Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26216 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 18/10/2018, (ud. 10/05/2018, dep. 18/10/2018), n.26216

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3562/2014 proposto da:

V.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE APPIO CLAUDIO, 229, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

PANUNZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO CICCARELLI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 5,

presso lo studio dell’avvocato GENNARO CAPASSO, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUCA CIRILLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5908/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/11/2013 R.G.N. 8620/2009

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato PAOLO PANUNZIO per delega verbale Avvocato SERGIO

CICCARELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 5908/2013, depositata il 19 novembre 2013, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede, pronunciando nella causa promossa da V.P., già dipendente del Banco di Napoli, nei confronti di Intesa Sanpaolo S.p.A., aveva ritenuto prescritti i residui crediti del ricorrente (per ulteriore indennità di missione, in relazione al trasferimento dalla sede di (OMISSIS) a quella di (OMISSIS) e accessori di legge su altra somma già riconosciuta).

2. La Corte territoriale rilevava come non avessero formato oggetto di censura, da parte dell’appellante, le affermazioni del giudice di primo grado relativamente all’intervenuta maturazione del termine prescrizionale e alla durata di esso, con conseguente formazione del giudicato sulla ritenuta estinzione dei diritti di credito; egualmente non censurato risultava il rilievo del primo giudice, secondo cui l’attore aveva in sostanza riconosciuto che con l’erronea riassunzione avanti alla Corte di appello di Bari, anzichè avanti al Tribunale della stessa sede – a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 3287/2000, che ne aveva accolto il ricorso incidentale – il giudizio originariamente instaurato nei confronti del Banco di Napoli (poi Intesa Sanpaolo) si era estinto, con la conseguenza che le pronunce contenute in detta sentenza non avevano efficacia di giudicato.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il V. con tre motivi, cui ha resistito Intesa Sanpaolo S.p.A. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 346,324 e 112 c.p.c., per avere la Corte affermato il passaggio in giudicato della statuizione di intervenuta prescrizione sull’erroneo presupposto dell’omessa censura sul punto da parte dell’appellante, senza considerare che in virtù del principio devolutivo il giudice del gravame era investito dell’accertamento circa la sussistenza o meno del fatto estintivo del diritto fatto valere in giudizio.

2. Con il secondo motivo è dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte omesso l’esame circa la concreta sussistenza del fatto estintivo, in quanto si era limitata all’apodittica affermazione dell’avvenuto decorso del termine prescrizionale.

3. Con il terzo motivo è dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 2953 c.c., nonchè il vizio di cui all’art. 360, n. 5, per avere la Corte di appello omesso la disamina circa l’operatività nella fattispecie concreta del termine di prescrizione decennale, anzichè di quello quinquennale.

4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Il primo motivo non si confronta con la ragione decisoria della sentenza impugnata, là dove la Corte territoriale ha osservato, e posto a giustificazione delle proprie conclusioni, come “nessuna delle affermazioni”, sulla base delle quali il giudice di primo grado aveva accertato il decorso del termine prescrizionale, fosse stata “oggetto di censura” da parte del V., non riportando il contenuto del ricorso in appello, quanto meno nelle parti necessarie a contrastare tali rilievi e a dimostrare l’avvenuta devoluzione della questione, non implicando il deposito dell’atto l’automatica riproposizione dell’intera causa già decisa in primo grado.

6. E’ stato invero più volte affermato che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 14784/2015).

7. Il secondo motivo risulta egualmente inammissibile in quanto attribuisce alla Corte di appello, censurandola come errata e apodittica, un’affermazione (cfr. ricorso, p. 8) che è invece del giudice di primo grado e in relazione alla quale, come ad altre della sentenza appellata, la Corte ha unicamente sottolineato il difetto di qualsivoglia doglianza da parte dell’appellante, senza che – per quanto già osservato – risulti sul punto idonea censura.

8. Per identiche considerazioni è inammissibile anche il terzo motivo, avendo la Corte di appello ritenuto la formazione del giudicato sull’avvenuto decorso della prescrizione, e sulla conseguente estinzione dei diritti di credito fatti valere in giudizio, per effetto della mancanza di censure in sede di gravame sul ragionamento che aveva condotto il primo giudice a tale conclusione, fra cui l’applicabilità nella specie del termine quinquennale (art. 2948 c.c.).

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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