Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26211 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 18/11/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 18/11/2020), n.26211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. est. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi riuniti proposti da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

Ristorante DORA di R.R. & C. Sas (già Ristorante Dora

di B.A. & C. Sas), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura

speciale stesa a margine del controricorso, dall’Avv. Francesco

Manzon, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato

presso lo studio dell’Avv. Pasquale Bertone, al piazzale Clodio n.

32 in Roma;

– controricorrente –

e contro

R.R., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

stesa a margine del controricorso, dall’Avv. Francesco Manzon, che

ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. Pasquale Bertone, al piazzale Clodio n. 32 in Roma;

– controricorrente –

e contro

R.G., rappresentata e difesa, giusta procura speciale

stesa a margine del controricorso, dall’Avv. Francesco Manzon, che

ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. Pasquale Bertone, al piazzale Clodio n. 32 in Roma;

– controricorrente –

e contro

B.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale

stesa a margine del controricorso, dall’Avv. Francesco Manzon, che

ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’Avv. Pasquale Bertone, al piazzale Clodio n. 32 in Roma;

– controricorrente –

Avverso rispettivamente, la sentenza n. 326, pronunciata dalla

Commissione Tributaria Regionale della Campania il 27.5.2013, e

pubblicata il 1.7.2013; e la sentenza n. 146, pronunciata dalla

Commissione Tributaria Regionale della Campania il 30.4.2013, e

pubblicata il 3.7.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Preliminarmente occorre disporre la riunione dei ricorsi, perchè la decisione del giudizio in ordine al maggior reddito accertato nei confronti della società di persone esercita una necessaria influenza in ordine al maggior reddito consequenziale attribuito dall’Ente impositore ai soci B.A., R.R. e R.G..

In ordine al ricorso iscritto al n. 3890/14 RGR, l’Amministrazione finanziaria, a seguito di verifica fiscale, notificava al “Ristorante Dora” di B.A. & C. Sas, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) attinente a maggiori tributi Iva, Irap ed Ires, in relazione all’anno 2005, in conseguenza del maggior reddito imponibile riscontrato mediante Processo Verbale di Costatazione redatto dalla stessa Agenzia delle Entrate, dovendo poi ritenersi che gli ulteriori proventi accertati fossero stati distribuiti tra i tre soci della società di persone: B.A., R.R. e R.G..

La società ed i soci impugnavano l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli e contestavano, innanzitutto, la totale omissione dell’Agenzia nel riportare nell’atto impositivo notificato le osservazioni proposte dai contribuenti nel corso dell’istaurato contraddittorio, e le eventuali repliche dell’Amministrazione finanziaria. Inoltre, sottolineava che la valutazione della percentuale di sfrido effettuata dall’Agenzia risultava senz’altro inattendibile. Il ristorante, infatti, serviva una cucina a base di solo pesce fresco, non essendo neppure dotato di congelatori, ed in conseguenza la percentuale di sfrido, calcolata dall’Amministrazione finanziaria nel 10%, doveva ritenersi assolutamente inesatta, potendo tale percentuale essere prudentemente rettificata nel 30%. Inoltre, l’Ente impositore aveva effettuato i suoi calcoli prendendo in considerazione il prezzo di vendita soltanto di un numero limitato di prodotti, lo aveva calcolato nel valore massimo riportato nei listini dell’epoca ed aveva preteso di ricavarne un criterio attendibile, da applicarsi in generale per qualsiasi tipo di prodotto venduto dall’impresa. La società proponeva quindi un diverso calcolo analitico della contabilità dell’impresa, fermo restando che nessuna irregolarità nella sua tenuta era stata riscontrata dai verificatori. In ogni caso, secondo i contribuenti, alla luce delle repliche fornite già nel contraddittorio pre-procedimentale, l’Agenzia non aveva applicato correttamente le previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), perchè non aveva tenuto in alcun conto gli argomenti di replica offerti dall’accertata. Proponeva, inoltre, contestazioni formali.

Con sentenza del 15.12.2011, la CTP di Napoli accoglieva il ricorso proposto dalla società contribuente e dai soci, ed annullava l’avviso di accertamento. La CTP, annota la Commissione Tributaria Regionale della Campania nella sua decisione ora impugnata, “sostanzialmente giustificava l’operato del contribuente, ravvisando nell’accertamento un errore dell’Ufficio non sussistendo i presupposti per una ricostruzione induttiva, anche in ragione della regolare tenuta della contabilità: l’accertamento come motivato dall’Agenzia delle Entrate si fonda esclusivamente sul coefficiente di resa della materia prima impiegata nell’attività di ristorazione. Una siffatta motivazione non può ritenersi sufficiente e giustificare tale tipologia di accertamento ancora più in presenza di mancata contestazione della tenuta delle scritture contabili…”.

