Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26197 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. I, 27/09/2021, (ud. 08/07/2021, dep. 27/09/2021), n.26197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28992/2020 proposto da:

F.L., rappresentata e difesa dall’Avv. Gilberto Zini, come da

procura allegata al ricorso per cassazione, elettivamente

domiciliata a Roma, in via dei Pirenei, n. 1, presso lo studio

dell’Avv. Alessandra Gentile;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, nella persona del Ministro in carica,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato e

domiciliato presso i suoi Uffici siti in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza delle Corte di appello di ROMA n. 970/2020,

pubblicato in data 10 febbraio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 08/07/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 10 febbraio 2020, la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da F.L., nata in (OMISSIS), nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di Roma, del 13 giugno 2016, notificata il 17 gennaio 2017, che aveva confermato il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale.

2. La richiedente aveva riferito di avere lasciato il paese di origine perché a causa di una malattia, aveva iniziato a professore il Credo in Gesù, denominato (OMISSIS), e a partecipare a delle riunioni, che in (OMISSIS) erano considerate illegali; che era stata arrestata dalla polizia e picchiata; che per un periodo non aveva frequentato più gli incontri con altri fedeli, ma poi aveva ripreso e si era accorta di essere pedinata; che, in caso di rientro, aveva paura di essere arrestata, perché lo Stato non consentiva la libertà religiosa.

3. Contro il decreto F.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

4. Il Ministero dell’Interno si è costituito ai fini della partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e la motivazione perplessa, apparente e manifestamente illogica della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sulla ritenuta non credibilità della ricorrente, avendo il giudice di merito esteso il proprio sindacato sul livello di conoscenza del Credo professato dalla ricorrente, con ciò travalicando i limiti esterni della giurisdizione.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 3 e 5; D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27; del D.P.R. n. 12 del 2015, art. 6; dell’art. 16 della Direttiva 2013/32/UE del Parlamento e del Consiglio del 26 giugno 2013, avendo errato la Corte territoriale nell’interpretare come inattendibile e poco credibile il racconto della ricorrente.

2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono inammissibili, perché la ricorrente censura la valutazione di non credibilità della sua vicenda personale, sollecitando, inammissibilmente, la rivalutazione di un apprezzamento di merito, che, nel caso di specie, è stato idoneamente motivato e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

La Corte di appello, peraltro, con ragioni del decidere che non sono state minimamente censurate dalla ricorrente, ha svolto, alle pagine 24, un esame completo delle dichiarazioni della richiedente, mettendone in evidenza le numerose incongruenze, seguendo correttamente l’iter di valutazione della credibilità, che richiede, senza omettere alcun passaggio, di considerare lo sforzo del richiedente teso a circostanziare la domanda, gli elementi in suo possesso, la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni e svolgendo anche la necessaria integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni generali e specifiche fornite e acquisibili, sul conflitto religioso e sugli episodi di intolleranza narrati e, quindi, sul rischio di persecuzione cui sarebbe esposto la richiedente in caso di rientro in caso di rientro.

2.2 Questo nel rispetto del principio statuito da questa Corte secondo cui la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 19 giugno 2020, n. 11925).

2.3 I giudici di secondo grado, inoltre, con un iter motivazionale plausibile, hanno messo in luce la mancata indicazione del Credo religioso di appartenenza (pag. 2 del provvedimento impugnato), oltre la circostanza che la stessa aveva riferito concetti del tutto generici riguardo al Credo religioso seguito e che non aveva saputo fornire le caratteristiche di fede e il tipo di organizzazione ecclesiale (pag. 4), evidenziando anche il contenuto di alcune risposte fornite alla Commissione del tutto generiche, ciò involgendo specificamente il giudizio di credibilità del racconto della richiedente e non una valutazione del livello di conoscenza del credo religioso professato o del livello di istruzione religiosa.

Mette conto rilevare, inoltre, che questa Corte, nell’ordinanza richiamata anche dalla ricorrente (Cass., 16 luglio 2020, n. 15219), ha statuito che non rientra nell’ambito della valutazione di merito, devoluta al giudice per apprezzare la credibilità della storia riferita dal richiedente, il sindacato sul “percorso individuale seguito per abbracciare un determinato credo religioso” e sul “livello di conoscenza dei relativi riti” e che non può essere dato rilievo, ai fini di escludere l’attendibilità della storia personale riferita dal richiedente, al fatto che costui abbia comunque scelto di professare il suo credo o di fare proselitismo, posto che tali attività rientrano nell’ambito della libera esplicazione della personalità umana, evenienze, in tutta evidenza, diverse, dalla conoscenza del Credo religioso che si dice di professare.

2.4 Ne’, infine, la ricorrente ha riferito di essere stata rilasciata dalla Polizia perché aveva corrisposto una “tangente”, avendo la stessa raccontato di avere pagato una multa, fermo restando, in ogni caso, il mancato rilievo delle impronte digitali o di altra forma di identificazione.

3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto aveva errato la Corte di appello nell’interpretare le disposizioni citate, non riconoscendo la protezione sussidiaria.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto la scarsa verosimiglianza del racconto ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente soltanto con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b); mentre ha escluso la sussistenza in (OMISSIS) di una violenza generalizzata e diffusa per come prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), richiamando, a pag. 5 del provvedimento impugnato, le fonti specificamente citate e aggiornate al marzo 2019, peraltro nemmeno censurate dalla ricorrente.

3.3 Con ciò facendo corretta applicazione del principio affermato da questa Corte secondo cui in tema di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), dove il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass., 24 maggio 2019, n. 14283; Cass., 12 maggio 2020, n. 8819; Cass., 29 maggio 2020, n. 10286; Cass., 28 luglio 2020, n. 16122; Cass., 22 settembre 2020, n. 19725).

4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, avendo la Corte di appello errato nell’interpretare le disposizioni citate, mancando di riconoscere la protezione umanitaria.

4.1 Anche il quarto motivo è inammissibile, non essendo stata censurata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

4.2 UH ricorrente fonda, infatti, la propria domanda di permesso umanitario su circostanze che sono state ritenute non sussistenti dai giudici di merito giudice di merito con argomentazioni adeguate e non sindacabili in sede di legittimità, che hanno specificamente affermato che, in tale contesto, doveva escludersi una specifica vulnerabilità personale dell’appellante e che non assumevano specifico rilievo, ai fini di ritenere avvenuta una integrazione stabile in Italia, i corsi di lingua e cultura italiana che la ricorrente aveva frequentato, oltre che la partecipazione al culto domenicale e alle riunioni della “(OMISSIS)” di (OMISSIS).

4.3 Questa Corte, di recente, ha affermato che/in tema di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, se è pur vero che la valutazione in ordine alla sussistenza dei suoi presupposti deve essere il frutto di autonoma valutazione avente ad oggetto le condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti, tuttavia, la necessità dell’approfondimento da parte del giudice di merito non sussiste se, già esclusa la credibilità del richiedente, non siano state dedotte ragioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte per le protezioni maggiori (Cass., 24 dicembre 2020, n. 29624).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, perché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

 

 

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