Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26216 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. III, 06/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 06/12/2011), n.26216

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27183-2009 proposto da:

CASA DI CURA SAN SECONDO DI TROTTI MAINA GUGLIELMO E C IN

LIQUIDAZIONE (OMISSIS) in persona del liquidatore pro tempore

T.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

P. DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato CONTALDI

GIANLUCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERENO

ARGENTA ENRICO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

DIMCO S.P.A. (OMISSIS) in persona della legale rappresentante

amministratore unico Dott.ssa D.M.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. CIVININI 12, presso lo studio

dell’avvocato CASSIANO MASSIMO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FIORIO VALENTINO giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 740/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/05/2009 R.G.N. 1211/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. La Casa di Cura San Secondo – in relazione a controversia per il corrispettivo della vendita alla stessa di medicinali nel 2002 e 2003, instaurata con decreto ingiuntivo dalla fornitrice DIMCO S.p.A. – propone ricorso per cassazione, sulla base di sedici motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino depositata 1119 maggio 2009, che, per quanto rileva in questa sede, ha respinto l’appello della Casa di cura, confermando quindi la sentenza di primo grado, la quale, a sua volta, aveva respinto l’opposizione della San Secondo al decreto ingiuntivo, ritenendo provata la pretesa con lo stesso azionata ed infondate o intempestive tutte le eccezioni sollevate dall’odierna ricorrente.

2. Nel proprio ricorso, la Casa di cura deduce i seguenti motivi:

2.1. OMESSA PRONUNCIA CIRCA FATTO CONTROVERSO E DECISIVO PER IL GIUDIZIO, NULLITA’ DELLA SENTENZA 360 N. 4, NULLITA” DELLA SENTENZA O DEL PROCEDIMENTO e formula il seguente QUESITO Di DIRITTO: Dica l’Ecc. ma Corte di Cassazione adita se la sentenza di secondo grado qui censurata nel non aver fornito risposta ad una censura specificamente proposta avverso la sentenza di primo grado (e segnatamente da pag. 11 e seguenti dell’atto di appello del 30.06.2008) abbia fatto corretta applicazione del principio di diritto di cui all’art. 112 c.p.c. che viene individuato ed indicato in quello che sancisce che il Giudice debba provvedere a pronunciare in ordine a tutta la domanda che gli viene proposta fornendo riscontro a quanto viene richiesto di pronunciare.

2.2 VIOLAZIONE dell’art. 2697 c.c. IN RELAZIONE all’art. 360 c.p.c., n. 3, e formula il seguente QUESITO DI DIRITTO “Dica l’Ecc. ma Corte di Cassazione se sia coerente col principio di diritto di cui all’art. 2697 c.c. che l’attuale ricorrente per cassazione identifica con la necessità che colui che rivendica il riconoscimento di una pretesa abbia a fornire al Giudice ed alla propria controparte la prova necessaria a dimostrare il proprio assunto, l’applicazione fatta dalla sentenza qui impugnata laddove il Giudice, rilevata la presenza agli atti del giudizio delle fatture e delle scritture dell’attore sostanziale ex art. 634 c.p.c., in assenza dell’acquisizione al processo delle scritture contabili dell’ingiunto convenuto sostanziale ed in assenza di qualsiasi richiesta di produzione o ordine di esibizione delle scritture stesse, possa procedere, ex officio in sede di decisione, ad effettuare vaglio comparativo tra le scritture presenti e quelle assenti invocando applicazione officiosa dell’art. 2710 c.c. ed attribuendo valenza probatoria alle fatture ed alle scritture ove le fatture sono state registrate da colui che si afferma creditore, con ciò ritenendo integrata ex officio la prova di cui all’art. 2697 c.c. in capo all’ingiungente, in sostanza, per il sol fatto di tale produzione, senza, peraltro, che in ordine a tale evenienza si sia sviluppato contraddicono alcuno o possibilità di esercizio del diritto di difesa”.

