Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2620 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. II, 04/02/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 04/02/2021), n.2620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4465/2017 proposto da:

C.M.D.S.M., elettivamente domiciliato in

ROMA, LARGO GIUSEPPE TONIOLO 6, presso lo studio dell’avvocato

UMBERTO MORERA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BRUNO MANZONE;

– ricorrente –

contro

CONSOB, elettivamente domiciliato in ROMA, V. MARTINI GIOVANNI

BATTISTA 3, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROCCO VAMPA, PAOLO

PALMISANO;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1124/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

Udito il P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso

Uditi gli avvocati Mauro Longo, per il ricorrente e Paolo Palmisano

per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – Consob, con Delib. 9 aprile 2014, n. 18856, applicava a C.M.d.S.M., quale componente del consiglio di amministrazione della Banca Monte dei Paschi di Siena – BMPS nel periodo dal 1 settembre 2010 al 27 aprile 2012, la sanzione amministrativa di Euro 135.000 per tre distinte violazioni: la prima riferita a irregolarità relative alla disciplina dei conflitti di interessi, nell’ambito del collocamento sul mercato primario dei titoli cassaforte e nella successiva negoziazione degli stessi sul mercato secondario ex art. 21, comma 1-bis, lett. a), del TUF e degli artt. 23 e 25 del regolamento congiunto Banca d’Italia – Consob del 29 ottobre 2007; la seconda riferita alle carenze di carattere procedurale, di presidio e controllo in relazione all’attività di valutazione e di adeguatezza delle operazioni disposte dalla clientela, in tale contesto procedurale reiterate condotte irregolari in materia di profilatura dei prodotti, profilatura della clientela e corretto svolgimento dell’attività ex art. 21, comma 1, lett. d), del TUF e dell’art. 15 del regolamento congiunto Banca d’Italia – Consob del 29 ottobre 2007″ nonchè dell’art. 21, comma 1, lett. a), del TUF, e degli artt. 2940 e 15 del regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, che disciplinano la profilatura del cliente e la valutazione di adeguatezza; la terza riferita ad irregolarità relative alle modalità di pricing dei prodotti di propria emissione, con violazione del combinato disposto dell’art. 21, comma 1, lett. a) e d), del TUF e dell’art. 15, comma 1, del regolamento congiunto Banca d’Italia – Consob del 29 ottobre 2007, che impongono agli intermediari di dotarsi di procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività (periodo 13 gennaio 2011 – 30 ottobre 2012).

2. Avverso tale Delib. C.M.d.S.M. proponeva opposizione davanti alla Corte d’appello di Firenze, deducendo plurimi motivi.

3. Con decreto depositato in cancelleria l’8 luglio 2016 la Corte d’Appello di Firenze rigettava l’opposizione, ponendo a carico dell’opponente le spese processuali.

Per quel che ancora rileva la Corte d’Appello, nel merito della contestazione, rilevava la sussistenza del conflitto di interessi in relazione al collocamento dei titoli “(OMISSIS)” per l’importanza rivestita dall’operazione ai fini del rafforzamento del coefficiente di patrimonializzazione e il perdurare di tale situazione di conflitto anche nel mercato secondario, stante la contrapposizione tra l’impegno incondizionato al riacquisto dei titoli assunti dalla banca nell’interesse della medesima e quello dei sottoscrittori, affinchè non si avvalessero della facoltà di disinvestimento. Tale interesse derivava dal fatto che per ottenere la computabilità ai fini del calcolo del patrimonio di vigilanza delle plusvalenze realizzate dall’operazione di emissione, la banca aveva la necessità di rispettare il limite di detenibilità non superiore al 10% di tali titoli, tanto che, per assicurare il rispetto di questo limite, la banca medesima aveva stipulato, a condizioni particolarmente onerose, un accordo di riacquisto, in caso di superamento della soglia del 9% di detenzione.

Una gestione adeguata di tali situazioni di conflitto, in ottemperanza alle prescrizioni stabilite dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1 bis e degli artt. 23 e 25 del regolamento congiunto Banca d’Italia – Consob, richiedeva l’adozione di misure organizzative idonee a garantire agli operatori lo svolgimento della loro attività in modo indipendente, onde evitare incidenze negative sugli interessi dei clienti e di garantire una chiara informazione agli stessi sulla natura e sulle fonti del conflitto medesimo, onde poter assumere una decisione informata sui servizi prestati.

