Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26197 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. III, 06/12/2011, (ud. 28/10/2011, dep. 06/12/2011), n.26197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A. (OMISSIS), considerato domiciliato in

ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso da se medesimo e dall’avvocato COSENTINO VITTORIO giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

REGIONE CALABRIA in persona del suo legale rappresentante pro tempore

On.le L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI N 26/B, presso lo studio dell’avvocato MORRONE

ALFREDO, rappresentata e difesa dall’avvocato COSCARELLA ANTONELLA

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1118/2008 del TRIBUNALE di CASTROVILLARI,

depositata il 17/12/2008 R.G.N. 813/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato C.A.;

udito l’Avvocato MARIA GRAZIA RULLI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A. convenne in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Castrovillari la Regione Calabria chiedendone la condanna al pagamento in suo favore della somma di Euro 2.500,00 a titolo di risarcimento dei danni cagionati da istrici a una sua piantagione di iris e fresie.

Costituitasi in giudizio, la Regione oppose il proprio difetto di legittimazione passiva. Il Giudice di Pace rigettò la domanda.

Proposta dal soccombente gravame, il Tribunale di Castrovillari, in data 22 dicembre 2008, lo ha respinto.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte C.A., formulando un solo motivo.

Resiste con controricorso la Regione Calabria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Nell’unico motivo di ricorso l’impugnante denuncia violazione della l. 11 febbraio 1992, n. 157, artt. 1 e 26; della L.R. Calabria 17 maggio 1996, n. 9, artt. 2 e 9; art. 118 Cost. e art. 12 preleggi.

Le critiche si appuntano contro l’affermazione del giudice di merito secondo cui, in base al quadro normativo di riferimento – e segnatamente, in base alla L.R. n. 9 del 1996, emanata proprio al fine di disciplinare la tutela e la gestione della fauna selvatica, nell’ambito del principi sanciti dalla L. n. 157 del 1992 – la Regione aveva, in materia, solo compiti di programmazione e di coordinamento, laddove le funzioni di gestione e di controllo della Ialina selvatica erano state attribuito alla Province, alle quali segnatamente spettava l’individuazione dei criteri per la determinazione e l’erogazione del risarcimento in favore dei proprietari o conduttori di fondi rustici danneggiati dalla fauna selvatica.

Ricordato che l’istrice non rientra tra le specie cacciabili, essendo piuttosto animale protetto, sostiene l’esponente che la sentenza impugnata farebbe malgoverno dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, ferma nel ritenere la titolarità dell’obbligazione risarcitoria in capo alla Regione Calabria della L.R. Calabria 22 settembre 1998, n. 10, ex art. 25 (Cass. sez. un. n. 1239 del 2004). Aggiunge che in ogni caso i danni di cui era stato chiesto il ristoro non potevano ritenersi arrecati a produzione agricola, trattandosi di danni a floricoltura ornamentale, per giunta praticata senza fini di lucro.

2 Le censure sono infondate.

Sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato e sia tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale, la L. 11 febbraio 1992, n. 157 – recante la disciplina in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e di prelievo venatorio -attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l’emanazione di norme relative al controllo e alla protezione di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3), alle stesse affidando i connessi, necessari poteri gestori. E’ peraltro principio generale del nostro ordinamento che le regioni, laddove non vi si oppongano esigenze di carattere unitario, organizzano l’esercizio dei compiti amministrativi a livello locale attraverso i comuni e le province (art. 118 Cost.; D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 4).

Ora, proprio alle province spettano quelli, in materia di protezione della flora e della fauna, nonchè di caccia e pesca, allorchè riguardino vaste zone intercomunali o l’intera area provinciale (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 19, lett. e ed f riproduttivo, in parte qua, della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 14).

In un contesto organizzatorio che così disloca le funzioni inerenti al governo del territorio, questa Corte ha condivisibilmente precisato che dei danni cagionati da animali selvatici risponde, in definitiva, a titolo aquiliano, l’ente, sia esso Regione, Provincia, Parco, Federazione o Associazione, che dir si voglia, al quale essi risultino in concreto affidati, nel singolo caso, segnatamente evidenziando che il delegato o concessionario potrà considerarsi responsabile, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., a condizione che gli sia stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da potere efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all’esercizio dell’attività stessa, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (confr. Cass. civ. 8 gennaio 2010, n. 80).

In sostanza, posto che l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di flora e di fauna, nei profili che afferiscano a zone intercomunali o all’intero territorio provinciale spetta, in via di principio alle Province, ma che dette funzioni devono essere organizzate dalla Regione, titolare delle relative potestà, si dovrà indagare, di volta involta, se l’ente delegato sia stato ragionevolmente posto in condizioni di adempire ai compiti affidatigli o se sia un nudus minister, senza alcuna concreta ed effettiva possibilità operativa.

3 L’attenzione deve a questo punto spostarsi sulla normativa regionale, al fine di appurare se il giudice di merito ne abbia fatto il malgoverno denunciato dal ricorrente. Ora, considerato che, con la L. 17 maggio 1996, n. 9, la Regione Calabria ha attribuito alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna selvatica (art. 2), delegandole alla formulazione e all’approvazione dei piani faunistico-venatori, nei quali devono essere, in particolare, previsti i criteri per la determinazione e l’erogazione del risarcimento, in favore dei proprietari o conduttori di fondi rustici, per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole (art. 6), non si vede come possa negarsi che il C. debba reclamare dalla provincia il ristoro dei pregiudizi subiti e che, conseguentemente, non possa pretenderli dalla regione. Nè vale opporre che, non essendo l’istrice animale cacciabile, e specularmente la piantagione di iris e fresie una produzione agricola in senso tecnico, in ragione della sua destinazione ornamentale e del carattere meramente amatoriale della relativa pratica, si sarebbe fuori della sfera di operatività delle norme innanzi menzionate. Sarebbe infatti assolutamente specioso leggere la normativa regionale come limitata ai soli animali cacciabili, ignorando i costanti riferimenti, in essa contenuti, alla fauna selvatica tout court. E sarebbe del pari priva di logica un’interpretazione che restringesse la portata della locuzione produzione agricola, alle sole specie commestibili, con esclusione della floricoltura ornamentale attuata senza fini di lucro, cosi forzando e fuorviando il significato di un’espressione che palesemente rimanda, in maniera affatto generica, a qualsivoglia prodotto della terra. Peraltro le distinzioni valorizzate da siffatta esegesi inevitabilmente introdurrebbero complicate divisioni di competenze in un settore in cui la divisione è fonte solo di ingovernabilità, donde un’ulteriore ragione per predicarne l’ìnsostenibilità, sul piano sistematico e teleologico. Non è superfluo aggiungere che non giova all’impugnante il richiamo alla sentenza 23 gennaio 2004, n. 1239 di questa Corte, la quale si è limitata a qualificare in termini di diritto soggettivo, piuttosto che di interesse legittimo, la posizione soggettiva attiva vantata dal proprietario di capi di bestiame uccisi da animali protetti, in relazione alla disciplina dettata dalla L.R. Calabria 22 settembre 1998, n. 10, art. 25, comma 4.

Il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.200,00 (di cui Euro 1.000,00 per onorari), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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