Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26213 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 18/10/2018, (ud. 04/04/2018, dep. 18/10/2018), n.26213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29584/2014 proposto da:

UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 70, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati SALVATORE FLORIO, FABRIZIO DAVERIO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.V.;

– intimato –

nonchè da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMEO ROMEI

27, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SAVARESE, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

UNICREDIT S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3172/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/12/2013 r.g.n. 2554/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto ricorso principale e

incidentale;

udito l’Avvocato ACHILLE BORRELLI per delega verbale Avvocato

FABRIZIO DAVERIO;

udito l’Avvocato ROBERTO SAVARESE.

Fatto

FATTI di CAUSA

Con ricorso del 23 maggio 2005 C.V., già dipendente di SICILCASSA dal 13 febbraio 1967, premesso che nel 1991 aveva conseguito per riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori la qualifica di quadro direttivo di 1^ livello; che nell’ottobre 1998 era stato trasferito al Banco di Sicilia, sede in (OMISSIS) e che nel febbraio del 2002 aveva conseguito la qualifica di quadro di 2^ livello, dopo aver svolto dall’agosto dell’anno precedente l’attività di product manager; che tra l’altro era fortemente impegnato sul versante sindacale, poichè già segretario di coordinamento nazionale della FISAC CGIL ed esponente di spicco di detta organizzazione; che alla fine di novembre 2004 illegittimamente era stato destinato dalla sede di via del Corso allo sportello 16 con le mansioni di gestore small business, figura professionale che in base al nuovo modello distributivo di gruppo era inquadrata nel 4^ livello dell’area professionale impiegatizia; che, preso possesso in data 24 dicembre 2004 presso la nuova sede, i propri superiori gerarchici risultavano di grado inferiore al suo, trattandosi di un quadro di 10 livello di un impiegato di 4^ livello; che nei primi giorni di gennaio del 2005 la Banca gli aveva contestato una serie di comportamenti, per cui, nonostante le proprie giustificazioni, era stata comminata la sanzione della sospensione del lavoro e dalla retribuzione per 4 giorni da scontare a febbraio dell’anno 2005, sanzione impugnata in via giudiziale; che gli anzidetti accadimenti gli avevano procurato un profondo disagio morale e fisico; tanto premesso, il C. aveva convenuto in giudizio la S.p.a. Banco di Sicilia, denunciando il comportamento persecutorio e discriminatorio posto in essere ai suoi danni in ragione del suo forte impegno sindacale, per cui aveva chiesto al giudice adito di accertare la illegittimità del trasferimento presso il suddetto sportello 16, con conseguente ordine di reintegra nelle mansioni in precedenza svolte presso la sede di (OMISSIS), dedotta altresì la dequalificazione professionale asseritamente subita, instando quindi anche per la condanna della convenuta al risarcimento di tutti i danni lamentati.

Radicatosi il contraddittorio con la costituzione di parte convenuta, che resisteva alle pretese avversarie, espletata prova per testi, il giudice adito pronunciava sentenza non definitiva, dichiarando illegittimo il provvedimento di destinazione del ricorrente alle mansioni di gestore small business, ordinando quindi alla S.p.A. Banco di Sicilia di adibire lo stesso alle mansioni svolte prima del trasferimento presso lo sportello 16, o comunque a mansioni equivalenti a quest’ultime e coerenti con l’inquadramento professionale posseduto (livello qd2 ex C.C.N.L. per i dipendenti delle aziende di credito).

In seguito, espletata c.t.u. medico-legale, la causa veniva definitivamente decisa con la condanna di Unicredit S.p.A. – che aveva nelle more incorporato la Banco di Sicilia S.p.A. – al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 19.290 per danno alla professionalità, oltre accessori come per legge, nonchè della somma di Euro 8167,50 a titolo di danno biologico e morale, oltre accessori dalla pronuncia al saldo, ed al rimborso delle spese di lite all’uopo liquidate.

Avverso le anzidette sentenze la S.p.a. UNICREDIT proponeva appello con ricorso del 19 marzo 2010, cui resisteva il lavoratore, proponendo a sua volta appello incidentale, finalizzato alla riforma di quanto deciso in prime cure relativamente all’entità del danno biologico, oltre che riguardo alla protrazione dello stato di demansionamento, anche per il periodo successivo al deposito del ricorso introduttivo e sino al successivo licenziamento, intimato il 18 febbraio 2007, che aveva poi comportato la cessazione del rapporto di lavoro.