La decisione assunta dalla CTP era censurata dall’Ente impositore, mediante gravame proposto innanzi alla CTR della Campania. L’Amministrazione finanziaria insisteva nel sostenere che il controllo fiscale era nato a seguito del riscontro di un “evidente scostamento dei dati di bilancio dalle medie di settore”, e che doveva stimarsi corretta la metodologia di accertamento adottata dall’Ufficio, il quale aveva provveduto all'”esame delle fatture di acquisto e di vendita riferite ad un campione di prodotti maggiormente rappresentativi sulla base della stessa documentazione esibita dalla parte” (sent. CTR, p. 3). La CTR osservava che la contribuente aveva fornito una propria ricostruzione della gestione d’impresa nell’anno 2005, proponendo un dettagliato resoconto, basato su rilievi contabili regolarmente sviluppati, ed anche su argomentazioni logiche. A fronte di ciò l’Agenzia non aveva efficacemente replicato, limitandosi ad insistere nell’affermare la legittimità del proprio operato. Tuttavia, l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), non può fondarsi solo sui valori percentuali medi del settore che, ove siano contrastati da altre risultanze, sono inidonei ad integrarne i presupposti di legge. La CTR, in definitiva, escludeva che l’Ente impositore avesse fondato il suo accertamento su presunzioni gravi, precise e concordanti, perchè le stesse non emergevano affatto dalla carente motivazione dell’originario avviso di accertamento e, non avendo l’Amministrazione finanziaria efficacemente replicato alle osservazioni di controparte, la fondatezza della verifica fiscale non poteva desumersi neppure da altri elementi. Avverso la decisione adottata dalla CTR della Campania ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a quattro mezzi di gravame. Resistono con controricorso la società ed i suoi tre soci, tra cui B.A..

A proposito del ricorso iscritto al n. 3888/14 RGR, poi, occorre ricordare che l’Agenzia delle Entrate, a seguito dell’accertamento concluso nei confronti della società, notificava al socio B.A., odierna controricorrente, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo al maggior reddito imponibile ai fini Irpef, che l’Ente impositore riteneva essere stato-conseguito dai contribuenti per effetto della distribuzione tra i soci dei proventi percepiti dalla società nell’anno 2005.

La B. impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, contestando l’esperibilità di una procedura di accertamento induttivo stante la riscontrata regolarità di tutte le scritture contabili della società ed opponendo, ancora, l’omessa notifica del Processo Verbale di Costatazione, oltre vizi formali dell’atto. La CTP reputava fondate le difese proposte dalla contribuente ed annullava l’avviso di accertamento.

Avverso la decisione assunta dai giudici di primo grado spiegava appello l’Ente impositore innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, e “a fondamento della propria impugnazione si limitava ad affermare `nel meritò, che “la Corte di Cassazione ha più volte ribadito la legittimità dei criteri di ragionevolezza, anche sotto il problema della antieconomicità, essendo in tali casi consentito all’Ufficio di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè chiare, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente” (sent. CTR, p. 4). I giudici dell’appello ritenevano che il ricorso proposto dall’Ente impositore difettasse radicalmente di specificità, non proponendo alcuna critica delle ragioni poste dalla CTP a fondamento della propria decisione, e pertanto lo dichiaravano inammissibile.

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un motivo di gravame. Resiste mediante controricorso B.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – (ricorso n. 3890 RGR). Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’Agenzia delle Entrate contesta la “omessa o insufficiente motivazione su fatto controverso” (ric., p. 3), per avere la CTR trascurato il rilievo decisivo dell’evidenziata antieconomicità della gestione imprenditoriale del Ristorante Dora, che era stata invece ricostruita analiticamente dall’Ente impositore come riportato già nell’avviso di accertamento.

