atti esecutivi del piano attestato medesimo ha il dovere di compiere, con giudizio ex ante, una verifica mirata alla manifesta attitudine all’attuazione del piano di risanamento, del quale l’atto oggetto di revocatoria da parte della curatela costituisce uno strumento attuativo;

– che all’espletamento del dovere di verifica del giudice, mirata alla manifesta attitudine all’attuazione del piano di risanamento, non può essere d’ostacolo la mancata allegazione di un documento integrativo del detto piano, ancor più quando esso abbia già formato oggetto di valutazione attestativa da parte del professionista incaricato, sicchè – in casi siffatti – ove il tribunale ritenga indispensabile l’esame di quel documento (diversamente dalla parte privata) non può semplicemente concludere per l’inesistenza del piano (esistendo agli atti un documento rispondente a quel nome e la connessa relazione di asseverazione da parte del professionista, prescritta dalla legge a completamento della fattispecie astratta), ossia più che un principio di prova scritta dei fatti costitutivi del diritto, ma deve chiedere i chiarimenti necessari, anche a fini integrativi documentali, o indicare alle parti le questioni, rilevabili anche d’ufficio, prima di adottare i provvedimenti conclusivi, se del caso disponendo l’acquisizione, anche d’ufficio, di essi, rientrando tale attività nei doveri ufficiosi di cooperazione in vista di una decisione rispettosa dei doveri del giusto processo e del tendenziale divieto di decisione a sorpresa;

che, peraltro, il decreto impugnato non spiega come mai il difetto di un solo documento integrativo di un piano dimostrato e comprovato (nonchè munito della complementare attestazione) possa farne escludere, Integralmente, l’esistenza;

che, in conclusione, il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione perchè riesamini la controversia facendo applicazione dei già richiamati principi di diritto.

In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5.”.

Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale risultano essere state mosse solo osservazioni adesive, da parte della ricorrente;

che, perciò, il ricorso, manifestamente fondato, deve essere accolto, con la cassazione del decreto impugnato e il rinvio della causa, anche per le spese di questa fase, al Tribunale di Roma che, in diversa composizione, nel decidere nuovamente della controversia, si atterrà al principio di diritto sopra richiamato.

PQM

La corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e arinvia la causa, anche per le spese di questa fase, al Tribunale di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile – 1 della Corte di Cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2016

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