La Corte capitolina con sentenza n. 3172 in data 28 marzo – 11 dicembre 2013 rigettava l’appello della società, avverso la pronuncia non definitiva, ed in parziale accoglimento dell’impugnazione principale e di quella incidentale riformava, per quanto di ragione, la gravata decisione definitiva, confermata nel resto, limitando la condanna della società al solo titolo costituito dal danno alla professionalità, quantificato all’attualità in 47.421,25 Euro, oltre accessori dalla pronuncia, ponendo altresì le spese di c.t.u. a carico di entrambe le parti in ragione del 50% ciascuna. Compensava, infine, per 1/3 le spese del doppio grado del giudizio, liquidate per l’intero così come già determinate in 10 grado e per il 20 in complessivi 3600,00 Euro, ponendo quindi la residua quota di 2/3 a carico della Unicredit.

La pronuncia di appello è stata quindi impugnata, ma parzialmente, in via principale, da UNICREDIT S.p.A., mediante ricorso per cassazione in data 11/12/2004 con quattro motivi, cui ha resistito C.V. con controricorso e contestuale ricorso incidentale del 19 gennaio 2015, affidato a tre motivi (limitatamente alla riduzione del quantum a titolo di risarcimento, operata dal giudice di secondo). Al ricorso incidentale ha replicato, a sua volta, UNICREDIT mediante controricorso in data 25 – 26 febbraio 2015.

Memorie ex art. 378 c.p.c.,sono state depositate da entrambe le parti.

Diritto

RAGIONI della DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., poichè la Corte territoriale, dopo aver correttamente limitato al 50% della retribuzione il risarcimento del danno alla professionalità, parametrato invece al 100% della retribuzione in primo grado, era successivamente incorsa in un gravissimo errore di diritto, dal momento che aveva inteso estendere il periodo rilevante ai fini del danno da demansionamento sino al licenziamento avvenuto il 18 dicembre 2007.

Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, è stata lamentata la violazione e o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione agli artt. 414 c.p.c. e segg..

Con il terzo motivo UNICREDIT si poi doluta, in via gradata ex art. 360 c.p.c., n. 3, della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 414 c.p.c. e segg., sempre con riferimento all’accoglimento di parte dell’appello incidentale, laddove peraltro si assume una violazione dei diritti della difesa per la non possibilità di fornire prova dell’inadempimento, mentre d’altro canto non si era tenuto conto di quanto a suo tempo allegato da parte convenuta con le note autorizzate circa le assenze del C. durante tutto il periodo in questione (per ferie, malattie o altro).

Infine, con il quarto motivo – in via ulteriormente gradata – è stata dedotta la nullità ex art. 360, n. 4, della sentenza e del procedimento, con riferimento ai suddetti errores in procedendo.

Il ricorso incidentale (tardivo ex art. 334 c.p.c., siccome proposto il 19 gennaio 2005, quindi oltre l’anno dalla pubblicazione della pronuncia di appello, avvenuta mediante deposito in cancelleria l’undici dicembre 2013, termine lungo annuale secondo il testo dell’art. 327 c.p.c., nella specie applicabile in relazione al ricorso introduttivo del giudizio risalente all’anno 2005, non operando, per altro verso, come è noto, in materia la sospensione dei termini durante il periodo feriale) si fonda, invece, sui seguenti motivi:

1) nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4, di parte della sentenza di secondo grado relativa la danno biologico ed esistenziale con riguardo all’art. 112 c.p.c. (la cui pretesa in effetti risulta considerata inammissibile dalla pronuncia di appello, però errata secondo il ricorrente incidentale poichè la questione era stata affrontata dalla Corte territoriale in difetto di appositi specifici motivi d’impugnazione sul punto);

2) ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 132,156,429 e 437 c.p.c., atteso l’insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione in ordine alla liquidazione del danno da dequalificazione professionale, quantificato in 47.421,25 Euro, anzichè in 57.870,00 (tenuto conto che la retribuzione mensile ammontava 3215,00 Euro, sicchè 3215/2=1607, 5 / 36 = 57870; 47421, 25 / 36 = 1317,256944);

3) ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 2056,1223 c.c. e art. 429 c.p.c., avendo la Corte territoriale ritenuto la decorrenza degli interessi (e della rivalutazione monetaria) dalla data di pubblicazione della sentenza e non già dal fatto illecito.