Inoltre, dagli accertamenti ispettivi erano riemerse condotte volte a disincentivare la rivendita dei titoli che integravano la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, lett. a) e degli artt. 23 e 25 del citato regolamento congiunto, trattandosi di condotte dirette a stimolare e incentivare l’acquisto del prodotto “(OMISSIS)”, scoraggiandone il disinvestimento e privilegiando così l’interesse della banca.

Quanto alla violazione relativa alla profilatura dei prodotti della clientela, richiamato l’art. 21, lettere a) e d), del TUF e l’art. 15 del regolamento congiunto e gli artt. 39 e 40 del regolamento Consob, la Corte d’Appello evidenziava che dalla verifiche ispettive era emerso il ricorso ad interventi di carattere discrezionale nella determinazione del profilo di rischio dei prodotti del gruppo, al fine di favorire la collocazione degli stessi. A partire dall’ottobre 2011 la banca aveva applicato esclusivamente con riferimento ai titoli obbligazionari del gruppo una nuova metodologia con l’introduzione di modifiche rispetto a quanto previsto dalla procedura precedentemente approvata, aventi l’effetto di ridurre il livello di rischio associato ai prodotti della banca, allargando la base della clientela potenzialmente adeguata. In particolare, era risultato che a seguito dell’introduzione di tale prassi i titoli M PS avevano ottenuto la classificazione in classi di rischio inferiore rispetto a quello che avrebbero dovuto avere.

Con riferimento alla violazione della procedura di pricing la Corte d’Appello evidenziava che l’intermediario-emittente non aveva adempiuto agli obblighi di adottare una procedura il più possibile oggettiva, precisa ed esaustiva, caratterizzata dalla massima riduzione possibile dei margini di discrezionalità, in modo da rendere trasparente il rapporto con l’investitore-cliente e da garantire l’affidamento di quest’ultimo.

La Corte d’Appello, per quel che ancora rileva, con riferimento al secondo, terzo e quarto motivo di opposizione, evidenziava che non poteva trovare accoglimento la tesi del ricorrente circa l’interpretazione delle norme interne della banca che prevedono che il consiglio amministrazione abbia solo una funzione di supervisione strategica consistente nell’individuare gli indirizzi della banca e non anche la funzione di gestione dell’attività. Il dettato normativo, ai sensi dell’art. 2380 bis c.c., impone agli amministratori la gestione dell’impresa e il compimento di tutte le operazioni necessarie per l’oggetto sociale. Inoltre, l’art. 8, comma 1, lett. b e d, del regolamento congiunto Consob Banca d’Italia, prevede che il consiglio di amministrazione, quale organo di supervisione strategica e di gestione, approvi i processi relativi alla prestazione dei servizi e verifichi periodicamente l’adeguatezza della struttura organizzativa e l’attribuzione dei compiti delle responsabilità, con cadenza almeno annuale. Del resto, le condotte irregolari accertate dalla Consob erano state possibili solo grazie a carenze procedurali ed organizzative che certamente rientravano nella competenza del consiglio di amministrazione. La Corte d’Appello osservava, infatti, quanto alla prima violazione che la peculiare natura dell’operazione “(OMISSIS)” per la sua importanza strategica avrebbe dovuto imporre l’adozione di presidii procedurali volti a gestire il rilevante conflitto di interessi, in mancanza del quale era possibile prevedere comportamenti distorti della rete commerciale nella vendita del prodotto alla clientela. Anche le altre due violazioni contestate relative alla profilatura e alla valutazione dell’adeguatezza alle operazioni di investimento e al pricing dei prodotti emessi dalla società del gruppo erano tipiche dell’attività bancaria e rientravano sicuramente nell’ambito delle attribuzioni dell’organo di vertice della banca. La mancata adozione da parte dei membri del consiglio di amministrazione di misure organizzative e procedimentali adeguate e la mancanza di controllo circa la loro concreta applicazione appariva nella specie ancora più rilevante.

Di conseguenza non era condivisibile la tesi dell’opponente circa l’impossibilità di ascrivere le violazioni contestate agli amministratori non esecutivi dovendo essere invece le stesse imputabili al solo direttore generale e ai suoi stretti collaboratori.

