Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26204 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 18/10/2018), n.26204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIOETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al r.g.n.20482/2012 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Tibullo n. 10

presso lo studio dell’Avv. Marco Saponara che lo rappresenta e

difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso

gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n.6/13/2012 della Commissione

tributaria regionale della Lombardia, depositata il 3 febbraio 2012;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 luglio 2018 dal relatore Cons. Relatore Roberta Crucitti.

Fatto

RILEVATO

che:

nella controversia originata dall’impugnazione da parte di C.M., dottore commercialista, di avviso di accertamento relativo ad Irap dell’anno 2003, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la decisione di primo grado anch’essa sfavorevole;

in particolare, il Giudice di appello riteneva che i dati emergenti dallo studio di settore relativi all’entità dei beni strumentali, delle spese per lavoro dipendente e per compensi a terzi, deponevano per la sussistenza di una autonoma organizzazione con conseguente debenza dell’Irap;

avverso la sentenza C.M. ricorre, su quattro motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, comma 2, e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’omessa pronuncia sulla dedotta nullità e/o annullabilità dell’avviso di accertamento impugnato per nullità della notificazione e per decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertamento;

1.1. il motivo è inammissibile alla luce del principio costantemente affermato da questa Corte (tra le altre, di recente, ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; id n.29191 del 06/12/2017) secondo cui ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia;

1.2.nel caso in esame appare evidente che il Giudice di appello ha pronunciato sulle eccezioni relative alla dedotta nullità della notificazione ed alla decadenza dal potere accertativo, rigettandoli implicitamente, laddove ha esaminato compiutamente il merito della pretesa tributaria;

2.con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2,3 e 8 laddove la C.T.R. aveva ritenuto assoggettabili ad Irap i compensi ricevuti dal contribuente per la sua attività di componente di collegi sindacali di società e con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata di omessa motivazione sulle stesse circostanze, di cui al secondo motivo, ritenute fatti decisivi;

3.con il quarto motivo si denuncia, invece, la sentenza impugnata di insufficiente motivazione laddove la C.T.R., nell’affermare la sussistenza di autonoma organizzazione, aveva preso in considerazione acriticamente i dati numerici relativi al valore dei beni strumentali, alle spese per dipendenti e ai compensi a terzi, senza svolgere alcuna analisi della loro rilevanza;

4. Le censure, trattate congiuntamente in quanto vertenti sulla stessa questione, sono fondate;

4.1. Questa Corte ha affermato che l’IRAP coinvolge una capacità produttiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa “esterna”, cioè da “un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto etc..”, cosicchè è “il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista… ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale” (Cass. n. 15754/2008).

Il successivo contrasto giurisprudenziale formatosi sulla res controversa è stato, poi, composto dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali, con la sentenza n. 9451/16, hanno statuito, con riguardo al presupposto dell’IRAP, il seguente principio di diritto: “il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2 -, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”;

inoltre, questa Corte ha reiteratamente precisato che il libero professionista, che opera come amministratore di società o presidente del consiglio di amministrazione, non va soggetto all’IRAP per la parte di ricavo netto che risulta da quelle attività, soltanto se adempie alla funzione senza ricorrere a un’autonoma struttura organizzativa (Cassazione civile sez. trib. n. 4959/2009; id. n.ri 15803/11; 3434/12; 4246/16) e, con riguardo particolare all’attività di sindaco nei collegi societari, che ” in tema d’IRAP, non realizza il presupposto impositivo l’esercizio dell’attività di sindaco e di componente di organi di amministrazione e controllo di enti di categoria, che avvenga in modo individuale e separato rispetto ad ulteriori attività espletate all’interno di un’associazione professionale, senza ricorrere ad un’autonoma organizzazione” (Cass. n. 19327 del 29/09/2016);

4.2. La sentenza impugnata, la quale non ha valutato l’autonomia dell’attività prestata dal contribuente quale componente di collegi sindacali e non ha compiutamente e dettagliatamente esaminato qualitativamente gli elementi di fatto offerti al fine della sussistenza o meno dell’autonoma organizzazione, quale presupposto necessario per l’assoggettabilità ad irap del reddito da lavoro autonomo, si è discostata dai superiori principi;

5.ne consegue, in accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, inammissibile il primo, la cassazione della sentenza, nei limiti dei motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà al riesame, adeguandosi ai superiori principi e fornendo congrua motivazione, ed al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso;

dichiara inammissibile il primo;

cassa la sentenza impugnata, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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