1.2. – (ricorso n. 3890 RGR). Mediante il suo secondo motivo di gravame, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, l’Ente impositore censura poi la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, perchè “la c.t.r. non dice da quali prove deduce il fatto che, sia la percentuale di sfrido del 30%, sia il costo del servizio non sempre applicato ai tavoli, avrebbero dovuto essere considerati dall’ufficio accertatore” (ricorso, p. 3)

1.3. – (ricorso n. 3890 RGR). Con il suo terzo mezzo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’Agenzia delle Entrate critica il vizio di “omessa e/o insufficiente motivazione su fatto controverso” per non avere la CTR provveduto al ricalcolo di quale fosse l’esatto valore dell’imponibile della società sottoposta ad accertamento.

1.4. – (ricorso n. 3890 RGR). Mediante il quarto motivo di gravame, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, per avere la CTR pronunciato una sentenza nulla perchè riportante una motivazione omessa o insufficiente, non avendo provveduto al ricalcolo dell’imponibile della società accertata.

1.5. – (ricorso n. 3888 RGR). L’Amministrazione finanziaria con il suo motivo di impugnazione, proposto nella causa intentata nei confronti della socia B.A. censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’error in procedendo in cui è incorsa la CTR, avendo applicato falsamente il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, ed avendo erroneamente affermato il difetto di specificità dell’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate in grado di appello.

2.1. – 2.2. – 2.3. – 2.4. – I motivi di ricorso introdotti dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della società di persone possono essere trattati congiuntamente, stante la loro connessione. Innanzitutto occorre osservare che coglie nel segno la società sottolineando, nel suo controricorso, l’inammissibilità delle censure proposte dall’Ente impositore con i motivi nn. 1 e 3, nei limiti in cui sono stati introdotti secondo la disciplina della contestazione del vizio di motivazione nel giudizio di cassazione consentita dalla precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tenuto conto che la sentenza della CTR impugnata è stata pubblicata il 1.7.2013. Esigenze di completezza suggeriscono peraltro di evidenziare che i motivi di ricorso presentano anche limiti di specificità ed autosufficienza, contestando l’Ente impositore che “nessuna osservazione viene poi fatta a proposito dell’antieconomicità dell’attività esercitata; l’ufficio nelle controdeduzioni avanti al giudice di primo grado aveva evidenziato…”, senza però aver cura, l’esponente Amministrazione finanziaria, di illustrare come abbia provveduto a coltivare la questione in grado di appello, attraverso quali atti e con quali formule.

Mediante il quarto motivo di impugnazione, poi, l’Agenzia ha censurato la CTR per aver pronunciato una sentenza nulla perchè riportante una motivazione omessa o insufficiente, non avendo provveduto al ricalcolo dell’imponibile della società accertata. Il motivo risulta mal proposto. A quanto sembra l’Amministrazione finanziaria intende contestare il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di ricalcolo dell’imponibile da parte della società, perchè è in relazione ad una domanda che può riscontrarsi un’omessa pronuncia, ma il ricorrente Ente impositore non ha cura di segnalare quando questa sua domanda sia stata proposta, e con quali formule, e come sia stata diligentemente coltivata, in modo da consentire a questa Corte di svolgere le verifiche che le competono, in materia di tempestività e congruità di proposizione delle domande introdotte della parti nel giudizio, prima ancora di procedere a valutarne la decisività. Anche il quarto motivo di impugnazione risulta pertanto inammissibile.

Con il secondo motivo di gravame l’Agenzia delle Entrate lamenta poi la “violazione da parte dei giudici di secondo grado del canone secondo il quale il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, non semplici affermazioni di circostanze a sè favorevoli. Come si è visto la CTR non dice da quali prove deduce il fatto che, sia la percentuale di sfrido del 30%, sia il costo del servizio non sempre applicato ai tavoli, avrebbero dovuto essere considerati dall’ufficio accertatore” (ric., p. 3). Invero, l’Agenzia delle Entrate ha proposto a fondamento del suo accertamento un certo numero di elementi idonei ad integrare delle presunzioni, già emergenti dal processo verbale di costatazione. Non ha però tenuto conto delle difese, in gran parte già illustrate in sede predibattimentale, proposte dalla società contribuente. In sede dibattimentale la contribuente ha riproposto ed ampliato i propri argomenti, mentre l’Agenzia ha insistito nel riproporre i propri, sempre senza adeguatamente replicare alle difese di controparte. I giudici del merito hanno creduto di dover valorizzare le difese proposte dalla Sas Ristorante Dora, ritenendole fondare anch’esse elementi presuntivi, ed idonei a contrastare efficacemente quelli proposti dall’Agenzia. Quest’ultima, anche nel giudizio di cassazione, insiste nell’affermare che la Ctr non dice da quali prove deduce il fatto che la percentuale di sfrido applicabile sia quella del 30%, anzichè del 10%, ma trascura di indicare in base a quali elementi continui a ritenere attendibile, ed anzi provata, la ricorrenza di un sfrido medio del 10%. In proposito la contribuente ha affermato nel suo controricorso che “la prova della applicabilità della percentuale di invenduto del 30% anzichè del 10% proviene dalla parte contribuente e si fonda non su una “asserzione” ma su un documento pubblicato dalla stessa Agenzia delle Entrate… linee guida… espressamente valutata nelle “Metodologie di controllo”. La tabella relativa (prova documentale) risulta allegata già alla produzione dell’istanza di adesione… nel verbale del 29.4.2012″ (controric., p. 10), ed a queste chiare affermazioni della contribuente l’Agenzia delle Entrate non ha in alcun modo replicato. Altrettanto deve dirsi a proposito dell’applicazione del costo del servizio ai tavoli, che la contribuente afferma non essere stato sempre applicato, non risulta conteggiato in parte della documentazione contabile, e l’Amministrazione finanziaria non chiarisce come abbia provato che sia stato, invece, sempre pagato.

