Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26199 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18792-2018 proposto da:

RATATUIA SAS DI P.M.C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

MAINETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VANNI

MARCO RIBECHI;

– ricorrente –

contro

PI.SA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato GIAN MARCO CHERTIZZA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA GRIPPA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2193/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/05/2019 dal Consigliere Relatore, Dott.sa

FRANCESCA SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 12-19 dicembre 2017 n. 2193 la Corte d’Appello di Milano confermava, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto la domanda proposta da PI.SA. nei confronti del datore di lavoro, società RATATUIA sas di P.M.C. E C. (in prosieguo: la società) per l’impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli in data (OMISSIS);

che la Corte territoriale reputava assolutamente generica la prima delle due contestazioni disciplinari poste a base del licenziamento. Con tale comunicazione, in data 8 novembre 2013, al PI. veniva contestato di essere “intento a sottrarre generi alimentari e bevande, destinate alla clientela, al fine di appropriarsene personalmente”; la contestazione non conteneva le indicazioni necessarie ad individuare il fatto addebitato nella sua materialità.

Con la seconda contestazione disciplinare, del (OMISSIS), veniva addebitato al PI. il rinvenimento nelle dispense della cucina e nella cantina di cibi scaduti o avariati (sei latte di sarde salate con scadenza 4 giugno 2010 e due buste di carrè di suino avariate con scadenza 31 ottobre 2013) nonchè l’ammanco di strumenti da cucina. Su quest’ultimo punto mancava – tanto nella contestazione che nel capitolo di prova articolato in giudizio – qualsiasi riferimento alla data di acquisto dei beni mancanti che consentisse di imputare l’ammanco – anche solo in via presuntiva – al Pi., tenuto conto anche dell’assenza di indicazione del personale addetto alla cucina. L’addebito relativo al rinvenimento di generi alimentari scaduti, in relazione al quale il PI. aveva svolto specifiche difese ed articolato prove, era del tutto sproporzionato rispetto alla sanzione del licenziamento;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso la società, cui ha opposto difese PI.SA. con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. che la società ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per avere il giudice del merito falsamente applicato i principi enunciati da questa Corte in tema di specificità della contestazione disciplinare. Il motivo inerisce alla statuizione di genericità della prima delle due contestazioni disciplinari poste a base del recesso; la società ha esposto che la contestazione disciplinare, dell'(OMISSIS), si riferiva a condotte di sottrazione di generi alimentari e bevande compiute nella stessa giornata.

Per quanto riferito alla polizia giudiziaria nell’ambito del procedimento penale, le colleghe di lavoro avevano visto il PI. portare in magazzino sette mozzarelle e poco dopo avevano accertato che in magazzino ve ne erano solo quattro. Il marito dell’amministratrice, signor M.L., aveva convocato tutto il personale nel proprio ufficio; ivi il PI., aprendo il proprio zaino, aveva mostrato solo un lembo del grembiule ed era andato via velocemente prima dell’arrivo dei Carabinieri. In sede penale il gip del Tribunale di Busto Arsizio aveva ritenuto gli elementi di prova raccolti sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio ed archiviato il procedimento penale unicamente per la tenuità del fatto (come da decreto del 13.9.2017, prodotto in sede di appello).

Nella fattispecie concreta l’unica indicazione mancante nella lettera di contestazione era il genere degli alimenti sottratti (mozzarella) ma tale mancanza non determinava la genericità della contestazione;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, per essere stato dichiarato il licenziamento illegittimo soltanto sulla base della entità del danno, senza alcuna valutazione circa l’incidenza della condotta contestata sul rapporto fiduciario.

Il motivo afferisce al ritenuto difetto di proporzionalità tra la condotta di mancato controllo della scadenza degli alimenti e la sanzione del licenziamento. La società ha assunto che anche una condotta del lavoratore che abbia determinato un danno patrimoniale di minima entità può legittimamente fondare il licenziamento qualora idonea a porre in dubbio la correttezza del futuro adempimento del lavoratore. Nella fattispecie di causa il fatto che Pi., in qualità di cuoco, responsabile della cucina e preposto all’effettuazione degli acquisti, tenesse tra le scorte scatole di pesce scadute da oltre tre anni e carrè di suino avariato integrava una lesione gravissima dell’elemento fiduciario, in relazione al grado di affidamento richiesto dalle mansioni;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare il ricorso inammissibile;

che, invero:

– quanto al primo motivo, la sentenza impugnata ha correttamente collegato il requisito di specificità della contestazione disciplinare alla finalità di consentire al lavoratore l’esercizio del diritto di difesa, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la specificità è integrata quando la contestazione fornisce le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.; per ritenerne integrata la violazione è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 18/04/2018, n. 9590 e giurisprudenza ivi citata).

Questa Corte ha inoltre parimenti chiarito che, fermi i criteri di giudizio così declinati, l’accertamento concreto relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica del vizio di motivazione (Cassazione civile sez. lav., 18/04/2018 sopra citata, n. 9590; Cass. 21/04/2017 n. 10154; Cass. 03/02/2003 n. 1562).

Nella fattispecie di causa la Corte territoriale ha compiuto un apprezzamento di fatto, affermando che la contestazione disciplinare non conteneva le indicazioni necessarie ad individuare il fatto addebitato nella sua materialità; la censura non può essere riqualificata in termini di vizio della motivazione, in quanto non allega specificamente un preciso fatto storico, potenzialmente decisivo, non esaminato nella sentenza impugnata nè indica, con la medesima specificità, le ragioni della sua decisività; piuttosto contesta genericamente il convincimento espresso dalla Corte territoriale – assumendo che il lavoratore era in grado di comprendere i contenuti della contestazone – e prospetta a questo giudice di legittimità il contesto storico nel quale i fatti si erano svolti, sollecitandolo a compiere un non – consentito riesame del merito;

– quanto al secondo motivo è parimenti consolidata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. lav. 05/12/2018, n. 31487; Cass. 25/05/2012 n. 8293; 07/04/2011 n. 7948 e 22/0:3/2010n. 6848) secondo cui costituisce giudizio di fatto l’apprezzamento nel caso concreto della proporzionalità tra i fatti addebitati ed il licenziamento. Dalla sentenza impugnata non risulta, invece, la dedotta violazione dei criteri del giudizio di proporzionalità enunciati da questa Corte, in quanto, diversamente da quanto allegato in ricorso, la Corte territoriale non ha fondato la propria valutazione sulla tenuità del danno, che non è stata affatto considerata.

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il comma 1 quater di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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