Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26220 del 22/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 26220 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA
sul ricorso 15090-2007 proposto da:
CERVI MARIO CRVMRA21C25D142M,

IANNUZZI RAFFAELE

NNZRFL28B20E214C, EUROPEA EDIZIONI S.P.A. in persona
del legale rappresentante pro tempore elettivamente
domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n.
21, presso lo studio dell’avvocato LO GIUDICE

l %
2013
1893

SALVATORE, che li rappresenta e difende giusta delega
in atti;
– ricorrenti contro

PELLEGRINI ANGIOLO, elettivamente domiciliato in

1

Data pubblicazione: 22/11/2013

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 84, presso lo studio
dell’avvocato VALSECCHI FRANCESCO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato BARIE’ MARGHERITA
giusta delega in atti;
– controricorrente –

di MILANO, depositata il 07/02/2007, R.G.N.
1737/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/10/2013 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito l’Avvocato MARGHERITA BARIE’;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto;

2

avverso la sentenza n. 327/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Angiolo Pellegrini convenne innanzi al Tribunale di Milano
Lino Iannuzzi, la Società Europea di Edizioni s.p.a. e Mario
Cervi perché, nelle rispettive qualità di autore, editore e
direttore responsabile del quotidiano n Giornale, fossero

arrecatogli dalla pubblicazione, in data 22 novembre 1999, di
un articolo dal titolo: “Caso Mancini. Quei pentiti che in
aula

imparavano

la

lezione”,

contenente,

a

detta

dell’esponente, il racconto di fatti inveritieri nonché
apprezzamenti denigratori e diffamatori nei suoi confronti.
La società editrice e il direttore responsabile, costituitisi
in giudizio, contestarono il fondamento delle avverse pretese.
Con sentenza del 2 settembre 2003 il giudice adito, in
accoglimento della domanda, condannò i convenuti al pagamento,
in favore dell’attore,

della somma di euro 50.000,00;

determinò inoltre in euro 10.000,00 l’importo dovuto ex art.
12 legge n. 47 del 1948, quale riparazione pecuniaria
aggiuntiva rispetto al risarcimento.
Proposto gravame dai soccombenti, la Corte d’appello, in data
7 febbraio 2007, lo ha respinto.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorrono a questa Corte
Mario Cervi, Raffaele Iannuzzi e Società Europea di Edizioni
s.p.a., formulando cinque motivi.
Resiste con controricorso Angiolo Pellegrini.
MOTIVI DELLA DECISIONE

3

condannati, in solido tra loro, al risarcimento del danno

1.1

Con il primo motivo gli impugnanti denunciano nullità

della sentenza per violazione dell’art. 139 cod. proc. civ.,
ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.
Espongono che l’atto introduttivo del giudizio era stato
notificato allo Iannuzzi presso la redazione centrale del “Il

domiciliato né aveva mai avuto con la società editrice alcun
rapporto di lavoro, ad eccezione di quelli connessi alla
pubblicazione di alcuni articoli.
Formulano il seguente quesito: “E la sentenza della Corte
d’appello impugnata nulla per violazione e falsa applicazione
dell’art. 139 cod. proc. civ., con riferimento alla verifica
della validità della notificazione dell’atto di citazione
introduttivo del giudizio di primo grado al sen. Raffaele
Iannuzzi?
1.2

Con il secondo mezzo i ricorrenti sostengono che la

decisione impugnata sarebbe nulla per mancanza assoluta o
insufficienza di motivazione,

ex art. 360, n. 5, cod. proc.

civ., posto che essa si sarebbe limitata a riesaminare, con
iter

argomentativo sostanzialmente sovrapponibile a quello

della pronuncia di prime cure, la sussistenza dei presupposti
per l’applicazione dell’esimente del diritto di cronaca, senza
analizzare i motivi di appello e senza dare alcuna risposta
agli articolati rilievi con essi formulati.

4

Giornale”, laddove il convenuto non era mai stato colà

-

Formulano il seguente quesito: È la sentenza impugnata nulla
per erronea e/o falsa applicazione delle esimenti del diritto
di cronaca e di critica di cui all’art. 51 cod. pen.?
1.3

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione

degli artt. 21 della Costituzione, 595 e 51 cod. pen., ex art.