Ai sensi dell’art. 2396 c.c., ai direttori generali nominati dall’assemblea per disposizione dello statuto dovevano applicarsi le norme che regolano la responsabilità degli amministratori, in quanto non risultavano essere stati delegati dal comitato esecutivo gli amministratori come previsto art. 2381 e non essendo possibile la delega di attribuzione a chi non sia amministratore. La Delib. 28 giugno 2010, con la quale il consiglio aveva delegato il direttore generale a compiere tutti gli adempimenti necessari per il buon funzionamento dell’operazione Chianti classico raccomandandogli la massima attenzione nei rapporti con la clientela non era sufficiente ad escludere la responsabilità dei singoli componenti il consiglio di amministrazione.

Inoltre, anche volendo tener conto dell’esistenza della delega di funzioni al direttore generale, permaneva, in capo agli amministratori della società, un generale obbligo di vigilanza e controllo sull’operato degli organi sottordinati a cui erano attribuite mansioni esecutive. Sotto questo profilo era ovvio che la presenza di un apparato di controllo interno necessitata dell’articolazione organizzativa in una Banca di grandi dimensioni, ma ciò non escludeva nè riduceva il potere-dovere di vigilanza gravante per legge in capo agli amministratori.

Di conseguenza, anche in caso di delega di attribuzioni, tutti i consiglieri di amministrazione erano responsabili per aver omesso di assumere le opportune iniziative per assicurare che la società si uniformasse ad un comportamento diligente, corretto e trasparente.

In particolare, anche gli amministratori privi di deleghe avevano l’obbligo di agire non soltanto in base alle informazioni ricevute periodicamente dagli organi delegati, ai sensi dell’art. 2381 c.c., comma 5, ma anche in base a tutte quelle ulteriori informazioni che, per essere adeguatamente informati, come prescritto dal comma 6 della medesima norma, avevano il potere dovere di richiedere. Dunque, doveva ribadirsi il principio secondo cui anche gli amministratori non delegati avevano il dovere di agire in modo informato ex art. 2381 c.c., comma 6 e, quindi, il dovere di acquisire il flusso di informazioni necessarie allo svolgimento del proprio incarico anche eventualmente chiedendo informazioni supplementari specifiche. Quanto esposto consentiva di superare agevolmente l’argomentazione dell’opponente secondo il quale il consiglio amministrazione avrebbe integralmente adempiuto ai propri obblighi di controllo essendosi preoccupato di acquisire dalla struttura operativa di controllo varie relazioni sull’andamento della gestione, le quali non avevano evidenziato qualsivoglia anomalia e avevano confermato la correttezza delle procedure seguite dalla banca nei rapporti con la clientela. Invero, considerata l’importanza strategica dell’operazione “(OMISSIS)” per la banca occorreva da parte di tutti i consiglieri una speciale attenzione che non poteva fermarsi a recepire acriticamente quanto rappresentato al consiglio dagli organi sotto ordinati, avendo ciascuno degli amministratori un potere di vigilanza e controllo sulla struttura interna dell’ente che doveva essere tanto più pregnante quanto più alta la posta in gioco. Incombeva pertanto su ciascun consigliere l’obbligo di attivarsi, accedendo direttamente agli atti e ai documenti, onde aver effettiva cognizione dell’adeguatezza del sistema organizzativo e procedimentale in uso presso la Banca. Peraltro la macroscopica entità delle lacune procedurali ed organizzative e il diffuso ripetersi di comportamenti irregolari nei rapporti con la clientela accertato dall’organo di vigilanza non poteva sfuggire ai componenti dei consigli di amministrazione.

4. – C.M.d.S.M. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto della Corte d’appello sulla base di un solo motivo di ricorso.

5. La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ha resistito con controricorso.

6. Entrambe le parti in prossimità dell’udienza hanno depositato

memorie con le quali insistono nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2396 c.c., in combinato disposto con l’art. 2392 c.c., comma 1, violazione e falsa applicazione dell’art. 2381 c.c., commi 3, 5 e 6, in combinato disposto con l’art. 2392 c.c., comma 1. Violazione dell’art. 11 del regolamento congiunto.