2.3 VIOLAZIONE dell’art. 2710 c.c. SOTTO IL PROFILO DI CUI all’art. 360 c.p.c., n. 3, e formula il seguente QUESITO DI DIRITTO: Dica l’Ecc. ma Corte di Cassazione se l’aver ritenuto, come effettuato dalla sentenza qui impugnata, che dalla mancata produzione delle proprie scritture contabili da parte dell’imprenditore convenuto sostanziale in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo senza che sia mai intervenuto nei confronti del medesimo ordine di esibizione di tali scritture si debba presumere l’irregolarità di tali scritture e dunque l’inattendibilità delle stesse così attribuendo credito prevalente alle risultanze delle iscrizioni effettuate dal creditore ingiungente e versate in atti a suffragio dell’istanza monitoria ex 634 c.p.c., faccia corretta applicazione del principio di diritto espresso dalla norma dell’art. 2710 c.c. che il ricorrente individua ed indica all’attenzione della Corte come la possibilità che le scritture contabili delle imprese vengano comparativamente valutate da parte del decidente al fine di apprezzare, dai loro diretto esame, se esse siano o meno entrambe regolarmente tenute, bollate e vidimate e, quindi, effettivamente comparate le modalità di tenuta e le iscrizioni dei fatti aziendali rilevanti per la lite ivi esistenti (o non esistenti), trarre le opportune valutazioni ai fini della prova dei fatti in contesa.

2.4 OMESSA MOTIVAZIONE CIRCA FATTO CONTROVERSO E DECISIVO PER IL GIUDIZIO art. 360, n. 5 e formula la seguente SINTESI:

l’inattendibilità delle scritture contabili dell’ingiunta è fatto controverso che non può essere deciso con l’utilizzo officioso di presunzioni poggiatiti su un comportamento inerte per cui non è mai intervenuta richiesta di attivare un comportamento positivo la motivazione risulta ipotetica e non già ancorata al caso oggetto di disamina poichè il filtro della doppia presunzione finisce per svincolare le risultanze del percorso logico-motivazione dalla realtà oggetto di decisione.

2.5 MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE/ILLOGICA/CONTRADDITTORIA CIRCA FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO ex art. 360 c.p.c., n. 5 e formula la seguente SINTESI: il contrasto fra la regolarità nella tenuta delle scritture contabili della convenuta (in atti) e l’assenza di scritture contabili pienamente attendibili in capo all’attrice in opposizione (mai richieste) non può essere risolto con comparazione virtuale senza che sia stata neppure ordinata la produzione delle scritture mancanti al soggetto che, non essendo onerato, tali scritture non ha prodotto poichè la motivazione tesa ad avallare un tal modo di procedere – espressa nel caso de quo dalla sentenza di primo grado senza che il Giudice di secondo grado abbia preso, pur richiesto, posizione di modifica sul punto- non fornisce esauriente opposizione all’obiezione che così si finisce per svuotare di significato tanto l’esercizio del diritto di difesa della parte ingiunta alla quale deve pur rimanere assicurato l’esercizio libero del proprio diritto di scegliere – senza subire indiretta postuma sanzione – se tenere o non tenere comportamenti che non le risultino altrimenti imposti o che non le siano mai stati in alcun modo richiesti, quanto il principio di terzietà del Giudice che in tal modo – ex post ed in assenza di contraddittorio – si trova autorizzato a compiere un autonomo vaglio ipotetico censorio di una condotta non imposta e dunque in ex se inesigibile.

2.6 VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE dell’art. 112 c.p.c. SOTTO IL PROFILO DI CUI all’art. 360 c.p.c., n. 4. NULLITA’ DELLA SENTENZA O DEL PROCEDIMENTO e formula il seguente QUESITO DI DIRITTO dica l’Ecc. ma Corte di Cassazione se il giudice d’appello a cui sia stato prospettato un errore nel giudizio da parte del giudice di primo grado dovuto alla mancata disamina di un contrasto esistente tra la causa petendi denunciata nel ricorso monitorio per l’incongrua causale risultante da una delle fatture posta a base della rivendicazione di credito monitoriamente ingiunto ed i fatti diversi allegati, per la prima volta con la memoria 184 c.p.c., effettui corretto vaglio e pronuncia di quanto le è stato richiesto così facendo o meno corretta applicazione del principio di diritto di cui all’art. 112 c.p.c. che statuisce che il Giudice debba pronunciare in ordine a tutta la domanda ritualmente in atti.