La Corte d’appello

sostengono

aveva erroneamente

scrutinato la fattispecie dedotta in giudizio esclusivamente
sotto il profilo del diritto di cronaca, laddove veniva
piuttosto in rilievo quello di critica in materia giudiziaria.
Conseguentemente, considerato che in relazione a quest’ultimo
il requisito della verità deve essere diversamente, e in
maniera ben meno rigida, apprezzato, andava riconosciuta
l’operatività dell’esimente di cui all’art. 51 cod. pen.. E
invero la critica, per sua stessa natura, costituirebbe una
species

dell’attività di informazione; si estrinsecherebbe,

con riferimento alle vicende giudiziarie, nel riferire e/o
commentare l’attività degli organi investigativi e
giurisdizionali; non potrebbe ricondursi ai paradigmi della
verità e della falsità, trattandosi della
posizione soggettiva,

espressione di una

rispetto alla quale la verità della

notizia non potrebbe essere accertata secondo i principi
enunciati nella sentenza gravata, dovendosene verificare solo
il nucleo essenziale.
Formulano il seguente quesito: È nulla la sentenza impugnata
per avere la Corte erroneamente e contraddittoriamente

5

360, n. 3, cod. proc. civ.

ritenuto come presupposto imprescindibile per la sussistenza
dell’esimente del diritto di cronaca e critica giornalistica
la verità della notizia pubblicata, intesa come verità
sostanziale, vale a dire come correlazione rigorosa tra il
fatto accaduto e la notizia pubblicata?

degli artt. 21 della Costituzione, 595 e 51 cod. pen., in
relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Secondo gli impugnanti la Corte territoriale avrebbe errato
nel ritenere la portata diffamatoria delle affermazioni
contenute nell’articolo e nel negare l’applicazione
dell’esimente di cui all’art. 51 cod. pen.
Contraddittoriamente, in particolare, il giudice di merito,
dopo avere riconosciuto che la notizia riferita traeva spunto
da una vicenda giudiziaria vera, vale a dire la delega
conferita dal Procuratore aggiunto della Procura della
Repubblica di Reggio Calabria al colonnello Pellegrini nonché
l’arresto del pentito Lauro per il delitto di truffa ai danni
dello Stato, aveva confermato la sentenza di primo grado per
asserita falsificazione della realtà processuale.
Il motivo si conclude con il seguente quesito: È nulla la
sentenza impugnata per avere la Corte erroneamente e
contraddittoriamente valutato rilevante la falsità di alcune
circostanze, in realtà vere o, al massimo, da ritenere quali
mere imprecisioni su caratteri marginali della pubblicazione,
omettendo di considerare che il requisito della verità, in

6

1.4 Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano violazione

realtà, deve attenere a fatto centrale oggetto della notizia
e, nel caso di critica, al nucleo essenziale di esso?.
1.5

Con il quinto motivo, infine, i ricorrenti lamentano

nullità della sentenza per mancanza assoluta o insufficienza
di motivazione, ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. con

Formulano il seguente quesito: È la sentenza impugnata nulla
per avere erroneamente considerato la sussistenza e l’entità
del danno e, in ogni caso, per avere erroneamente applicato i
principi in materia di liquidazione del danno ?
2 Va premesso che il ricorso – avuto riguardo alla data della

pronuncia (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4
luglio 2009) – è soggetto, in forza del combinato disposto di
cui all’art. 27, comma 2, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e
all’art. 58 della legge 18 giugno 2009, n. 69, alla disciplina
di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg., come modificati
per effetto del menzionato d.lgs. n. 40 del 2006.
Ad esso si applica pertanto l’art. 366

bis cod. proc. civ.,

attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultraattività a tale norma, anche dopo la sua formale abrogazione
(per tutte, v. espressamente Cass. civ. 27 gennaio 2012, n.
1194).
3 Ora, come è stato correttamente evidenziato, in un sistema

processuale che già prevedeva la redazione del motivo con
l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del
disposto di cui all’art. 366

bis,

7

prima parte, cod. proc.

riferimento alla liquidazione del danno in via equitativa.