Il ricorrente richiama i motivi secondo terzo e quarto del ricorso in opposizione proposto davanti la Corte d’Appello di Firenze ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 e richiama anche il regolamento congiunto Consob-Banca d’Italia al fine di evidenziare che egli non aveva alcun potere esecutivo, che era stata data delega al direttore generale e che, a sua volta, veniva in contestazione il ruolo svolto dal servizio audit, rapporti con la clientela, e la funzione di compliance per quanto riguarda i rischi e la gestione dei conflitti di interesse.

Il ricorrente evidenzia che nel ricorso aveva sostenuto che il consiglio di amministrazione, collegialmente considerato, aveva esattamente adempiuto ai propri compiti di supervisione sull’architettura complessiva dei presidi organizzativi e di controllo. L’attuazione delle strategie deliberate spettava al direttore generale e alla struttura aziendale, e non al consiglio di amministrazione, mentre spettava alla funzione di compliance e a quella di revisione interna il dovere di verificare ciascuna in base alle proprie competenze i comportamenti operativi tenuti in occasione del collocamento dei titoli “(OMISSIS)”.

Le informative rese ai consiglieri erano state sempre positive e rassicuranti, il collocamento dei titoli “(OMISSIS) “si era svolto in coerenza con le raccomandazioni Consob e con la piena collaborazione e condivisione dell’aria compliance e costumer care. Nella riunione consiliare del 28 marzo 2011 il consiglio esaminava le relazioni redatte dall’aria compliance, costumer care e il risk management e dall’area controlli interni con riferimento alle prestazioni dei servizi di investimento e constatava la sostanziale adeguatezza e conformità alle norme e l’assenza di particolari criticità ascrivibili a carenze organizzative, procedurali, informatiche o comportamentali.

La Corte d’Appello di Firenze nella motivazione del decreto, a fronte di tali specifiche contestazioni e deduzioni, documentate e provate, avrebbe richiamato la giurisprudenza sul dovere di agire informato e sulla non delegabilità delle funzioni.

Il ricorrente ritiene che la sentenza impugnata si fondi su due passaggi logico-giuridici: il primo riguarda l’art. 2381 c.c., che secondo la Corte d’Appello di Firenze non consente la delega di attribuzione ad un soggetto esterno al consiglio di amministrazione, così comportando che il potere gestorio, nel caso di specie, sarebbe rimasto completamente in capo al consiglio di amministrazione, il secondo, sempre avente ad oggetto la delega di attribuzioni che, in ogni caso, comporterebbe per i singoli consiglieri un obbligo individuale di attivarsi, a prescindere dall’informativa ricevuta in sede consiliare, al fine di reperire documenti e informazioni utili allo svolgimento diligente dell’incarico.

Secondo il ricorrente tali passaggi sarebbero gravemente viziati in violazione del combinato disposto dell’art. 2392 c.c., comma 1, art. 2396 c.c. e del combinato disposto dell’art. 2281 c.c., commi 3, 5 e 6, art. 2392 c.c..

Sotto il primo profilo il ricorrente richiama l’art. 2396 c.c., che equipara la responsabilità degli amministratori a quella dei direttori generali nominati dall’assemblea in relazione ai compiti loro affidati. La sostanziale equiparazione del direttore generale all’amministratore esecutivo sarebbe comprovata anche dai requisiti professionali richiesti per assumere la suddetta carica. Pertanto, in caso di delega di determinate competenze al direttore generale, i soggetti deleganti vengono a trovarsi in una situazione di fatto e di diritto del tutto assimilabile a quanto avverrebbe ove la delega fosse conferita ad un amministratore delegato o ad un comitato esecutivo con conseguente inapplicabilità delle previsioni di cui all’art. 2381 c.c., commi 3, 5 e 6 e di cui all’art. 2392 c.c., comma 1.

Per quanto riguarda l’effettiva portata dell’obbligo di agire informato, secondo il ricorrente la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ricostruito la portata dell’art. 2392 c.c., in combinato disposto con l’art. 2381 c.c., commi 3, 5 e 6.

