Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26213 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 16/10/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 16/10/2019), n.26213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29966-2018 proposto da:

C.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROBERTO PALMISANO;

– ricorrente –

contro

COMUNE ORIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI PESCE, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 372/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 10/04/2018 R.G.N. 2369/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/04/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto

ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI PESCE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Lecce, rigettando l’appello avverso la pronuncia del Tribunale di Brindisi, ha confermato la reiezione dell’impugnativa di licenziamento disciplinare proposta da C.G. nei confronti del Comune di Oria, ritenendo che non potesse dirsi carente la motivazione del recesso, in quanto fondato su fatti già oggetto di sentenza penale definitiva e sulla gravità del tentato delitto per cui vi era stata condanna.

Così come infondato era – aggiungeva la Corte territoriale – l’assunto in ordine alla carenza di proporzione nella misura prescelta, avendo il C. tenuto un comportamento non consono alla funzione ed all’immagine di un pubblico dipendente, consistito nel tentativo di indurre un affidatario di servizi comunali ad assumere un suo parente, ritenuto di maggiore caratura deliquenziale, al fine di ottenere protezione avverso minacce provenienti da terzi estorsori, così favorendo la criminalità maggiore onde sottrarsi a quella minore.

2. Avverso la sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, poi illustrato da memoria e resistito dal Comune con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe operato sostituendosi al Comune nell’individuare i motivi di gravità dell’addebito, mentre nessun automatismo poteva esservi tra fatti oggetto di condanna penale, tra l’altro relativi a delitti commessi fuori dal servizio, e provvedimento sanzionatorio.

2. Il ricorso è manifestamente inammissibile.

3. Pur affermando infatti che la Corte d’Appello avrebbe integrato la valutazione d; gravità dell’addebito che il Comune avrebbe in realtà omesso di sviluppare negli atti del procedimento disciplinare, il ricorrente non riporta in alcun passaggio il concreto contenuto dell’atto di licenziamento interessato dalla censura.

Ciò determina una palese genericità del ricorso, in quanto la sua formulazione si pone in contrasto con i presupposti giuridici e di rito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, e con i principi di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai n. 4 e 6 della predetta disposizione, da cui si trae, nel contesto comune del principio di specificità predetto, l’esigenza che l’argomentare sia idoneo a manifestare la pregnanza (ovverosia la decisività) del motivo, attraverso non solo il richiamo ai documenti che possono sorreggerlo, ma con l’inserimento logico del contenuto rilevante di essi nell’ambito del ragionamento impugnatorio.

Tanto più nel caso di specie in cui in realtà la Corte territoriale espressamente ha affermato che “la lettera di licenziamento… risulta contenere elementi idonei e sufficienti ad evidenziare i motivi per i quali l’ente datore di lavoro abbia ritenuto irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario” sicchè una critica rispetto a tale ratio decidendi avrebbe imposto, al fine di smentire le diverse affermazioni del giudice di secondo grado, di riportare il tenore di quell’atto.

4. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna alla rifusione delle spese, in ragione del principio di soccombenza.

5. L’attuale condizione del ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza del raddoppio del contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368; Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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