civ.,

consiste

nell’imposizione,

al

patrocinante

che

materialmente redige l’atto, di una sintesi originale ed
autosufficiente della censura, funzionalizzata alla
formulazione immediata e diretta del principio di diritto che
si chiede alla Corte di affermare e, quindi, al miglior

legittimità (Cass. civ. ord. 24 luglio 2008, n.20409 e più di
recente Cass. civ. 5 luglio 2011, n. 14771).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua
funzione richiede allora che, con riferimento ad ogni punto
della sentenza investito da motivo di ricorso, la parte, dopo
avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed
avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima
il diverso principio di diritto sulla cui base il punto
controverso andrebbe viceversa risolto, con la precisazione
che all’ipotesi in cui manchi il quesito va assimilata quella
in cui il quesito sia inconferente ovvero si risolva in
un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di
qualunque indicazione della fattispecie concreta e tale,
quindi, da non consentire una risposta utile a definire la
causa nel senso voluto dal ricorrente, tenuto conto che
neppure è possibile desumere il quesito dal contenuto del
motivo o integrare il primo con il secondo (Cass. civ., Sez.
Unite, 11 marzo 2008, n.6420).
4

Quanto poi ai motivi con i quali si denunciano vizi

motivazionali, il secondo periodo dell’articolo 366

8

bis cod.

esercizio della funzione nomofilattica demandata al giudice di

proc. civ. prevede che il ricorrente formuli un c.d.

quesito

di fatto,

che indichi cioè, in modo sintetico, evidente e

autonomo,

il fatto controverso rispetto al quale la

motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della

Sebbene vi sia stata qualche isolata pronuncia che ha ritenuto
sufficiente un’illustrazione che, libera da rigidità formali,
si concretizzi tuttavia in una esposizione chiara del fatto
controverso o delle ragioni di inidoneità della motivazione
(confr. Cass. civ. n. 4556 del 2009), la giurisprudenza di
questa Corte si è ormai consolidata nel senso che il rispetto
della disposizione processuale richiamata esige un
pluris,

quid

e cioè la formulazione di uno specifico passaggio

espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo non
equivoco. Tale requisito – si è affermato – non può ritenersi
osservato allorquando solo la completa lettura della
illustrazione del motivo, all’esito di una interpretazione
svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte
ricorrente, consenta di comprendere il contenuto e il
significato delle censure, stante le esigenze deflattive
sottese alla formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ.
(confr. Cass. civ. 14 marzo 2013, n. 6549).
5 Venendo al caso di specie, il quesito formulato a chiusura

delle censure svolte nel primo mezzo, si risolve in una
tautologica e circolare richiesta, rivolta alla Corte, di

9

motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

ritenere sussistente il denunciato malgoverno del disposto
dell’art. 139 cod. proc. civ., senza alcuna indicazione né
della

regula luris

in concreto applicata dal decidente

validità della notifica eseguita in un determinato luogo, a
prescindere dalla ubicazione, nel relativo comune, della

ragione del solo rapporto di collaborazione pretesamente
esistente tra lo stesso e un imprenditore colà operante, – né
della regola diversa e di segno opposto ritenuta corretta
dall’impugnante.
6

Invece le critiche formulate nel secondo e nel quinto

motivo, che attengono entrambi a pretesi vizi dell’iter
argomentativo con il quale il giudice di merito ha dato conto
del suo convincimento, mettono capo a un interrogativo
retorico sulla fondatezza delle esposte doglianze che nulla ha
a che vedere con il momento di sintesi, omologo del quesito di
diritto, richiesto dall’art. 366

bis cod. proc. civ., nella

interpretazione ormai assurta a diritto vivente, elemento che
– come testé evidenziato – deve essere separatamente indicato
in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata.
Ne deriva che il primo, il secondo e il quinto motivo non
superano il preventivo vaglio di ammissibilità.
7

Sufficientemente specifici, a giudizio del collegio, sono,

per contro, i quesiti formulati a chiusura del terzo e del
quarto motivo di ricorso che, per la loro intrinseca
connessione, si prestano a essere esaminati congiuntamente.

10

residenza, della dimora o del domicilio del destinatario, in

Le critiche in essi esposte risultano, a ben vedere,
articolate in due profili distinti, ancorché reciprocamente
condizionanti: da un lato, la contestazione della portata
diffamatoria dell’articolo, atteso che vero sarebbe stato il
nucleo essenziale della vicenda giudiziaria su cui lo scritto

diversa valenza che il requisito della verità assume in
relazione al diritto di critica, rispetto a quello di cronaca.
Sotto entrambi gli aspetti le censure sono destituite di
fondamento.
8 Va al riguardo anzitutto ricordato che nell’azione di
risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, la
ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto
degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni
usate come lesive dell’altrui reputazione e l’esclusione
dell’esimente del diritto di cronaca o di critica,
costituiscono accertamenti di fatto riservati al giudice di
merito e incensurabili in sede di legittimità, se sorretti da
motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici (confr.
Cass. civ. 10 gennaio 2012, n. 80; Cass. civ. 8 agosto 2007,
n. 17395).
Nella fattispecie, la lesività della pubblicazione a firma
dello Iannuzzi è stata ravvisata nella trasparente
indicazione, attraverso l’accostamento di fatti e di notizie
messi insieme ad arte, dell’esistenza di un colossale
complotto ordito dalla magistratura e dalla polizia

