Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26225 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. II, 18/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 18/11/2020), n.26225

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24145/2019 proposto da:

U.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANTONINO FICARRA,

presso il cui studio a Mazzarino, via Bivona 37, elettivamente

domicilia per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 33/2019 della CORTE D’APPELLO DI

CALTANISSETTA, depositata il 22/1/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’8/9/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello di Caltanissetta, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che U.S., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale di Caltanissetta, in data 27/7/2017, aveva a sua volta respinto la sua domanda di protezione internazionale.

U.S., con ricorso notificato il 22/7/2019, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 24 Cost., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, art. 6, comma 3, lett. A) della Convenzione dei diritti dell’uomo, recepita con la L. n. 848 del 1955, dell’art. 14, comma 3, lett. A) del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, recepito con la L. n. 881 del 1977, e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata per la nullità conseguente alla mancata traduzione, nella lingua conosciuta dal ricorrente, sia della decisione della commissione territoriale, sia dell’impugnato decreto”.

1.2. Non può mettersi in dubbio, infatti, ha osservato il ricorrente, la necessità che l’atto destinato al cittadino straniero sia preventivamente tradotto in una lingua che lo steso possa apprendere appieno.

1.3. Sotto questo profilo, quindi, ha concluso il ricorrente l’art. 122 c.p.c., è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 6 e 10 Cost., nella parte in cui non prevede l’obbligo della traduzione degli atti per lo straniero in relazione quanto meno ai procedimenti aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto di asilo o dello status di rifugiato.

2. Il motivo è palesemente infondato e la questione di costituzionalità del tutto irrilevante. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la comunicazione della decisione negativa della commissione territoriale competente, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, dev’essere resa nella lingua indicata dallo straniero richiedente o, se non sia possibile, in una delle quattro lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo o arabo, secondo l’indicazione di preferenza), determinando la relativa mancanza l’invalidità del provvedimento. Tale vizio, tuttavia, analogamente alle altre nullità riguardanti la violazione delle prescrizioni inderogabili in tema di traduzione, può essere fatto valere solo in sede di opposizione all’atto che da tale violazione sia affetto, ivi compresa l’opposizione tardiva, qualora il rispetto del termine di legge sia stato reso impossibile proprio dalla nullità (Cass. n. 16470 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020).Ciò comporta che lì dove, come nel caso di specie, l’opposizione non risulta essere stata proposta facendo valere tale vizio, ogni questione inerente alla mancata traduzione del provvedimento impugnato è priva di rilievo. Nè il ricorrente ha dedotto di aver sollevato, nell’atto d’appello avverso l’ordinanza che ha rigettato l’opposizione, la questione – cui la sentenza impugnata non fa, in effetti, alcun riferimento – della nullità di tale decisione quale (ipotetica) conseguenza della sua mancata traduzione in una lingua comprensibile allo straniero che ha proposto la domanda di protezione internazionale. Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, del resto, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale. Il richiedente, inoltre, partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (Cass. n. 23760 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020).

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 156 c.p.c., comma 2 e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di motivare sulla richiesta di asilo sul rilievo che la domanda sarebbe stata presentata per la prima volta in Germania, laddove, in realtà, tale dato non emerge da nessun atto.

3.2. Del resto, ha aggiunto il ricorrente, l’incompetenza a decidere sulla domanda non era stata eccepita dalla controparte, per cui la corte ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

4.1. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui è stato articolato.

4.2. Intanto, non è ammissibile la censura secondo la quale la presentazione da parte del richiedente della domanda di protezione internazionale in Germania non emerge da alcun atto. La corte d’appello, invero, ha espressamente affermato che è stato lo stesso appellante a dichiarare, in sede di audizione innanzi alla commissione territoriale, di aver presentato la domanda di protezione internazionale in Germania. Il ricorrente, dal suo canto, non ha riprodotto in ricorso tutte le dichiarazioni ivi rese onde dimostrare che l’affermazione che la corte attribuisce al richiedente non corrisponde al vero, per cui, sul punto, il motivo difetta della dovuta specificità.

4.3. La corte d’appello, a sua volta, non ha affatto omesso di pronunciarsi, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulla domanda di protezione internazionale: piuttosto, ha ritenuto (non importa se a torto o a ragione) che la presentazione della domanda di protezione internazionale in Germania da parte del richiedente costituisca non già motivo d’incompetenza della stessa corte (configurabile solo nei rapporti con altri uffici giudiziaria italiani) quanto, più radicalmente un fatto giuridicamente impeditivo (la cui astratta sussistenza non risulta specificamente censurata dal richiedente) alla proposizione della medesima domanda in Italia e, come tale, in difetto di una previsione normativa che ne attribuisca inequivocamente la deduzione solo alla parte, rilevabile d’ufficio dal giudice.

5.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1364,1365,1369 e 2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 156 c.p.c., comma 2, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, dell’art. 3 della convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto l’insussistenza dei requisiti per disporre la trasmissione degli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno.

5.2. Così facendo, ha osservato il ricorrente, la corte non ha considerato il buon grado d’integrazione che il ricorrente ha raggiunto in Italia, dove lavora con un contratto a tempo indeterminato, e la significativa degradazione della sua situazione, non solo economica ma anche psicologica e sociale, che il suo rimpatrio finirebbe per determinare, a fronte dello stato di indigenza sua propria e del contesto sociale di appartenenza e delle continue pressioni degli usurai, con la conseguente lesione dei diritti che più direttamente interessano la sua sfera personale ed umana, come il diritto alla salute, il diritto all’alimentazione e il diritto al lavoro nonchè il diritto inviolabile, riconducibile agli artt. 2,3 e 10 Cost., all’affrancamento dalla condizione di povertà.

6.1. Il motivo è infondato.

6.2. La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017).

I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

6.3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, la mancanza, nella storia personale dell’appellante, di alcuna specifica situazione che possa giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La corte, in particolare, ha accertato che il Pakistan appresta cure mediche ai portatori del virus HCV, tanto che lo stesso ricorrente ha riferito di esservi stato sottoposto pur lamentando, al pari di quelle ricevute in Italia, la loro scarsa efficacia.

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata. Nel caso di specie, però, ciò non è accaduto: il ricorrente, infatti, pur avendone l’onere a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito nonchè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risultino esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.).

7. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

8. Nulla per le spese di lite in difetto di notifica di controricorso da parte del ministero resistente.

9. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

 

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