Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26201 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. III, 06/12/2011, (ud. 28/10/2011, dep. 06/12/2011), n.26201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23951-2009 proposto da:

COMUNE SAN PIETRO INFINE (OMISSIS) in persona del Sindaco p.t.

V.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA U. SABA

54 SC C, presso lo studio dell’avvocato PAOLO DELL’ANNO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RECCHIONI STEFANO giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

B.M., D.R.R. (OMISSIS), B.

I.;

– intimati –

nonchè da:

D.R.R. (OMISSIS), B.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 14, presso lo studio

dell’avvocato BARONE CARLO MARIA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BARONE ANSELMO giusta delega in atti;

– ricorrenti incidentali –

contro

COMUNE SAN PIETRO INFINE (OMISSIS) in persona del Sindaco p.t.

F.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA U. SABA

N. 54 SCALA C, presso lo studio dell’avvocato DELL’ANNO PAOLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RECCHIONI STEFANO giusta delega

in atti;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

B.I.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3310/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/09/2008 R.G.N. 7663/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato STEFANO RECCHIONI;

udito l’Avvocato BARONE ANSELMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi e compensazione delle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di San Pietro Infine proponeva appello avverso le sentenze, non definitiva e definitiva, con le quali il tribunale di Cassino aveva accolto parzialmente la domanda proposta da B. G., finalizzata alla condanna del Comune al pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 c.c. per le sue prestazioni di idraulico ed operaio, delle quali il Comune si era avvalso dal 1982 al 1991.

La Corte d’Appello, con sentenza in data 1.9.2008, accoglieva parzialmente l’appello, con la condanna a somma inferiore rispetto a quella liquidata dal primo giudice.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi il Comune di San Pietro Infine.

Resistono, con controricorso, D.R.R. e B.M., quali eredi di B.G., che hanno anche proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Non ha svolto attività difensiva B.V..

Le parti costituite hanno anche presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi – principale ed incidentale – sono riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Essi sono stati proposti per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1.

Secondo l’art. 366 – bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo). La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è (quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare ( da ultimo Cass. 7 aprile 2009, n. 8463; v. anche Sez. Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433). Ricorso principale.

Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia la nullità della sentenza per omissione di pronuncia (error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4), nella parte in cui la sentenza della Corte di appello di Roma ha trascurato il denunciato vizio dell’editio actionis (art. 164, comma i (?) riferimento all’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4) della tardività delle allegazioni assertive relativi ai fatti principali costitutivi del diritto affermato in giudizio e dell’inammissibilità delle prove costituende aventi ad oggetto tali fatti tardivi.

Con il secondo motivo denuncia la nullità del procedimento e della sentenza della Corte di appello di Roma impugnata (error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4), nella parte in cui ha trascurato il denunciato vizio dell’editio actionis (art. 164, comma i (?) riferimento all’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4).

Con il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c. in relazione all’art. 164 c.p.c., comma 5, e art. 183 c.p.c., comma 5 in relazione a nullità derivata ex art. 159 c.p.c..

I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la stretta connessione delle censure con gli stessi proposte, non sono fondati.

Anche a prescindere, infatti, dal difetto di autosufficienza del primo motivo, con il quale si denuncia l’omessa pronuncia su di un’eccezione formulata dalla parte nel giudizio di merito – per l’omessa allegazione dell’avvenuta deduzione della questione davanti al giudice di merito, della riproduzione della sua formulazione e della omessa indicazione dell’atto dello stesso giudizio in cui l’eccezione è stata proposta (da ultimo Cass. ord. 3.7.2009 n. 15628) – la violazione dell’art. 112 c.p.c. non sussiste.

La Corte, infatti, con motivazione adeguata e corretta, ha individuato la natura dell’attività prestata dal B., quale emergeva dal contenuto dell’atto di citazione, convalidata dalle risultanze del complesso probatorio acquisito.

Nè sussiste la violazione lamentata con il secondo motivo, per la supposta tardività della indicazione delle circostanze di fatto sulla cui base era stata formulata la domanda, posto che, come risulta dalla documentazione allegata, le stesse sono state proposte dall’attore all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. (ud. del 29.4.1996), di precisazione, appunto, della domanda. Ad eguale conclusione deve pervenirsi anche in ordine alla presunta inammissibilità, sia della espletata prova per testi, sia dell’interrogatorio formale del Sindaco del Comune ricorrente;

censura questa sollevata con il terzo motivo.

Nessuna contestazione, infatti, appare essere stata avanzata nel giudizio di primo grado, neppure in sede di precisazione delle conclusioni; con la conseguente inammissibilità della loro deduzione in appello e con l’esonero della Corte di merito dall’obbligo di pronunciarsi al riguardo (da ultimo Cass. 27.4.2011 n. 9410).

