Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26206 del 03/11/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 26206 Anno 2017
Presidente: MATERA LINA
Relatore: D’ASCOLA PASQUALE

SENTENZA
sul ricorso 25666-2012 proposto da:
FINANZIARIA ROSETO SRL 00607710670,

elettivamente

domiciliato in ROMA, PZZA SANTIAGO DEL CILE 8, presso
lo studio dell’avvocato MARCO BATTAGLIA, rappresentato
e difeso dall’avvocato LUCA DI EUGENIO;
– ricorrente 2017
25

contro
TOSTI FRANCESCO GIULIO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CASSIODORO 9, presso lo studio dell’avvocato
MARIO NUZZO, rappresentato e difeso dagli avvocati
FORTUNATO NICOLA MATTUCCI, PIERLUIGI MATTUCCI;
– controricorrente –

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Data pubblicazione: 03/11/2017

avverso la sentenza n. 921/2011 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 22/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/01/2017 dal Consigliere Dott. PASQUALE
D’ASCOLA;

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato NUZZO Mario, con delega depositata in
udienza degli Avvocati MATTEUCCI Pierluigi e MATTEUCCI
Fortunato N. difensori del resistente, che ha
depositato nota spese e si è riportato al
controricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CORRADO MISTRI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato DI EUGENIO Luca, difensore del

Fatti di causa
1)

Il tribunale di Teramo nel 2004 ha accolto la domanda proposta il 27

novembre 2001 da Francesco Giulio Tosti contro la Finanziaria Roseto s.r.l. e,
per l’effetto, ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di

condannando la convenuta al risarcimento dei danni, quantificati in misura pari
alla restituzione di quanto versatole (caparra versata ed acconto sul prezzo).
La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 921/2011 del 22.9.2011,
corretta con ordinanza 22 giugno 2012, in accoglimento dell’appello
dell’acquirente Tosti, ha dichiarato la legittimità del recesso e ha condannato la
società convenuta a corrispondere all’attore appellante il doppio della caparra
versata. Ha rigettato l’appello incidentale volto alla risoluzione per colpa
dell’acquirente.
Per la cassazione della sentenza la Finanziaria Roseto s.r.l. ha proposto ricorso
sulla base di due motivi.
Tosti Francesco Giulio ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
2)

La Corte di appello ha ritenuto che oggetto del contratto di

compravendita fosse un appartamento che avrebbe dovuto essere munito di
certificato di abitabilità, certificato che era impossibile ottenere in quanto
l’unità immobiliare – ricavata nel sottotetto – era parte di un fabbricato
costruito in difformità dalla concessione edilizia ed oggetto di ordine di
demolizione da parte del Comune.

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compravendita di un’unità immobiliare stipulato il 27 gennaio 2001,

La sentenza impugnata ha ravvisato una fattispecie di vendita di aliud pro alio
e un grave inadempimento che legittimava il recesso.
3)

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia vizi di motivazione.

Afferma che la Corte di appello non avrebbe spiegato perché oggetto del

relativo era stata inserita la frase «inserire la descrizione». Aggiunge che
oggetto del contratto non era un appartamento, ma un piano sottotetto e che il
promissario acquirente aveva piena consapevolezza della consistenza del bene
promesso e della sua destinazione a sottotetto, «come tale di per sé non
abitabile».
La censura è manifestamente infondata.
La sentenza, pur contenendo la prova di una dimenticanza dell’estensore nel
descrivere l’immobile, come si era ripromesso di fare a pag. 4 con la frase
sopravirgolettata, è chiara nel considerare la descrizione dell’immobile che la
stessa sentenza aveva reso all’esordio della parte narrativa.
Ivi si legge che in citazione era stato riportato che oggetto del preliminare di
compravendita era un piano sottotetto costituito da due camere, un soggiorno,
n. 2 bagni, balcone lato mare e balcone con affaccio su via Colombo al prezzo
di lire 242 milioni oltre Iva.
Dunque la valutazione circa la natura del bene oggetto di contratto – quale
appartamento abitabile e non quale struttura materiale sita al piano sottotetto
– si reggeva in modo eloquente sulla descrizione comunque presente in
sentenza.