Orbene, con i quattro motivi del ricorso principale UNICREDIT in effetti censura la sentenza di appello limitatamente alla decisione di accogliere, sebbene in parte, l’appello incidentale, laddove era stato riconosciuto il danno ulteriore, concernente l’arco temporale compreso tra il deposito del ricorso introduttivo del giudizio (maggio 2005) e la cessazione del rapporto di lavoro avutasi per effetto del recesso intimato nel dicembre 2007. Al riguardo la società con i primi tre motivi ha dedotto in concreto errores in procedendo, però ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè ex art. 360 c.p.c., n. 4, mentre soltanto con il quarto motivo è stata denunciata espressamente la (asserita) nullità della pronuncia ex art. 360, n. 4 cit., sempre per la parte relativa al limitato accoglimento dell’appello incidentale (ex art. 345 c.p.c. – ma v. pure l’art. 437), però in base alle stesse ragioni indicate nei primi tre motivi. Tuttavia, non risulta essere stato compiutamente riprodotto ex art. 366 c.p.c., n. 6, l’appello incidentale in questione, peraltro nemmeno specificamente individuato almeno con la data di deposito. Nel ricorso principale, inoltre, manca anche adeguato indice analitico della relativa produzione.

Ne deriva, pertanto, l’inammissibilità del ricorso principale, di modo che quello incidentale, ma tardivo, perde efficacia ex art. 334 c.p.c..

Infatti, quanto agli errores in procedendo di cui ai primi tre motivi dell’impugnazione proposta da UNICREDIT, ma senza alcuna univoca denuncia di nullità, va ricordato che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione ivi stabilite, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Ne deriva che, ove il ricorrente lamenti l’errore processuale consistito nell’aver ritenuto ammissibile una domanda in violazione delle preclusioni processuali, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo alla norma processuale violata, purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa violazione (v. Cass. 2 civ. n. 24247 del 29/11/2016, secondo cui di conseguenza doveva dichiararsi inammissibile l’impugnazione riferita esclusivamente alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In senso analogo, Cass. sez. un. civ. n. 17931 del 24/07/2013 con specifico riferimento nel caso esaminato al denunciato vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., secondo cui, per l’effetto, deve ritenersi inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. V. pure Cass. 3 civ. n. 13683 del 31/07/2012: chi lamenta in sede di legittimità l’erroneo rigetto, da parte del giudice di merito, dell’eccezione di estinzione del processo, invoca un vizio consistente in una nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 e non in una violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3. Ne consegue che il relativo motivo di ricorso è inammissibile, se prospettato come violazione di legge).

Nè può sostenersi che l’anzidetta rilevata inammissibilità di cui ai primi tre motivi possa dirsi superata per effetto della nullità denunciata con la quarta censura, formulata ai sensi del cit. art. 360, comma 1, n. 4, risultando comunque le anzidette doglianze carenti in punto di autosufficienza, non avendo adeguatamente riprodotto, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’appello incidentale a suo tempo proposto dal C., oggetto però delle critiche mosse dalla società con il ricorso principale.

E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che anche la deduzione della violazione di norme del procedimento deve rispettare il principio di autosufficienza (in termini: ex multis, Cass. n. 12239 del 2007; n. 6361 del 2007, a proposito della denuncia dell’omessa pronuncia; n. 9076 del 2006; n. 4840 del 2006; n. 17424 del 2005; n. 6972 del 2005; n. 6225 del 2005 – così in motivazione Cass. 3 civ. n. 10605 del 5 marzo – 30 aprile 2010). Nè alcuna sanatoria è in proposito ricavabile dalla lettura della sentenza impugnata, ovvero di altri atti processuali (peraltro nella specie qui in esame nemmeno specificamente individuati con apposito analitico indice – v. sul punto Cass. 6 civ. – 3n. 23452 del 06/10/2017, secondo cui l’adempimento dell’obbligo di specifica indicazione degli atti e dei

documenti posti a fondamento del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), previsto a pena d’inammissibilità, impone quanto meno che gli stessi risultino da un’elencazione contenuta nell’atto, non essendo a tal fine sufficiente la presenza di un indice nel fascicolo di parte. Cfr. in senso analogo anche Cass. lav. n. 4350 del 04/03/2015, secondo cui, in relazione all’obbligo di depositare integralmente il testo dei contratti o degli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti).

