Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26212 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 18/10/2018, (ud. 22/03/2018, dep. 18/10/2018), n.26212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9598/2015 proposto da:

A.F., B.N., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO

NATALE EDOARDO GALLEANO, che li rappresenta e difende giusta delega

in atti;

– ricorrenti –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 341/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 11/10/2014 r.g.n. 197/2014.

Fatto

RILEVATO

che la corte d’Appello di Genova con sentenza del 1.10.2014 ha respinto l’appello di A.F. e B.N. avverso la sentenza del tribunale di La Spezia che aveva a sua volta respinto le domande dirette a far accertare la nullità del termine apposto ai contratti stipulati, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2 bis, con Poste Italiane spa rispettivamente per i periodi 2.11.2011 /31.1.2002 e 4.4./29. 6.2012.

Che la corte territoriale, confermando l’iter argomentativo della sentenza di primo grado, ha affermato la legittimità dell’art. l cit., comma 2 bis, come ritenuto dalla giurisprudenza nazionale ed Eurounitatia, il rispetto da parte di Poste spa di quanto richiesto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 3, come desumibile dal documento prodotto dalla società contenente una completa disanima dei rischi, in relazione sia ai luoghi della prestazione che alla mansione del personale assegnato all’ufficio ed avendo avuto anche i ricorrenti direttamente informazioni sulle mansioni ed i rischi connessi.

Che la corte genovese ha ritenuto inammissibile la doglianza svolta solo in sede di gravame dagli appellanti circa l’inidoneità di tale documento, formato nel dicembre 2008 e dunque in epoca anteriore alla conclusione dei due contratti, osservando altresì che comunque non era prevista alcuna specifica sanzione, sotto il profilo della validità del contratto, in caso di inadempimento dell’obbligo di comunicazione alle OOSS nei termini di cui al D.Lgs. n. 368 cit., art. 3.

Che i giudici del gravame hanno infine osservato che il tenore letterale inequivoco dell’art. 1, comma 2 bis non consentiva di interpretare la norma se non nel senso che la percentuale di contingentamento del 15% andava determinata su tutto l’organico aziendale e che, quanto alla posizione dell’ A., non rilevava ai fini della legittimità del termine, la circostanza del mutamento di ufficio nell’ultimo periodo del contratto da (OMISSIS) a (OMISSIS) insistendo quest’ultima sede pur sempre nella provincia di (OMISSIS).

Che per la cassazione della sentenza hanno proposto appello A.F. e B.N. affidato a quattro motivi, a cui ha resistito Poste con controricorso, atti poi illustrati da memorie depistate ai sensi dell’art. 480 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che i motivi di ricorso hanno riguardato:1) la violazione della clausola 4 e 8.1.della direttiva 1999/70 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: secondo i ricorrenti poichè in base alla sentenza della CGUE Carratù del 12.12.2103 Poste spa deve ritenersi ente pubblico, vi sarebbe violazione della clausola 4, in combinato disposto con la clausola n. 8 della citata direttiva, direttamente applicabili, perchè avendo il legislatore italiano scelto di optare per la causalità del contratto a termine, Poste italiane spa avrebbe dovuto seguire tale strada in forza dello ius superveniens costituito dalla pronuncia Carratù; 2) La violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 3 in connessione con l’art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 29, per avere la corte errato nell’affermare che sarebbe stata domanda nuova in appello, in quanto esplicitata nei suoi aspetti fattuali fondanti solo in appello, la mancata valutazione dei rischi. Ciò non sarebbe perchè in primo grado i ricorrenti avevano prodotto l’accordo del 27.7.2010 in cui il processo di ristrutturazione, pur debitamente illustrato, mancava della relativa attualizzazione della valutazione dei rischi con espresso riferimento ai ricorrenti; 3) la violazione del D.Lgs. n. 368 cit., art. 3 in connessione art. 112 c.p.c., per non essere stata prodotta, con riferimento alla posizione A., la valutazione dei rischi presso l’ufficio di (OMISSIS) dopo il trasferimento dalla sede di (OMISSIS); 4) la violazione art. 2, comma 1 bis in connessione con l’art. 2967 c.c., relativamente al superamento della percentuale di legge, per avere la corte distrettuale errato nel ritenere computabile l’intero organico aziendale, dovendosi invece fare riferimento solo all’impresa concessionaria di servizi nei settori postali, non quelli relativi al “banco posta”.

