Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26198 del 22/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26198 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
senten:o con morirci:ione

sul ricorso proposto da:
ALTOMONTE Caterina (LTM CRN 27M52 F158D), rappresentata e
difesa, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Fabrizio Mobilia, domiciliata in Roma, Piazza
Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema di

cassazione;

ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del

Mini2tro prc

temv~i ranorCSOntato e difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici

in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

– resistente –

7,522
-45

Data pubblicazione: 22/11/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Messina
depositato in data 18 aprile 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

sentito l’Avvocato Fabrizio Mobilia;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 3 maggio 2011
presso la Corte d’appello di Messina, Altomonte Caterina ha
chiesto la condanna del Ministero dell’economia e delle
finanze al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole
durata di un giudizio amministrativo da lei instaurato
dinnanzi al TAR di Catania, con ricorso depositato il 27
aprile 1995 ed ancora pendente alla data di proposizione
della domanda di equa riparazione;
che l’adita Corte d’appello, disattese le eccezioni di
improcedibilità della domanda ex art. 54 del decreto-legge
n. 112 del 2008 e di prescrizione, riteneva che il giudizio
presupposto, definito con dichiarazione di perenzione in
data 26 maggio 2011, avesse superato la durata ragionevole
di circa quattordici anni, risultando il giudizio stesso
ancora pendente alla data di decisione, e, tenuto conto
della circostanza che dopo aver presentato una istanza di

Stefano Petitti;

prelievo poco tempo dopo il deposito del ricorso, la
ricorrente aveva mantenuto una condotta inerte per
moltissimi anni mostrando in tal modo scarso interesse alla
definizione del giudizio, liquidava in favore del

il criterio di computo ragguagliato a 500,00 euro per
ciascuno degli anni di ritardo;
che per la cassazione di questo decreto Altomonte
Caterina ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo;
che l’amministrazione intimata non ha resistito con
controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai
fini della partecipazione alla discussione della causa.

Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con l’unico motivo di ricorso la ricorrente
denuncia violazione dell’art. 2, commi 1 e 3, della legge
n. 89 del 2001, dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU e
degli artt. 1226 e 2056 cod. civ.,nonché vizio di
motivazione con riferimento alla liquidazione contenuta
dalla Corte d’appello in euro 500,00 per anno di ritardo,
immotivatamente discostandosi dagli ordinari criteri di
liquidazione del danno non patrimoniale da irragionevole
durata del processo;
che il ricorso è infondato;

3

ricorrente l’indennizzo di euro 7.000,00, ritenendo congruo

che infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la

indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che va poi ricordato che, in applicazione dei criteri
elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(decisioni

Volta et autres c.

Falco et autres c. Italia,

Italia, del 16 marzo 2010 e

del 6 aprile 2010) e recepiti

dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 18 giugno
2010, n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13
aprile

2012,

n.

5914),

relativamente

a giudizi

amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, questa
Corte è solita liquidare un indennizzo che rapportato su

liquidazione sia satisfattiva di un danno e non

base annua corrisponde a circa 500,00 euro per la durata
del giudizio;
che tale approdo consente di escludere che un
indennizzo di 500,00 euro per anno di ritardo possa essere

dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte
europea intende assicurare in relazione alla violazione del
termine di durata ragionevole del processo;
che deve quindi concludersi che, nel caso di specie, la
Corte d’appello, nel liquidare l’indennizzo in 500,00 euro
per ciascuno degli anni di ritardo nella definizione del
giudizio presupposto, in considerazione del ritenuto scarso
interesse alla definizione del giudizio e del conseguente
presumibile minor pregiudizio sofferto per la irragionevole
durata del giudizio stesso, non sia incorsa nella
denunciata violazione di legge, né nel dedotto vizio di
motivazione, atteso che ha tenuto conto della presentazione
della istanza di prelievo nel 1996 e tuttavia ha ritenuto
che la condotta inerte mantenuta successivamente dalla
ricorrente fosse sintomatica di una carenza di interesse ad
una sollecita definizione del giudizio presupposto, e
quindi di una ridotta sofferenza per il ritardo nella
definizione della causa;
che il ricorso va quindi rigettato;

di per sé considerato irragionevole e quindi lesivo

che, non avendo l’amministrazione intimata svolto
attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese
del presente giudizio.
PER QUESTI MOTIVI

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.

La Corte rigetta il ricorso.

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