Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26208 del 19/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 19/12/2016, (ud. 10/05/2016, dep.19/12/2016),  n. 26208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBNARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3970-2015 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.A., D.M.C., A.P., elettivamente

domiciliati in Roma Piazza Cavour presso la Corte di Cassazione,

rappresentati e difesi dall’Avvocato ALFONSO VISCARDI, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 51963/2013

R.GAT.G., depositato il 27/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. Relatore MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato Alfonso Viscardi difensore del controricorrente.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 27.06.2014 la Corte d’appello di Roma ha accolto la domanda proposta da D.M.C., A. e A.P. intesa ad ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole di un giudizio introdotto dinanzi al Tribunale di Roma, dichiaratosi incompetente, e poi avanti al Tribunale di Napoli, di cui era stato parte il loro dante causa, A.R., durato complessivamente diciotto anni e undici mesi (dal 12.06.1990 al 30.3.2001, in primo grado, dal 19.1.2002 al 20.10.2009, in appello, e dal 21.1.2011 al deposito della domanda di equa riparazione 6.6.2011), commisurato l’indennizzo in Euro 12.250,00 in favore di ciascuno dei ricorrenti.

Per la cassazione di tale decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo di ricorso, l’Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4 per avere la corte di merito superato l’eccezione di decadenza dall’azione sollevata dal Ministero facendo erronea applicazione dei principi di diritto. In particolare, essendo stato il giudizio presupposto definito avanti al Tribunale di Roma, dichiaratosi incompetente, con sentenza del 19.01.1994, essendo divenuta la pronuncia definitiva, detto periodo avrebbe dovuto essere espunto dalla durata complessiva.

La censura non può trovare accoglimento.

In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, nella determinazione del superamento della ragionevole durata del processo, che discende dall’eccedenza, oltre il termine ragionevole, del tempo intercorso dall’inizio della causa fino al momento della sua conclusione in esito all’ultimo grado od all’ultima fase, ovvero, in ipotesi di pendenza, fino al momento in cui l’interessato assuma l’iniziativa di reclamare detta riparazione, denunciando la situazione in atto (quest’ultima ipotesi prevista nel testo normativo anteriore al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134), al giudice del merito none consentito di scindere l’unica domanda proposta, con riferimento all’intero giudizio, atteso che il diritto all’equa riparazione e la domanda diretta a farlo valere hanno carattere unitario e non sono suscettibili di essere frazionati o segmentati con riferimento ai singoli momenti della vicenda processuale (Cass. n. 12541 del 2003; conforme, Cass. n. 15974 del 2013 e Cass. n. 12541 del 2005).

Infatti costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello per cui in tema di equa riparazione, pur essendo astrattamente possibile individuare gli standard di durata ragionevole per ogni fase e grado del processo, vale, comunque, il principio della unitarietà del procedimento. Ne consegue che, ai fini della determinazione dell’indennizzo spettante a chi abbia sofferto l’irragionevole durata di un processo, il termine decorre dalla introduzione del giudizio presupposto fino alla proposizione della domanda di equa riparazione, non potendo esperirsi il rimedio predisposto dalla L. n. 89 del 2001 limitatamente ad una singola fase processuale che si sia protratta oltre lo standard di durata ritenuto ragionevole (Cass. n. 15974 del 2013; Cass. n. 23506 del 2008). In altri termini, la valutazione della durata complessiva del giudizio presupposto, come svoltosi nelle sue varie articolazioni, e la liquidazione dell’indennizzo in base alla differenza fra il tempo trascorso e il tempo, inferiore, ragionevole per compiere le medesime attività processuali, deve avvenire operando una giusta proporzione tra quest’ultimo e lo standard temporale di definizione dell’intero giudizio (Cass. n. 13712 del 2014).

Ciò significa che, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione, anche la fase del giudizio presupposto introdotto dinanzi a giudice incompetente, allorchè prosegua avanti al giudice dichiarato competente, a seguito di tempestiva riassunzione, deve essere valutata ai fini della determinazione della pretesa indennitaria (Cass. n. 4887 del 2015), costituendo segmento di un unico procedimento.

Con il secondo mezzo, articolato in via alternativa, l’Amministrazione denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 per non avere la corte territoriale considerato come fase autonoma del procedimento presupposto il giudizio svoltosi avanti al giudice dichiaratosi incompetente, per cui si sarebbe svolto in quattro fasi, anzichè in tre, nonchè per non avere scomputato il periodo di stasi processuale intercorso fra il deposito della sentenza declaratoria della competenza e la data di notificazione dell’atto di riassunzione.

La censura è fondata.

Va qui ribadito quanto sopra detto, che nei procedimenti che si introducono con citazione occorre avere riguardo alla data della notificazione della citazione, nei procedimenti promossi con ricorso occorre, invece, avere riguardo alla data di deposito del ricorso nella cancelleria del giudice (Cass. n. 7433 del 2002; Cass. n. 404 del 2000; Cass. n. 4236 del 1996; Cass. n. 2081 del 1988), che realizza la editio actionis, in quanto è in questo momento che si instaura un rapporto tra due dei tre soggetti tra i quali si svolge il giudizio (Cass. Sez. Un., n. 5597 del 1992; cfr. anche Cass. n. 7901 del 2003; Cass. n. 4543 del 2006).