In definitiva la CTR, esaminato l’avviso di accertamento, che non riportava la replica alle difese proposte dalla società, ed analizzati gli elementi addotti da quest’ultima, ha ritenuto che la contribuente avesse fornito “un dettagliato resoconto, basato oltre che su rilievi contabili regolarmente sviluppati, anche su argomentazioni logiche” (sent. CTR, p. 3), riferite allo specifico settore della ristorazione. “Sul punto l’appellante, in primo grado, non ha opposto argomentazioni altrettanto valide in punto di logica, ma ha continuato a ritenere il suo operato legittimo” sebbene, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riferimento all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), i valori percentuali medi del settore… laddove non confortati da altre risultanze, si rivelano assolutamente inidonei ad integrare i presupposti” (ibidem) di legge. La CTR, in definitiva, ha escluso che l’Ente impositore avesse fondato il suo accertamento su presunzioni gravi, precise e concordanti, perchè le stesse non emergevano affatto dalla carente motivazione dell’originario avviso di accertamento, ed ha invece ritenuto che le argomentazioni proposte dalla contribuente fossero idonee a dimostrare l’attendibilità della contabilità da questa redatta. Non ha ricostruito nuovamente il reddito imponibile della Sas Ristorante Dora, semplicemente perchè ha ritenuto condivisibili le dichiarazioni resentate dalla contribuente. L’Amministrazione finanziaria non sottopone a critica specifica le ragioni della decisione adottata dalla impugnata CTR, insiste nel riproporre i propri argomenti e domanda di ritenere dovute da parte del giudice condotte invece non necessarie. Il secondo motivo di ricorso presenta limiti di specificità e risulta pure infondato, deve pertanto essere respinto. In conseguenza della definitività dell’annullamento dell’accertamento tributario nei confronti della società di persone, viene meno il presupposto dell’accertamento tributario relativo al reddito conseguenziale di partecipazione che avrebbero percepito i soci. Ne discende che il ricorso riunito n. 3888/14 R.G.R., proposto dall’Agenzia nei confronti della socia B.A. diviene inammissibile, e non vi sono pertanto le condizioni per pronunciare nel merito.

In definitiva, il ricorso introdotto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del Ristorante Dora Sas e dei suoi soci (n. 3890/2014 R.G.R.) deve essere pertanto rigettato, ed il ricorso riunito proposto dall’Ente impositore nei confronti della socia B.A. deve essere dichiarato inammissibile, a seguito della cessazione della materia del contendere, per l’effetto riflesso della sopravvenuta pronuncia favorevole alla società.

Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta l’impugnativa proposta dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del Ristorante DORA di R.R. & C. Sas (già Ristorante Dora di B.A. & C. Sas), in persona del legale rappresentante pro tempore, e dei soci R.G., R.R. e B.A., e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese generali nella misura del 15 per cento ed esborsi liquidati in Euro 200,00, (Ndr: Testo originale non comprensibile).

Dichiara inammissibile l’impugnativa proposta dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di B.A. (ric. 3888/14 R.G.R.), e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese generali nella misura del 15 per cento ed esborsi liquidati in Euro 200,00) (Ndr: Testo originale non comprensibile).

Così deciso in Roma, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

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