2.7 MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE/ILLOGICA/CONTRADDITTORIA CIRCA FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO ex art. 360 c.p.c., n. 5, e formula ala seguente SINTESI: il fatto controverso (dedotta incoerenza tra la causa petendi ritualmente introdotta – vendita di prodotti elettromedicali – e le ragioni causali del credito come emerse in corso di causa – prestazione di servizi di riparazione – si ritiene non possa venir tout court giudicato come privo di pregio sulla base del mero assunto che le ragioni di credito sarebbero state chiarite adeguatamente in corso di causa, senza che venga esposto alcun concreto elemento che consenta di riscontrare la ritenuta adeguatezza o consenta di individuare quando e come tali chiarimenti sarebbero avvenuti, e comunque sulla base della mera affermazione, priva di ogni indicazione di riscontro, che tali prestazioni sarebbero risultate provate in istruttoria. Tale motivazione si rende incoerente con l’esigenza tipica della motivazione che è quella di dare sufficiente ed intellegibile spiegazione alle parti della decisione assunta.

2.8 VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE dell’art. 112 c.p.c. SOTTO IL PROFILO DI CUI all’art. 360 c.p.c., n. 3, e formula il seguente QUESITO DI DIRITTO: “Dica l’Ecc. ma Corte di Cassazione se il giudice d’appello abbia pronunciato nel rispetto del principio di diritto discendente dall’art. 112 c.p.c. che viene indicato nel dovere del Giudice di pronunciare sulla domanda proposta al suo esame allorquando decida la domanda poggiante su fatti introdotti in giudizio dall’attore oltre i termini di cui all’art. 83 c.p.c. e non su quelli cristallizzatasi con la perenzione di detti termini cosi omettendo di rilevare e pronunciare in ordine all’abbandono da parte dell’attore sostanziale dei fatti tempestivamente dedotti ed introdotti nel giudizio”.

2.9 MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE/ILLOGICA/CONTRADDITTORIA CIRCA FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO ex art. 360 c.p.c., n. 5, e formula la seguente SINTESI la motivazione che la sentenza qui impugnata espone a suffragio della decisione assunta in ordine al fatto controverso e decisivo per il giudizio qui in disamina (ossia se le circostanze di tempo, di modo, di luogo individuatrici di un asserito impegno contrattuale e della sua pretesa esecuzione siano elementi secondari, comunque modificabili in corso di giudizio a prescindere dai termini ritualmente dati per l’introduzione del tema decidendum o per la sua emendatio) risulta insoddisfacente sia perchè non rende intellegibile il ragionamento seguito, mancante l’indicazione di ogni elemento di obiettivo riscontro, sia in quanto risulta contraddittoria laddove le conclusioni espresse presentano salti logici che evidenziano contrasto rispetto alle premesse di partenza.

2.10 MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE/ILLOGICA/CONTRADDITTORIA CIRCA FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO ex art. 360 c.p.c., n. 5, e formula la seguente SINTESI: la motivazione che la sentenza qui impugnata espone a suffragio della decisione assunta in ordine al fatto controverso e decisivo per il giudizio qui in disamina (avvenuta compravendita ed avvenuta consegna al preteso acquirente dei beni per cui l’attore sostanziale rivendica di essere rimasto in credito) non pare soddisfacente laddove non indica elementi di oggettivo riscontro del ragionamento effettuato ed assume, anche con passaggi privi di intrinseca coerenza logico-giuridica, l’effettività di conclusioni in realtà indimostrate.

