Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26208 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 18/10/2018), n.26208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26630-2011 proposto da:

CMG SRL IN LIQUIDAZIONE, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato CLAUDIO D’ALESSANDRO (avviso postale ex art. 135);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 92/2011 della COMM.TRIB.REG. di TORINO,

depositata il 30/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/07/2018 dal Consigliere Dott. LOMBARDO LUIGI GIOVANNI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La società C.M.G s.r.l. impugnò gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti dalla Agenzia delle Entrate per il recupero di maggiori imponibili IRES, IRAP e IVA relativamente agli anni di imposta 2004, 2005 e 2006;

2. – L’adita C.T.P. di Torino rigettò il ricorso con sentenza che fu confermata dalla C.T.R. per il Piemonte;

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso la società C.M.G s.r.l. sulla base di tre motivi;

L’Agenzia delle Entrate ha presentato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa della L. n. 212 del 2000, art. 12 e L. n. 4 del 1929, art. 24,per non avere la C.T.R. dichiarato la nullità degli avvisi di accertamento impugnati, nonostante che non fosse stato osservato il termine dilatorio di giorni sessanta che, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, deve precedere l’emanazione dell’avviso di accertamento;

La censura non è fondata;

Come hanno statuito le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. Un., n. 24823 del 09/12/2015; conf., Sez. 6 – 5, n. 11560 del 11/05/2018);

Nella specie, la ricorrente non ha assolto all’onere di specificità del motivo che esisteva a suo carico ai sensi dell’art. 366 c.p.c. n. 4, non avendo illustrato, in termini sufficientemente puntuali, le ragioni che in concreto avrebbe voluto – e non ha potuto – far valere in sede di contraddittorio endoprocedimentale. Il motivo risulta perciò inammissibile;

2. – Col secondo motivo, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la C.T.R. omesso di motivare in ordine alla fondatezza dell’accertamento compiuto dalla Agenzia delle Entrate in rapporto alle censure contenute nell’atto di appello;

Il motivo non può essere accolto per difetto di specificità, in quanto non precisa in modo adeguato il contenuto delle censure mosse con l’atto di appello relativamente alle quali la C.T.R. avrebbe omesso di motivare;

3. – Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e D.P.R. n. 600 del 1933, art. 39, per avere la C.T.R. ritenuto che le presunzioni formulate dalla Agenzia delle Entrate fossero dotate dei necessari caratteri di “gravità”, “precisione” e “concordanza”, senza tener conto delle contestazioni mosse con l’atto di appello;

Anche questa censura è inammissibile per difetto di specificità, risultando assolutamente generica per il fatto di non precisare con riferimento a quali critiche mosse con l’atto di appello si sarebbe consumato il denunciato vizio di legittimità;

4. – In definitiva, il ricorso deve essere rigettato;

Il fatto che la giurisprudenza richiamata ai fini dello scrutinio del primo motivo si sia consolidata in epoca successiva alla proposizione del ricorso originario da parte della società contribuente giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione

rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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