Con il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, n. 4 per violazione del combinato disposto dell’art. 183 c.p.c., comma 5 e art. 184 c.p.c., comma 1 nella parte in cui, ritenuti (rectius ha ritenuto) ammissibili i capitoli della prova testimoniale articolata dall’attore in primo grado, nonostante i fatti oggetto dell’articolato non fossero allegati alla citazione.

Il motivo è manifestamente infondato.

La nullità del procedimento e della sentenza, conseguenti alla supposta inammissibilità della prova per testi, infatti, non sussistono, per la correttezza e definitività dei provvedimenti ammissivi delle prove nel giudizio di merito, in mancanza di tempestiva contestazione al riguardo, come rilevato con l’esame del terzo motivo.

Con il quinto motivo denuncia l’ingiustizia della sentenza d’appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c..

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, con tale motivo, denuncia “la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., sia perchè ha ritenuto fondato un diritto all’indennizzo per l’asserito arricchimento sine causa dell’ente in palese assenza dei fatti costitutivi di tale domanda, dall’altro perchè, potendo e dovendo l’attore presentare una domanda ex art. 2126 c.c., non v’era e non v’è il primario ed insuperabile presupposto della residuante di codesta actio de in rem verso”.

La censura involge nuovi temi d’indagine e prospetta nuove questioni giuridiche che comportano un accertamento di fatto, ma non hanno formato oggetto dello stesso giudizio di merito; la loro deduzione non è, quindi, consentita in questa sede (Cass. 28.7.2008 n. 20518).

Nè il ricorrente, al fine di superare la declaratoria d’inammissibilità, indica in quali atti del giudizio di merito tali questioni sarebbero state sollevate, non riproducendone in ricorso neppure il contenuto.

Con il sesto motivo denuncia l’ingiustizia della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. in specie con riferimento alla identificazione del quantum dell’indennizzo dell’attore rapportato meccanicamente al preteso risparmio conseguito dall’ente.

Il motivo non è fondato.

Erra il ricorrente principale quando – con riferimento al quantum dell’indennizzo – afferma che la Corte di merito lo avrebbe meccanicamente rapportato al preteso risparmio conseguito dall’Ente.

La Corte di merito sul punto, concludendo il suo esame sulla natura e sulla continuità ed esclusività delle prestazioni svolte dal B. quale ” idraulico del Comune”, nella veste di lavoratore autonomo, ha ritenuto di quantificare l’indennizzo dovutogli ritenendo che “Nel caso in esame, l’arricchimento dell’ente (risparmio di spesa) e il depauperamento dell’attore (mancato guadagno) coincidono”.

Ora, l’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. può essere esercitata anche nei confronti della P.A. che abbia tratto profitto – come nella specie – dall’attività lavorativa di un privato non formalmente legato da un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, ma che tuttavia abbia colmato, con la sua opera, una lacuna organizzativa.

L’indennizzo che da tale azione può derivare deve corrispondere all’effettivo arricchimento, provato o almeno probabile (v. anche S.U. 28.4.2011 n. 9441).

Nella specie, la Corte di merito ha ritenuto di valutare l’effettivo arricchimento come corrispondente al risparmio di spesa in tal modo ottenuto; il che, nel caso in esame, è criterio condivisibile.

Con il settimo motivo denuncia l’illogicità manifesta della sentenza per insufficiente e contraddittoria salutazione dei risultati istruttori delle prove testimoniali assunte in causa (art. 360 c.p.c., n. 5).

Con l’ottavo motivo denuncia l’illogicità e contraddittorietà manifesta della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 5) per malgoverno delle risultanze istruttorie di primo grado e del meccanismo deduttivo delle presunzioni ex art. 2121 ss. c.c.. in ordine all’acritico e generale impiego comunale di terzo livello.

I motivi – che possono essere esaminati congiuntamente per la connessione dei supposti vizi motivazionali denunciati – sono inammissibili.

Difettano, infatti, con il riferimento ad entrambi i motivi, sia il momento di sintesi, sia l’indicazione del fatto controverso (Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420; Sez. Un. 8.5.2008, n. 11210), la sua decisività in relazione al provvedimento adottato, e le ragioni per le quali il supposto vizio di motivazione sia tale da non sorreggere la decisione (da ultimo Cass. 9.5.2011 n. 11019). L’inammissibilità discende ulteriormente dalla stessa prospettazione dei motivi i quali – se esaminati nel loro complesso e nella loro illustrazione – evidenziano, piuttosto che carenze motivazionali, una diversa ed inammissibile ricostruzione delle risultanze probatorie in senso diverso, e più favorevole, rispetto alla sentenza impugnata.

Con il nono motivo denuncia la violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, delle regole in tema di presunzioni ex art. 2121 c.c. ss. in riferimento all’art. 360, n. 3.