2.11 NULLITA’ DELLA SENTENZA O DEL PROCEDIMENTO PER VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE dell’art. 112 c.p.c. IN RELAZIONE AL DISPOSTO DI CUI all’art. 360, n. 4 e formula il seguente QUESITO DI DIRITTO dica l’Ecc. ma Corte di Cassazione se la sentenza qui impugnata faccia corretta applicazione del principio di diritto discendente dall’art. 112 c.p.c., principio che viene qui indicato nel dovere del Giudice di pronunciare sulla domanda proposta al suo esame ed entro i limiti di essa, poichè con essa, in assenza di istanza di verificazione da parte di DIMCO dei documenti disconosciuti dalla San Secondo S.a.s.

(DDT e ordinativi) è comunque intervenuta pronuncia sulla formazione e sulla sottoscrizione dei documenti ritualmente e formalmente disconosciuti nonchè utilizzo dei medesimi ai fini della decisione.

1.12 VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DI NORMA DI DIRITTO (art. 215 c.p.c.) IN RELAZIONE AL DISPOSTO DI CUI ALL’ART. 360 NR. 3 e formula il seguente QUESITO DI DIRITTO dica l’Ecc. ma Corte di Cassazione se la sentenza qui impugnata faccia corretta applicazione del principio di diritto discendente dall’art. 215 c.p.c. (principio che qui viene indicato nell’effetto di disconoscimento della scrittura privata tramite assolvimento dell’onere avversativo/contestativo del documento stesso entro la prima difesa o prima udienza successiva alla produzione della scrittura privata ad opera del soggetto nei cui confronti essa è stata prodotta per essere fatta valere) laddove afferma che una parte può far valere contro l’altra una data scrittura mentre risulterebbe inibita alla stessa parte la possibilità di contestare il documento stesso quando la vergatura apparente sulla scrittura indichi un nome non coincidente con quello del legale rappresentate del soggetto che disconosce.

2.13 MOTIVAZIONE ILLOGICA E CONTRADDITTORIA CIRCA FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO ex art. 360 c.p.c., n. 5, e formula la seguente SINTESI:

la motivazione che la sentenza qui impugnata espone a suffragio della decisione assunta in ordine al fatto controverso e decisivo per il giudizio qui in disamina (se la Casa di Cura San Secondo S.a.s. abbia ricevuto consegna dei beni per cui DIMCO afferma di aver effettuato vendita e per cui si reclama in credito) non pare soddisfacente laddove la premessa esposta (che la Sig.ra G. sia soggetto terzo non rappresentativo della parte ingiunta) contrasta con la decisione a cui la sentenza perviene (ossia che tale sottoscrizione dimostri la ricezione della merce da parte della società San Secondo S.a.s.) mentre la risultanza a cui si perviene presuppone l’accertamento dell’identità del soggetto che sottoscrive, accertamento che risulta precluso nel caso di mancata proposizione dell’istanza di verificazione da parte del soggetto che ebbe a produrre il documento tempestivamente disconosciuto.

2.14 MOTIVAZIONE ILLOGICA E CONTRADDITTORIA CIRCA FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO ex art. 360 c.p.c., n. 5, e formula la seguente SINTESI:

la motivazione che la sentenza qui impugnata espone a suffragio della decisione assunta in ordine al fatto controverso e decisivo per il giudizio qui in disamina (che i beni oggetto della richiesta di pagamento siano stati effettivamente consegnati alla asserita debitrice) appare contraddittoria laddove accerta e dichiara che i numeri di lotto del materiale reso e del materiale ordinato non quadrano con i numeri di lotto del materiale consegnato in un primo tempo e tuttavia emette giudizio di ininfluenza del fatto accertato senza l’indicazione di elementi oggetti vi tali per cui possa ripercorrersi in modo intellegibile il percorso logico-giuridico- motivazionale seguito nonchè le ragioni per cui viene ritenuto, nella sostanza apoditticamente, che tali rilevate discrepanze siano irrilevanti o comunque frutto di errori materiali o confusione di partite, elementi ritenuti esistenti (pur non essendo mai stati dedotti nè provati dalle parte attrice sostanziale) e giudicati ininfluenti in assenza di qualsivoglia elemento obiettivo che consenta di pervenire a tale conclusione.

