Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26207 del 19/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 19/12/2016, (ud. 10/05/2016, dep.19/12/2016),  n. 26207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBNARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2374-2015 proposto da:

D.S.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VALADIER 43, presso lo studio dell’avvocato EGIDIO LIZZA,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANLEONARDO CARUSO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via dei PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope-legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 57723/10 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Relatore Consigliere Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato Egidio Lizza insiste accoglimento ricorso e deposita

delega dell’Avv. Caruso Gianleonardo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in riassunzione depositato il 4 agosto 2010 presso la Corte di appello di Roma D.S.M.L. proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione del processo introdotto dinnanzi al T.A.R. Campania per ottenere l’annullamento del decreto prefettizio di revoca del porto d’arma, con ricorso depositato in data 29.10.2002, definito in primo grado con sentenza pubblicata il 23 febbraio 2009.

La Corte di appello capitolina, con decreto in data 28 maggio 2014, accoglieva il ricorso per essersi svolto il giudizio presupposto, da computarsi fino alla data del 25.6.2008, per non essere stata presentata alcuna istanza di prelievo, in un arco temporale complessivo di cinque anni e otto mesi, per cui scomputato il periodo ragionevole di tre anni, la durata eccedente era di due anni ed otto mesi e liquidava per detto periodo la somma di Euro 1.250,00, utilizzando il criterio di Euro 500,00 per anno, in considerazione della mancata attivazione della parte.

Avverso tale decisione la D.S. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi, cui ha resistito il Ministero dell’economia e delle finanze con controricorso.

Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato copia del ricorso per revocazione del decreto impugnato proposto avanti la medesima corte territoriale, unitamente alla sentenza pronunciata su detto ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente osservato che non sussiste alcun profilo di inammissibilità del ricorso per essere stati articolati avverso il medesimo provvedimento due diversi mezzi di impugnazione: i due rimedi, quello del ricorso per cassazione e quello della revocazione, essendo entrambi a critica vincolata ma per motivi evidentemente diversi e per di più tra loro incompatibili (tanto che il primo è, per giurisprudenza consolidata, inammissibile quando viene dedotto un vizio da ricondursi al secondo), danno luogo a due impugnazioni tra loro concorrenti e potenzialmente del tutto tra loro autonome. La prima di esse è subordinata, da un punto di vista logico (come reso manifesto anche dall’attuale disciplina della sospensione del termine o del giudizio di cassazione, di cui all’art. 398 c.p.c., anche dopo la novella del 1990) e per concorde opinione degli interpreti, alla seconda. Infatti, la revocazione mina alla base l’intrinseca correttezza della decisione, puntando a dimostrare la fallacia dei presupposti di fatto esaminati e quindi l’insopprimibile ingiustizia dell’impianto motivazionale volto a sorreggerla (Cass. 4 giugno 1998 n. 5480; Cass. 2 febbraio 2004 n. 1814; Cass. 20 marzo 2009 n. 6878; Cass. 17 marzo 2010 n. 6456).Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, della CEDU, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 3, commi 4 e 5 degli artt. 2697 e 2719 c.c., degli artt. 115, 116, 168 e 738 c.p.c., dell’art. 74 disp. att. c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte di appello errato nello statuire che il giudizio presupposto era iniziato nel 2002 e non già dal 1992, ricorso depositato il 29.10.1992, pur risultando detta data dagli atti depositati a corredo dell’istanza di equa riparazione.

Il motivo di ricorso è fondato, atteso che dall’esame degli atti, consentito in considerazione della natura della censura, emerge che già nell’atto introduttivo della domanda di equa riparazione la D.S. ha esposto che il procedimento avanti al TAR Campania era stato dalla stessa introdotto con ricorso depositato in data 29.10.1992 e non nell’anno 2002, circostanza peraltro documentata dall’incarto del giudizio presupposto.

Con il secondo il ricorrente nel dedurre la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, della CFDU, della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3 del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 conv. con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008, degli artt. 2697 e 2719 c.c., degli artt. 115, 116, 168 e 738 c.p.c., dell’art. 74 disp. att. c.p.c., oltre a vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale abbia ritenuto da lei non depositata l’istanza di prelievo, nonostante avesse allegato al ricorso copia della stessa recante in calce il timbro di deposito dell’ufficio del TAR del 30.09.2008.

Anche il secondo motivo è fondato.

La Corte d’appello ha errato nel ritenere che la ricorrente non avesse depositato istanza di prelievo nel giudizio presupposto, giacchè dall’esame degli atti del procedimento presupposto risulta acquisita documentazione estratta dal registro) informatico del TAR Campania, dalla quale emerge il deposito di istanza di prelievo in data 30 settembre 2008.

Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, della CEDU, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 1226 e 2056 c.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte di appello determinato il danno risarcibile sulla base di un criterio erroneo, quale la inattività della parte, come sarebbe emersa dalla mancata presentazione dell’istanza di prelievo.

L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, comportando un nuova determinazione dell’indennizzo liquidato, comporta l’assorbimento del terzo motivo.

In conclusione, il ricorso va accolto ed il decreto impugnato cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Roma perchè, in diversa composizione, proceda a nuova determinazione dell’indennizzo dovuto nonchè alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso;

cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2016

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