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preliminare fosse un appartamento, in quanto in motivazione nel punto a ciò

La tesi secondo cui oggetto della pattuizione fosse il piano sottotetto, senza
alcuna promessa di fruizione quale alloggio, è una apodittica affermazione che
la Corte di appello non ha preso in soverchia considerazione, perché smentita
dalla dettagliata descrizione che il contratto (riportato in ricorso dalla parte

Trattasi di descrizione chiaramente coerente solo con la destinazione abitativa
delle stanze (addirittura una indicata come soggiorno-pranzo), destinazione
che è stata considerata decisiva dalla Corte di appello.
Si rileva inoltre che la motivazione è stata anche fornita con il rilievo dato al
provvedimento sindacale di demolizione, inflitto per costruzione in difformità
alla concessione: questa circostanza attesta che la unità immobiliare promessa
in vendita non era stata edificata con le caratteristiche proprie di un sottotetto
non abitabile, come vorrebbe il ricorso, ma come un vero e proprio
appartamento, al punto da provocare l’intervento repressivo dell’ente locale
Né il ricorso, che neppure prospetta eventuali errori ex art. 1362 e seguenti
c.c. nell’interpretazione del contratto, è stato” -grado di indicare alcuna
risultanza dalla quale desumere che parte promissaria avesse conosciuto e
accettato la insanabile condizione irregolare del bene.
4) Il secondo motivo lamenta vizi di motivazione nonchè violazione e falsa
applicazione degli artt. 1324, 1392, 1373 e 1385 c.c..
Con esso la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ravvisato nella
comunicazione di controparte una manifestazione della volontà di recedere dal
contratto preliminare. Afferma che per contro la lettera raccomandata del
10.5.2001 non recava alcuna dichiarazione di xecesso, bensì una diffida ad

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promittente venditrice) conteneva.

adempiere (al rilascio del certificato di abitabilità) seguita dalla richiesta di
risoluzione del contratto e di risarcimento dei danni.
Rileva inoltre che la diffida era da considerare priva di “efficacia”, in quanto
proveniente da avvocato privo di procura speciale rilasciata per iscritto.

Quanto al primo profilo, relativo all’individuazione della volontà di recesso nella
lettera inviata prima di instaurare il giudizio, va osservato che la Corte di
appello nel valorizzare la legittimità della scelta di domandare il recesso non si
è soffermata sul contenuto della lettera, ma ha fatto riferimento alla
«…relativa domanda, tenuto conto che non vi era alcun dubbio circa l’opzione
esercitata dalla parte attrice (Cass….) la quale in tal modo ha contenuto la
richiesta risarcitoria nei limiti della caparra convenuta e raddoppiata».
Essa ha quindi considerato la scelta di domandare in giudizio il recesso, scelta
che è legittima anche quando in precedenza sia stata prospettata

stragiudizialmente la volontà di risolvere il contratto.
Cass n. 16221 del 18/11/2002 (Rv. 558568) insegna infatti che la parte
adempiente di un contratto preliminare di compravendita, che abbia ricevuto
una caparra confirmatoria e si sia avvalsa della facoltà di provocare la
risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere (art. 1454, cod. civ.),
può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso (art. 1385, secondo
comma, cod. civ.) e, in quest’ultimo caso, ha diritto di ritenere definitivamente
la caparra confirmatoria, non anche il diritto di ottenere il risarcimento del
danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso (conf. Cass.
387/05).

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Anche questo motivo è infondato.

Ovviamente nel caso, come quello in esame, in cui sia inadempiente la parte
che ha ricevuto la caparra, è l’altra che può esercitare il recesso per ricevere la
restituzione e il pagamento del doppio della caparra
5) Il secondo profilo del motivo (relativo alla eccezione di nullità dell’atto

superato.
Mette conto tuttavia riferire che di esso parte resistente aveva rilevato
l’inammissibilità per tardivo rilievo della questione e l’infondatezza di essa per
intervenuta ratifica dell’atto di recesso.
Quest’ultima controeccezione di parte resistente coglie nel segno, perché con
l’atto di citazione sottoscritto dalla parte nel rilasciare il mandato al proprio
difensore, l’operato precedente di quest’ultimo è stato ratificato, come la
giurisprudenza delle sezioni semplici ha da tempo affermato (Cass. n. 21229
del 14/10/2010; Cass. n. 16221/2002 – Rv. 558567; 1609/94), senza trovare
smentita dalle Sezioni Unite, che in sentenza n. 14292 del 2010 (cfr in
motivazione, passaggi finali) non hanno avuto modo di occuparsene.
6)

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla

refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della
controversia e alla nota spese che indica in euro 6,45 (sei,45) le spese vive di
cui viene chiesto e accordato il ristoro.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.

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stragiudiziale di recesso per mancanza di forma scritta) risulta a questo punto

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro
5.000 per compenso e spese vive, oltre accessori di legge, rimborso delle
spese generali (15%).
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della 2^ sezione civile tenuta
2017

1’11 gennaio

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