2.15 VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI NORMA DI DIRITTO IN RELAZIONE AL DISPOSTO DI CUI all’art. 184 c.p.c., art. 74 disp. att. c.p.c., u.c. SOTTO IL PROFILO DI CUI all’art. 360 c.p.c., n. 3 e formula il seguente QUESITO DI DIRITTO dica l’Ecc. ma Corte di Cassazione se la sentenza qui impugnata faccia corretta applicazione del principio di diritto discendente dall’art. 74 disp. att. c.p.c., c.p.c., (principio che qui viene indicato nella funzione attestativa della certificazione del Cancelliere della effettività e tempestività della produzione documentale nel caso in cui sorgano contestazioni circa l’effettività e la tempestività della produzione) laddove ha statuito che la ricezione da parte del Cancelliere, senza riserve nè obiezioni, della memoria in cui la parte dava atto della produzione dei due documenti non rinvenuti e di cui è avvenuta contestazione di effettiva tempestiva produzione nella prima memoria successiva avversaria, consente di ritenere comunque verificata l’effettività e la tempestività della produzione, anche in assenza della certificazione espressamente prevista dall’art. 74 c.p.c., u.c. 2.16 MOTIVAZIONE ILLOGICA E CONTRADDITTORIA CIRCA FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO ex art. 360 c.p.c., n. 5, e formula la seguente SINTESI:

la motivazione che la sentenza qui impugnata espone a suffragio della decisione assunta in ordine al fatto controverso e decisivo per il giudizio qui in disamina (che fosse intervenuta tra le parti oggi in lite pattuizione di vendita dei beni con accordo sui prezzi ed effettiva consegna dei beni stessi) si pone come insoddisfacente in quanto frutto di ipotesi di cui viene ritenuta conferma indiziaria con motivazione solo apparente, contraddittoria ed inadeguata dar conto effettivo della ritenuta dimostrazione della domanda da parte del soggetto tenuto.

3. Resiste con controricorso la DIMCO e chiede respingersi il ricorso.

4.1. La censure del ricorso si rivelano tutte prive di pregio. I primi cinque motivi – che possono trattarsi congiuntamente, in quanto si riferiscono tutti alla questione dell’assolvimento dell’onere probatorio del creditore nell’opposizione a decreto ingiuntivo – non meritano di essere accolti. A parte l’evidente inidoneità dei quesiti di diritto e dei momenti di sintesi – il primo è del tutto sibillino, gli altri presentano interrogativi meramente circolari e che già presuppongono una data risposta, ovvero una risposta che non consente di risolvere il caso sub indice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536) – detti motivi non colgono e non riflettono le regole di diritto e le ragioni della decisione effettivamente adottate nella sentenza impugnata. In primo luogo, con le diffuse argomentazioni in diritto ed in fatto con cui ha respinto il primo motivo di appello della Casa di cura, la Corte territoriale ha dato atto che la pretesa azionata in sede monitoria in base a fatture è stata confortata nel corso dell’opposizione da elementi di prova (ricavati dal contenuto delle scritture contabili della DIMCO e in parte dalle risultanze della prova testimoniale. Non vi è stato alcun arbitrario rilievo ufficioso della disposizione di cui all’art. 2710 c.c. Tale norma è stata impiegata correttamente dai giudici di merito (in base al principio di legalità che deve improntare le decisioni giudiziarie nel rispetto del principio della domanda, ma anche nel potere del giudice di qualificare la stessa: artt. 99, 112 e 113 c.p.c.) proprio per valutare l’efficacia probatoria da riconoscere alle fatture al di fuori della fase monitoria. Facendo, quindi, riferimento alle fatture registrate nei libri contabili regolarmente tenuti dall’impresa fornitrice, la Corte territoriale ha correttamente sottolineato quale fosse l’effettiva efficacia probatoria di dette scritture contabili nel giudizio di merito, richiamando il consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui esse, pur se regolarmente tenute, non hanno valore di prova legale a favore dell’imprenditore che le ha redatte, spettando sempre la loro valutazione al libero apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., art. 10 c.p.c., comma 1 (Cass. n. 3188/03; 1715/01; 1994/97; 3108/96). Proprio perchè provengono dall’imprenditore che intende utilizzarle, ai sensi dell’art. 2710 c.c., come mezzi di prova nei confronti della controparte, le scritture contabili sono soggette, come ogni altra prova, al libero apprezzamento del giudice, al quale spetta stabilire, nei singoli casi, se, ed in qual misura, esse siano attendibili ed idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze probatorie, a dimostrare la fondatezza della pretesa (o della eccezione) della parte che le ha prodotte in giudizio (Cass. n. 9593/04; 14105701; 5981/99, in motivazione; 3108/96). E la valutazione del giudice del merito a tal riguardo, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. 740/95;