Infatti, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone, dunque, che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. 2 civ. n. 7825 del 04/04/2006, conformi Cass. nn. 16360 del 2004, 12166 e 19788 del 2005. V. altresì più recentemente in senso analogo Cass. 6 civ. – 3 n. 1926 del 03/02/2015, 1 civ. n. 19018 del 31/07/2017, id. n. 12688 del 30/05/2007). Parimenti dicasi per le memorie ex art. 378 c.p.c., che come è noto hanno funzione soltanto illustrativa rispetto a quanto però già in precedenza ritualmente e tempestivamente dedotto.

Sono, dunque, palesemente inammissibili le doglianze mosse, anche laddove rilevanti ex art. 360 c.p.c., n. 4, ad errores in procedendo, per difetto dei requisiti richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, non essendo stati forniti idonei e sufficienti elementi di cognizione da cui poter rilevare, eventualmente, la sussistenza dei ivi denunciati.

Come sopra anticipato, l’inammissibilità del ricorso principale comporta l’inefficacia del ricorso incidentale, tardivo, proposto dal controricorrente in data 19 gennaio 2015 (v. Cass. 1 civ. n. 24291 del 29/11/2016: ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è inammissibile il ricorso per cassazione privo dell’esposizione sommaria dei fatti, con la conseguenza che, in virtù dell’art. 334 c.p.c., comma 2, il ricorso incidentale tardivo è inefficace.

Cfr. infatti, tra le altre, Cass. 6-3 n. 16103 del 02/08/2016, secondo cui il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena d’inammissibilità del ricorso per cassazione, è funzionale alla completa e regolare instaurazione del contraddittorio ed è soddisfatto laddove il contenuto dell’atto consenta di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti, sicchè impone alla parte ricorrente di sopperire ad eventuali manchevolezze della stessa decisione nell’individuare il fatto sostanziale e soprattutto processuale.

V. ancora Cass. 3 civ. n. 6077 del 26/03/2015: in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale tardivo, proposto oltre i termini di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, ovvero art. 327 c.p.c., comma 1, è inefficace qualora il ricorso principale per cassazione sia inammissibile, senza che, in senso contrario rilevi che lo stesso sia stato proposto nel rispetto del termine di cui all’art. 371 c.p.c., comma 2, pari a quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale. Conforme id. n. 8105 del 06/04/2006. V. parimenti Cass. nn. 3419 del 2004 e 3862 del 2004.

Cfr. altresì Cass. lav. n. 3743 del 14/03/2002, secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva perde efficacia non soltanto se quella principale venga dichiarata inammissibile – come espressamente previsto dall’art. 334 c.p.c. – ma anche se quella risulti improponibile o improcedibile, ossia in ogni caso in cui esista “ab origine” un difetto che preclude l’esame dell’impugnazione principale, atteso che l’art. 334 cit. va interpretato nel senso che intanto persiste e trova tutela nell’ordinamento l’interesse all’impugnazione incidentale tardiva, in quanto può venire esaminata l’impugnazione principale. In senso analogo, Cass. sez. un. civ. n. 4818 del 28/07/1986, in relazione alla improponibilità dell’impugnazione principale. Cfr. inoltre Cass. sez. un. civ. n. 9741 del 14/04/2008: qualora il ricorso principale per cassazione venga dichiarato improcedibile, l’eventuale ricorso incidentale tardivo diviene inefficace, e ciò non in virtù di un’applicazione analogica dell’art. 334 c.p.c., comma 2 – dettato per la diversa ipotesi dell’inammissibilità dell’impugnazione principale – bensì in base ad un’interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un’impugnazione – tra l’altro anomala – possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità). Tenuto conto dell’esito negativo di entrambe le impugnazioni, le relative spese vanno di conseguenza compensate.

Tuttavia, attesa l’inammissibilità del ricorso principale, va dato atto per lo stesso dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso principale, INEFFICACE per l’effetto quello incidentale e compensate tra le parti le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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