La proposizione della domanda giudiziale, ancorchè davanti a giudice incompetente, purchè la riassunzione della causa innanzi al giudice dichiarato competente avvenga in presenza dei presupposti e nell’osservanza delle condizioni che permettono di ritenere che il processo sia continuato, ai sensi dell’art. 50 c.p.c., davanti al nuovo giudice, mantiene una struttura unitaria (Cass. n. 19856 del 2015 non massimata).

Per completezza argomentativa si osserva che questa Corte ha già avuto occasione di stabilire che “in tema di criteri di accertamento della violazione del termine ragionevole del processo, di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2, non può essere di per sè imputato al comportamento della parte che richieda l’equa riparazione ed espunto dal computo della durata complessiva del procedimento di cui si adduca l’irragionevole durata, l’intero periodo occorso per pervenire alla declaratoria d’incompetenza del giudice dalla medesima parte inizialmente adito. La erronea proposizione di una domanda davanti a giudice incompetente (nella specie per territorio) non esonera, infatti, dal dovere di verificare se nel periodo occorso per pervenire alla declaratoria d’incompetenza fossero ravvisabili elementi riconducibili a disfunzioni o ad inefficiente dell’apparato giudiziario, ovvero al comportamento della medesima parte che quel giudice aveva erroneamente adito” (Cass. n. 1334 del 2005); così come “non può essere di per sè imputato) al comportamento della parte che richieda l’equa riparazione, ed espunto dal computo della durata complessiva del procedimento di cui si adduca l’irragionevole durata, l’intero periodo occorso per la rimessione della causa al giudice competente per il rito ordinario, ex art. 427 c.p.c., dopo che la causa sia stata promossa con rito speciale” (Cass. n. 24203 del 2006).

Dunque, il giudice dell’equa riparazione, in presenza di un giudizio presupposto che abbia visto una fase conclusasi con pronuncia dichiarativa di incompenteza non può limitarsi a ritenere ragionevole per ogni singola fase la durata che corrisponde al grado (tre anni per il primo), avendo invece l’onere di determinare quale avrebbe dovuto essere la durata ragionevole per il giudizio presupposto sulla base della sua complessità, da detrarre poi dalla durata complessiva avuta dal giudizio sino alla sua conclusione o, almeno nel regime anteriore alle modificazioni introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile nel caso di specie, alla data di proposizione della domanda di equa riparazione; restando però escluso che possa verificarsi l’effetto conservativo nel caso di estinzione dell’originario procedimento e di instaurazione di un nuovo procedimento (al riguardo cfr. Cass. n. 6717 del 1991). Nella specie, la Corte d’appello nel computare la durata complessiva del giudizio presupposto ha omesso di valutare quanto alla complessità del procedimento la fase introdotta avanti al Tribunale di Roma, non argomentando in alcun modo la ragione di detta esclusione (esistenza o meno dei requisiti stabiliti dall’art. 125 disp. att. c.p.c.).

In altri termini, nel ricorso definito dal decreto pur essendovi il richiamo dell’atto introduttivo del procedimento promosso davanti al Tribunale di Roma, non risulta argomentato il motivo per il quale detto periodo sia stato per intero ricompreso nel computo del ritardo, nè la ragione per la quale dal termine per la riassunzione non sia stato espunto tutto il tempo non strettamente necessario alla attivazione avanti al giudice dichiarato competente del procedimento iniziale (solitamente il periodo ultroneo rispetto ai trenta giorni).Con il terzo mezzo l’Amministrazione lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 per improcedibilità del ricorso per assoluta genericità dei fatti esposti nell’atto introduttivo dell’istanza di equa riparazione, eccezione ritualmente sollevata nella comparsa di costituzione.

La infondatezza della censura emerge dal tenore del provvedimento impugnato e dalle stesse difese svolte dalla difesa erariale, oltre che dall’esame del ricorso introduttivo della domanda di equa riparazione, consentito in questa sede in considerazione della natura della doglianza.

Del resto, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., la nullità della citazione, per quanto interessa la presente controversia è comminata quando è omesso o risulta assolutamente incerto l’oggetto della domanda, cioè il petitum, e quando manca l’esposizione dei fatti.

Nella specie, il petitum era ben certo; e, quanto all’esposizione dei fatti, non essendo prevista dall’art. 164 c.p.c., a motivo di nullità, la mancata esposizione delle ragioni di diritto (v. sent. 11157 del 1996), va rilevato che nel giudizio di equa riparazione, ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 5, – di richiedere alla corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della addotta violazione della ragionevole durata del processo, spettando, difatti, alla parte solo un onere di allegazione e di dimostrazione, che però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, mentre (in coerenza con il modello procedimentale, di cui agli artt. 737 c.p.c. e ss., prescelto dal legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n. 89 del 2001 sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con l’esercizio di tale potere” (Cass. n. 16367 del 2011).

A fronte di una domanda così concepita è compito del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa.

In conclusione, rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso, va accolto il secondo ed il decreto impugnato cassato in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinchè computi la durata complessiva del giudizio presupposto alla luce dei principi sopra illustrati. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte, rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso, accoglie il secondo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2016

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