12423/93, in motivazione; 11041/91, 2878/88; 2337/82). La Corte territoriale (p. 12-14) si è attenuta a tali principi ed ha fatto riferimento, proprio ai fini della formazione del convincimento, al comportamento processuale della Casa di cura (art. 116 c.p.c., comma 2, nell’ambito del quale è stato esaminato (insieme a tutti gli altri elementi menzionati a p. 14 della sentenza) quello dei “disordini e disguidi contabili” delle proprie scritture di cui la stessa Casa di cura avrebbe dato atto con la missiva. Pertanto, non sussistono i vizi procedurali, nè quelli di giudizio nè quelli motivazionali dedotti nei predetti primi cinque motivi.

4.2 Anche i motivi da 6 a 9 – che possono trattarsi congiuntamente avendo ad oggetto la riproposizione delle censure motivatamente disattese dalla Corte territoriale relativamente alle prime due parti del secondo motivo di appello della Casa di cura (v. punti 3.1 e 3.2 sentenza di appello) – si rivelano privi di pregio (a parte, anche in questo caso, l’inidoneità dei quesiti e dei momenti di sintesi, sempre formulati in modo da presupporre la risposta e sempre non tenendo adeguatamente conto delle effettive ragioni della decisione del giudice di appello). In particolare, non sussistono le violazioni dell’art. 112 c.p.c. di cui ai motivi 6 ed 8 (in quest’ultimo, peraltro, impropriamente proposta in rapporto al n. 3, anzichè al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., comma 1), come si desume dalla stessa proposizione delle censure di cui ai al settimo e nono motivo, in cui chiede di sottoporre a verifica proprio le motivazioni rese dalla Corte territoriale in rapporto all’inammissibilità delle nuove domande o prospettazioni. Ad ogni modo, nessuna di tali censure coglie nel segno, tenuto conto che la decisione impugnata – che ha proceduto a qualificare come emendatio e precisazione gli asseriti “nova” introdotti dall’impresa opposta – è in armonia con consolidati principi affermati da questa Corte, secondo cui l’opposizione a decreto ingiuntivo da luogo, ai sensi dell’art. 645 c.p.c., ad un ordinario procedimento di cognizione nel quale opposto ed opponente, nelle rispettive posizioni sostanziali di attore e convenuto, hanno la possibilità di precisare e modificare, nei limiti consentiti dagli artt. 183 e 184 c.p.c., le domande, le eccezioni e le conclusioni formulate in precedenza, nonchè produrre nuove prove, con la conseguenza che il giudice non può limitarsi ad esaminare la domanda così come letteralmente proposta e prospettata nel ricorso per ingiunzione, quasi che la pretesa si sia cristallizzata in tale atto, ma deve interpretarla tenendo conto del suo contenuto sostanziale, quale si desume anche dalle tesi svolte nel corso del giudizio di opposizione e dalle deduzioni e richieste, anche istruttorie, delle parti (Cass. n. 12000/92; 11345/90). Del resto l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto, costituiscono un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione (Cass. n. 19475705, 3678799, 1010198). Inoltre, l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giurisdizionale (Cass. n. 17947/06;

2467/06). Le censure qui avanzate appaiono generiche, perchè non precisano quali canoni ermeneutici abbia violato il giudice di appello nel qualificare le prospettazioni della società fornitrice nel giudizio di opposizione, in rapporto all’originaria domanda.