Il motivo è inammissibile.

Spetta, infatti, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge.

Un tale apprezzamento di fatto nell’ipotesi in cui – come nella specie – sia adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (v. anche Cass. 2.4.2009 n. 8023).

Peraltro la censura è inammissibile anche sotto altro profilo.

L’attuale ricorrente principale, infatti, pur lamentando la violazione delle regole in tema di presunzioni, omette di indicare quali siano le parti di sentenza oggetto della supposta violazione e le ragioni della erronea applicazione, prospettando, piuttosto, un diverso convincimento rispetto a quello adottato in sentenza dal giudice del merito; il che non è consentito in questa sede.

Ricorso incidentale.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione sollevata dal ricorrente principale in ordine alla supposta inesistenza della notificazione del controricorso con ricorso incidentale, perchè eseguita nel domicilio eletto dal Comune per il giudizio di cassazione (presso l’avv. Paolo Dell’Anno) anzichè – come prescritto dall’art. 330 c.p.c. – alla parte presso il suo procuratore costituito.

Il controricorso (contenente anche ricorso incidentale ai sensi dell’art. 371 c.p.c.), infatti, deve essere, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., notificato “al ricorrente nel domicilio eletto”, come correttamente effettuato nel caso in esame.

Con unico motivo i ricorrenti incidentali denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 211, 218, 219, 324, 329 e 342 c.p.c.; artt. 2041 e 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Il motivo non è fondato.

I ricorrenti incidentali ritengono che la Corte d’Appello abbia violato il giudicato interno accogliendo la censura proposta dal Comune in relazione alla qualificazione del B. come lavoratore autonomo, con la conseguenza che nel calcolo dell’indennizzo dovutogli dal Comune non andavano ricompresi gli oneri previdenziali ed assistenziali.

Il giudicato interno, sostenuto dai ricorrenti incidentali, era dovuto alla mancata impugnazione, da parte del Comune, delle statuizioni del tribunale – contenute nella sentenza parziale n. 544/01 – relative al riconoscimento, nell’indennizzo ex art. 2041 c.c. spettante al B., anche dell’importo del trattamento previdenziale ed assistenziale dovuto ad un dipendente comunale addetto a mansioni identiche a quelle eseguite dall’originario attore.

La censura non può essere condivisa.

Il tribunale – come si ricava dall’esame della sentenza non definitiva, consentito in questa sede per la denuncia di un vizio processuale – non ha per nulla statuito che l’indennizzo dovuto al B. dovesse ricomprendere anche il trattamento previdenziale ed assistenziale, ma, nel disporre la consulenza tecnica d’ufficio, ha dato incarico al consulente di indicare quale fosse il trattamento economico complessivo che il Comune avrebbe dovuto assicurare ad un dipendente addetto a mansioni identiche o simili a quelle svolte dall’attore (pag. 10), rilevando, peraltro, che “…ai fini della quantificazione dell’indennizzo dovuto, va esclusa l’applicazione diretta – quale parametro di valutazione – delle norme legislative o amministrative o dalla contrattazione collettiva che determinano il compenso dovuto ai lavoratori dipendenti addetti a mansioni corrispondenti alle attività svolte dall’attore”; e ciò perchè “tali norme rilevano solo come parametro di valutazione dell’indennizzo, oltre che come limite massimo della liquidazione” (pagg. 9-10). Con la sentenza definitiva, poi, sulla base delle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. lo stesso tribunale ha liquidato l’indennizzo dovuto al B.. Ora, entrambe le sentenze sono state investite dall’appello proposto dal Comune che, in ordine alla non definitiva, aveva formulato regolare riserva di impugnazione, contestando le conclusioni cui era giunto il primo giudice ritenendo di quantificare l’indennizzo dovuto con l’applicazione tout-court delle norme sulla contrattazione collettiva (“con semplice automatismo “pag. 5 atto di appello), che, viceversa, dovevano soltanto rilevare come parametro di valutazione.

Nessun giudicato interno, pertanto, può considerarsi formato sulle statuizioni adottate dal primo giudice con il conseguente, consentito esame da parte della Corte di merito investita sul punto dalle censure proposte con l’appello.

Pertanto, pienamente legittima è la decisione della Corte di merito che ha ritenuto, riesaminando la questione alla luce dell’impugnazione proposta e configurando la l prestazione resa come lavoro autonomo, di escludere l’applicabilità automatica degli aspetti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva del personale comunale, considerati invece, come solo parametro di riferimento. Di qui l’eliminazione, dal calcolo dell’indennizzo, degli oneri previdenziali ed assistenziali.

Conclusivamente, i ricorsi – principale ed incidentale -sono rigettati.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi – principale ed incidentale – e li rigetta. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione, il 28 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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