11

era incentrato; dall’altro, il mancato apprezzamento della

giudiziaria, ai danni della classe politica, complotto
realizzato a mezzo della sistematica e sapiente “istruzione”
dei pentiti, imbeccati al fine di far quadrare un teorema
accusatorio.
Ma, se era questo il nucleo essenziale della notizia diffusa,

ritenere del tutto ininfluente l’oggettiva, incontrovertibile
verità di taluni dati – quali la delega conferita dal
Procuratore aggiunto della Repubblica di Reggio Calabria al
colonnello Pellegrini per assumere informazioni dai
collaboratori di giustizia; la lettera allo stesso indirizzata
dal pentito Lauro il 18 agosto del 1992; l’arresto del
collaboratore per truffa aggravata ai danni dello Stato nel
marzo del 1997 – posto che proprio quella verità era
strumentale al confezionamento di una informazione
astrattamente credibile e quindi al perseguimento dell’intento
denigratorio e delegittimante dell’articolista.
9 Quanto al preteso malgoverno dei principi che presidiano il

diritto di critica, osserva il collegio che l’esame delle
censure non può prescindere dal preliminare rilievo che
l’esercizio dello stesso si concreta nell’esternazione di
giudizi e di opinioni, che, come tali, non possono che essere
soggettivi rispetto ai fatti narrati, fermo, peraltro, che
questi

devono

corrispondere

a

verità,

anche

solo

ragionevolmente putativa, così come accade per il diritto di

12

non ha evidentemente errato la Corte territoriale nel

cronaca (confr. Cass. civ. 6 aprile 2011, n. 7847; Cass. civ.
n. 379 del 2005).
Ne deriva che i ricorrenti, lamentando che il giudice di
merito non aveva distinto opinioni e fatti ai fini
dell’apprezzamento del requisito della verità – avrebbero

del distorto scrutinio, adempiendo a un onere di allegazione
funzionale alla specificità delle censure.
10 In disparte tale considerazione, che disvela profili di
inammissibilità del ricorso, va peraltro evidenziato che, per
quanto risulta dalla sentenza impugnata, lo Iannuzzi, lungi
dall’esprimere valutazioni, anche severe e fulminanti – come
sarebbe stato suo diritto – sul fenomeno del pentitismo, si è
in realtà limitato a desumere da fatti noti, quali quelli
innanzi richiamati (al n. 8 della presente esposizione), fatti
ignoti, quali la callida costruzione di riscontri probatori
alle ipotesi criminose formulate a carico di taluni esponenti
della classe politica. E va da sé che il risultato di siffatto
procedimento induttivo, neppure esposto in termini tali da
palesarne al lettore il carattere di mera presunzione, non
costituì affatto esercizio del diritto di critica di tecniche
investigative o processuali ritenute poco affidabili, ma si
risolse in una pura e semplice

notizia,

della quale sarebbe

stato necessario dimostrare la rispondenza al vero con
elementi, anche indiziari, di ben altra consistenza rispetto a

13

dovuto specificamente indicare le parti dello scritto oggetto

quelli non implausibilmente considerati affatto insufficienti
dal giudice di merito.
Risultano quindi del tutto prive di fondamento le censure in
ordine alla non corretta valutazione del requisito della
verità, una volta appurato che, alla stregua dei dati
siamo

chiaramente

fuori

dalla

postulata

manifestazione di un giudizio basato sulla interpretazione,
necessariamente soggettiva,

di vicende e comportamenti

comunque veritieri: di talché, se apprezzamenti furono
espressi nell’articolo, essi riguardarono non già fatti
oggettivamente dimostrati, ma condotte frutto di congetture e
illazioni affatto personali del giornalista.
Il ricorso deve,

in definitiva,

essere integralmente

rigettato.
Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi
euro 3.200,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e
CPA, come per legge.
Roma, 15 ottobre 2013
Il Presidente

Il Consigliere est.

Qiuki
iuMario
ArANIA

acquisiti,

a– \

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