4.3 Anche i motivi da 11 a 13 – da trattarsi congiuntamente in quanto riferiti tutti alla medesima parte del quarto motivo di appello (punto 5.1 sentenza di appello) – si rivelano privi di pregio.

Infatti, la ricorrente ripropone censure formulate in appello senza tenere conto della motivazione resa sul punto dal giudice di secondo grado. A parte, anche in questo caso, la limitata idoneità dei quesiti – stante il carattere tautologico degli stessi e la non adeguata conferenza rispetto alle regole ed alle ragioni alla base della sentenza impugnata – non sussiste l’errore processuale lamentato nell’undicesimo motivo, avendo la Corte territoriale correttamente rilevato che la casa di cura non aveva il potere processuale di disconoscere la sottoscrizione di documenti provenienti da terzi e non attribuiti al suo legale rappresentante.

Non era, di conseguenza, neanche prospettabile la questione della verificazione di dette scritture private. La statuizione è conforme al principio recentemente enunciato dalle Sezioni Unite di questa S.C. secondo cui le scritture private provenienti da terzi possono essere liberamente contestate, non applicandosi alle stesse la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c. ne quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., atteso che le stesse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è puramente indiziario e che possono quindi contribuire a fondare il convincimento del giudice in armonia con altri dati probatori acquisiti al processo (Cass. S.U. n. 13169/10, secondo cui, peraltro, nell’ambito delle scritture private deve riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura le connota di una carica di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne la autenticità; v.

anche, in senso conforme, conforme a Cass. n. 76/10). Alla luce di tale principio non sussistono nè la violazione di legge dedotta nel motivo 12, nè il vizio motivazionale di cui al motivo 13: la questione della verificazione non era neanche prospettabile se i documenti provenivano da terzi e la teste già dipendente della Casa di cura era senza dubbio “terzo” ai fini del regime processuale dell’art. 214 c.p.c. rispetto alla persona giuridica odierna ricorrente.

4.4 Il decimo, il quattordicesimo ed il sedicesimo motivo sono inammissibili per inidonea formulazione dei rispettivi momenti di sintesi. E’ solo apparente, infatti, in ciascuno di essi la “chiara indicazione” del “fatto controverso” e delle “ragioni” che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, indicati dall’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v.

Cass., 18/7/2007, n. 16002). Qui le sintesi sono inidonee, in quanto generiche e prive di effettive indicazione dei fatti rispettivamente controversi e dell’illogicità da cui dovrebbe essere affetta la decisione: solo attraverso la trattazione dei motivi si evidenzia che intenderebbe riferirsi a singole questioni trattate nella motivazione della sentenza impugnata. L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica dei motivi da parte di questa Corte, oltre che consistere in un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nel citato punto della sentenza impugnata.

4.5 E’ inammissibile anche la censura di cui al motivo 15: sia il quesito che la trattazione del motivo – relativo alla prospettata violazione dell’art. 74 disp. att. c.p.c. – prescindono dalla considerazione del complesso delle motivazioni espresse dalla Cote territoriale (punto 5.3 della sentenza di appello) a sostegno della mancata prova in atti dell’intempestività della produzione documentale in questione, sicchè si deve ribadire che, qualora la sentenza del giudice di merito (o un capo di questa) si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una sola di tali ragioni, determina l’inammissibilità, per difetto d’interesse, anche del gravame (o del motivo di gravame) proposto avverso le altre, in quanto l’avvenuto accoglimento del ricorso (o del motivo di ricorso) non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, onde la sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa (Cass. S.U. n. 16602/05; 2811/06; nonchè, in motivazione, Cass. n. 24431 e 1490607;

13949/06; per i riflessi di tale situazione sull’idoneità del quesito di diritto, cfr. Cass. n. 8463/09).

5. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

R0igetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.700=, di cui Euro 2.500= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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