Richiamata la giurisprudenza di legittimità sul punto, il ricorrente evidenzia di aver posto in luce sia la circostanza che la banca si era dotata di un adeguato sistema di controllo interno, sia che le funzioni delegate non avevano mai fornito in consiglio elementi tali da porre sull’avviso gli amministratori alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Non poteva desumersi, dunque, alcuna responsabilità del consiglio di amministrazione, occorrendo invece che la Corte d’Appello verificasse quali fossero le informazioni che aveva effettivamente avuto a disposizione il consiglio di amministrazione e se vi fossero elementi tali da richiamare l’attenzione in modo da verificare una condotta di inerzia che altrimenti si fonderebbe su un dato puramente oggettivo e non sulla colpa.

2. L’unico motivo di ricorso è infondato.

La censura ha ad oggetto la carenza di responsabilità degli amministratori non esecutivi nel caso di delega delle funzioni ad un direttore generale.

Nella specie il consiglio di amministrazione aveva delegato al direttore generale la realizzazione delle iniziative in merito ai profili di attenzione rilevati dalla Consob all’esito dell’ispezione del 2009.

La Corte d’Appello di Firenze si è puntualmente attenuta alle indicazioni offerte dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità dei consiglieri non esecutivi di una società bancaria nell’illecito amministrativo omissivo, pertanto non vi è stata alcuna violazione delle norme indicate nella rubrica del motivo.

Infatti, la Corte d’Appello, dopo aver premesso che tutti i consiglieri esecutivi erano privi di deleghe ha richiamato l’art. 2380 bis c.c., in virtù dei quali agli amministratori spetta la gestione dell’impresa e il compimento di tutte le operazioni necessarie per l’oggetto sociale e l’art. 2381 c.c., che ammette la possibilità di delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da uno o più componenti, precisando, tuttavia, che non è prevista la delega di attribuzioni a chi non fa parte del consiglio di amministrazione, come nella specie il direttore generale. Ai sensi dell’art. 2396 c.c., ai direttori generali nominati dall’assemblea per disposizione dello statuto, si applicano le norme che regolano la responsabilità degli amministratori, ciò che ulteriormente conferma che la coesistente responsabilità di eventuali dirigenti delegati estranei al consiglio di amministrazione si aggiunge a quella dei singoli componenti del consiglio di amministrazione e non vale ad escluderla.

Questa Corte, come rilevato dalla parte controricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., ha già esaminato analoga censura riguardo gli stessi fatti con riferimento alla responsabilità solidale della banca per la condotta del consiglio di amministrazione D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 195, comma 9.

Pertanto, deve ribadirsi quanto detto in tale occasione (Sez. 2, Sent. n. 24081 del 2019) e in particolare che nelle società autorizzate alla prestazione di servizi di investimento è richiesto a tutti gli amministratori, che vengono nominati in ragione della loro specifica competenza anche nell’interesse dei risparmiatori, di svolgere i compiti loro affidati dalla legge con particolare diligenza e, quindi, anche in presenza di eventuali organi delegati, sussiste il dovere dei singoli consiglieri di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e contabile nonchè il generale andamento della gestione della società e l’obbligo, in ipotesi di conoscenza o conoscibilità di fatti pregiudizievoli di irregolarità commesse nella prestazione dei servizi di investimento, di assumere ogni opportuna iniziativa per assicurare che la società si uniformi ad un comportamento diligente, corretto e trasparente. A tal proposito, deve rilevarsi che, con specifico riferimento alla configurabilità, nella specie, di un illecito omissivo a carico dei componenti del consiglio di amministrazione, non titolari di deleghe di poteri, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di sanzioni amministrative, il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6 e art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, o come nel caso di specie al direttore generale, giacchè tutti i consiglieri devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione” (Cass. n. 2737 del 2013). Questa Corte ha chiarito che l’art. 2381, comma 3, nel testo sostituito ad opera del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, prevede che il consiglio di amministrazione “può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sè operazioni rientranti nella delega” e deve valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, “il generale andamento della gestione”. Il comma 6 della stessa disposizione sancisce, altresì, l’obbligo di tutti gli amministratori di “agire in modo informato”, stabilendo che “ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”. Il nuovo art. 2392 c.c., a sua volta, continua a prevedere che gli amministratori “sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”.