Che il primo motivo non merita accoglimento, perchè infondato: la questione della cd “acausalità” del contratto a termine di cui all’art. 2, comma 1 bis, è stata già risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 31/05/2016 n. 11374, nella quale si è affermato il seguente principio di diritto: “Le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1 del medesimo D.Lgs., comma 1”.

Che del tutto inconferente è inoltre richiamo alla sentenza Carratù (C-361/12)che non affronta la questione della legittimità comunitaria del D.Lgs. n. 368 cit., art. , comma 1 bis, bensì la questione della compatibilità con la disciplina comunitaria della norma prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32.

Che inoltre la questione di compatibilità della normativa nazionale con la clausola di non regresso di cui all’art. 8 della direttiva 1999/70 è stata dichiarata infondata dalla Corte di Giustizia (ordinanza sez. 6^, 11/11/2010, n. 20, Vino c/o Poste), che ha valorizzato l’assunto secondo cui l’adozione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, perseguiva uno scopo distinto da quello dell’attuazione, nell’ordinamento nazionale, dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, essendo finalizzata, piuttosto, a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire l’attuazione della direttiva 1997/67/CE in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali, con particolare riferimento al miglioramento della qualità del servizio.

Che il secondo motivo, relativo alla mancata valutazione dei rischi ai sensi della normativa antinfortunistica, è in parte inammissibile e in parte infondato.

Che va invero rilevata la violazione anche del principio di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la parte ricorrente omesso di depositare e comunque di indicare il deposito dell’accordo sindacale del 27.7.2010, richiamato e trascritto parzialmente nel ricorso di legittimità, ma soprattutto di trascrivere la parte del ricorso di primo grado – atto egualmente non depositato – che si riferiva alla specifica contestazione di mancata comunicazione della distribuzione dell’orario settimanale, dell’assetto dei turni e di altre caratteristiche degli uffici svolta anche in primo grado, ciò al fine di verificare l’esattezza o meno di quanto sul punto affermato dalla corte genovese circa l’inammissibilità di una tale contestazione, perchè del tutto nuova e formulata solo in sede di gravame.

Che comunque il motivo è infondato, dovendosi ritenere corretta l’interpretazione fornita dalla corte territoriale che, avendo esaminato i documenti prodotti da Poste, relativi anche alle specifiche posizioni dei due lavoratori, ha ritenuto che fosse stato osservato da Poste spa il disposto di cui al del D.Lgs. n. 368 cit., art. 3, comma 1, lett. d, in relazione a quanto previsto dalla norma di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 29, in quanto contenente una valutazione dei rischi come richiesto dalle norme antinfortunistiche, peraltro con riferimento all’intera area della provincia di (OMISSIS), comprendente quindi anche la diversa sede di (OMISSIS), dove A. era stato dislocato nel corso del rapporto.

Che infine è infondato anche il quarto motivo. In tema di individuazione della tipologia di lavoratori da considerare nell’organico aziendale l’orientamento espresso da questa Corte (cfr. da ultimo Cass. 2.7.2015 n. 13609, come anche Cass. n.4637/2018, richiamata in chiave critica dagli stessi ricorrenti nella memoria ex art. 380 c.p.c.), a cui si ritiene di dare continuità, è nel senso che “.. il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1 bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la “ratio” della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che al fine di valutare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali percentuali (sull’organico aziendale) previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis”.

Che il ricorso deve quindi essere respinto, con condanna dei ricorrenti soccombenti alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti e dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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