Questo dovere riconosciuto in capo alla compagine dei consiglieri non esecutivi è particolarmente stringente in materia di organizzazione e governo societario delle banche, anche in ragione degli interessi protetti dall’art. 47 Cost., la cui rilevanza pubblicistica plasma l’interpretazione delle norme dettate dal codice civile. La diligenza richiesta agli amministratori risente, infatti, della “natura dell’incarico” ad essi affidato ed è commisurata alle “loro specifiche competenze” (art. 2392 c.c.). In materia di società bancarie, il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi non è rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dagli amministratori delegati o dal direttore generale, giacchè anche i primi devono possedere ed esprimere costante ed adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni assunte dall’intero consiglio (al quale è affidata l’approvazione degli orientamenti strategici e delle politiche di gestione del rischio dell’intermediario), hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter utilmente ed efficacemente esercitare una funzione dialettica e di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi attraverso un costante flusso informativo; e ciò non solo in vista della valutazione dei rapporti degli amministratori delegati, ma anche ai fini della diretta ingerenza nella delega attraverso l’esercizio dei poteri, di spettanza del consiglio di amministrazione, di direttiva e di avocazione. Pertanto, gli addebiti mossi ai consiglieri non esecutivi attengono a carenze di tipo procedurale e organizzativo di tipo generale, in relazione alle quali la responsabilità colposa dei consiglieri di amministrazione deve ritenersi derivare dall’obbligo gravante sull’organo amministrativo di predisporre le strutture organizzative e le procedure in grado di assicurare il rispetto della disciplina di settore; obbligo, questo, da ritenersi sanzionato ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 190.

Deve richiamarsi anche la disciplina specifica in tema di corporate governance degli intermediari contenuta nel regolamento congiunto Consob Banca d’Italia del 29 ottobre 2007 secondo cui l’alta dirigenza e l’organo con funzioni di controllo, secondo le rispettive competenze e responsabilità, devono garantire che l’intermediario si conformi agli obblighi previsti dalle norme di legge e regolamentare in materia di servizi. L’organo con funzioni di supervisione strategica, tra l’altro, approva i processi relativi alla prestazione dei servizi e ne verifica periodicamente l’adeguatezza e verifica che il sistema di flussi informativi sia adeguato completo e tempestivo. Le responsabilità dei componenti del consiglio di amministrazione, come si è detto, riguardano le carenze nella formalizzazione della predisposizione delle procedure idonee come richiesto anche dalla direttiva in tema di servizi di investimento trattandosi di fatti organizzativi che rientrano nelle attribuzioni proprie dell’organo di vertice dell’intermediario

Del resto, con specifico riferimento alle doglianze del ricorrente quella che viene definita impropriamente come delega al direttore generale, oltre ad essere fuori dal perimetro di applicazione dell’art. 2381 c.c., costituisce in realtà la formalizzazione di uno specifico incarico 121

volto alla realizzazione di una particolare operazione. La Delib. 28 giugno 2010, ha ad oggetto tutti gli adempimenti necessari per l’operazione Chianti classico. Risulta del tutto evidente che una tale delega di carattere generale ma riferita ad una singola operazione non poteva spogliare il consiglio di amministrazione delle attribuzioni tipiche e correlate alle potestà spettanti all’alta dirigenza di un istituto di credito.

Peraltro, come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello di Firenze, l’operazione “(OMISSIS)” in occasione della quale si sono riscontrate le carenze strutturali, organizzative e procedimentali della banca Monte dei Paschi di Siena era un’operazione strategica per la stessa sopravvivenza della banca. Vista l’importanza della posta in gioco, occorreva da parte di tutti i consiglieri una speciale attenzione che non poteva fermarsi a recepire acriticamente quanto rappresentato al consiglio dagli organi sotto ordinati, avendo ogni consigliere un potere di vigilanza e controllo sulla struttura interna dell’ente che doveva essere svolto con una diligenza adeguata alla situazione concreta che stava caratterizzando l’attività della banca.

Infine, è altrettanto corretta l’ulteriore considerazione della Corte d’Appello circa il fatto che le lacune procedurali e il diffuso ripetersi di comportamenti irregolari, anche nei rapporti con la clientela, erano talmente macroscopici da non giustificare in alcun modo la mancata conoscenza degli stessi in capo ai componenti del consiglio di amministrazione della banca.

3. Il ricorso è rigettato.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 7500 di cui Euro 200 per esborsi;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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