Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26196 del 22/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26196 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificato

sul ricorso proposto da:

SGURELLI Lina (SGR LNI 39A41 A177G) e PIDALA’ Leone (PDL
LNE 74E07 F158R), quali eredi di Pidalà Giuseppe,
rappresentati
ricorso,

e difesi,

dall’Avvocato

a margine del

per procura speciale

Fabrizio

Mobilia, domiciliati

in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della
Corte suprema di cassazione;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in

persona del

Ministro pro tempore;
– intimato –

Data pubblicazione: 22/11/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Messina
depositato in data 12 aprile 2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

sentito l’Avvocato Fabrizio Mobilia;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Ritenuto

che, con ricorso depositato il 15 settembre

2009 presso la Corte d’appello di Messina, Sgurelli Lina e
Pidalà Leone, in proprio e quali eredi di Pidalà Giuseppe,
hanno chiesto la condanna del Ministero dell’economia e
delle finanze al pagamento dell’indennizzo per la
irragionevole durata di un giudizio amministrativo
instaurato dal loro dante causa dinnanzi al TAR di Catania,
con ricorso depositato il 3 maggio 1995, ancora pendente
alla data del 18 agosto 2001, giorno del decesso di Pidalà
Giuseppe, e nel quale essi si erano costituiti il 18
febbraio 2009, definito con sentenza depositata il 19
luglio 2009;
che l’adita Corte d’appello rilevava che il giudizio,
con riferimento alla domanda proposta in proprio dagli
eredi di Pidalà Giuseppe, si era definito in un lasso di
tempo assai breve dopo la loro costituzione in giudizio.

Stefano Petitti;

avvenuta, peraltro, a distanza di molti anni dal decesso
del loro dante causa, sicché nessun pregiudizio essi.
Potevano avere sofferto;
che, quanto alla domanda proposta dai ricorrenti quali

giudizio presupposto avesse superato la durata ragionevole
di tre anni e quattro mesi e, tenuto conto della esiguità
della posta in gioco nonché del lungo lasso di tempo
trascorso dopo la presentazione della prima istanza di
prelievo, liquidava in favore dei ricorrenti l’indennizzo
nella complessiva somma di euro 1.670,00, ritenendo congruo
il criterio di computo ragguagliato a 500,00 euro per
ciascuno degli anni di ritardo, e compensava interamente le
spese del giudizio in considerazione della
ridimensionamento della pretesa fatta valere dai ricorrenti
in qualità di eredi e del rigetto di quella proposta in
proprio;
che per la cassazione di questo decreto Sgurelli Lina e
Pidalà Leone, solo nella qualità di eredi di Pidalà
Giuseppe, hanno proposto ricorso sulla base di due motivi;
che l’amministrazione intimata non ha svolto difese.
Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;

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eredi del Pidalà, la Corte d’appello riteneva che il

che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti
denunciano violazione dell’art. 2, commi 1 e 3, della legge
n. 89 del 2001, dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU e
degli artt. 1226 e 2056 cod. civ.,nonché vizio di

dalla Corte d’appello in euro 500,00 per anno di ritardo,
immotivatamente discostandosi dagli ordinari criteri di
liquidazione del danno non patrimoniale da irragionevole
durata del processo;
che il motivo è infondato;
che infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali

motivazione con riferimento alla liquidazione contenuta

deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo
scostamento dagli ordinari criteri di determinazione

posta in gioco e alla ritardata presentazione dell’istanza
di prelievo;
che trattasi di motivazione adeguata, rispetto alla
quale le deduzioni del ricorrente, secondo cui la posta in
gioco non sarebbe stata poi così esigua tenuto conto del
momento della ammissione al passivo, si infrangono sul
rilievo che la valutazione della esiguità o no della posta
in gioco, alla luce delle circostanze soggettive e
oggettive del caso di specie, è accertamento di fatto non
sindacabile in sede di legittimità, se non con riferimento
ad eventuali vizi della motivazione, nella specie non
sussistenti; e ciò tanto più che gli elementi di fatto dai
quali il ricorrente pretende di far discendere il vizio
denunciato, anche sotto il profilo del vizio di
motivazione, emergono chiaramente dal provvedimento
impugnato, sicché deve ritenersi che la Corte d’appello
abbia espresso la propria valutazione proprio alla luce di
quegli elementi soggettivi e oggettivi dei quali il
ricorrente lamenta la mancata considerazione;

dell’indennizzo facendo riferimento alla esiguità della

che va poi ricordato che, in applicazione dei criteri
elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(decisioni

Volta et autres c.

Falco et autres c. Italia,

Italia, del 16 marzo 2010 e

del 6 aprile 2010) e recepiti

2010, n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13
aprile 2012, n. 5914), relativamente a giudizi
amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, questa
Corte è solita liquidare un indennizzo che rapportato su
base annua corrisponde a circa 500,00 euro per la durata
del giudizio;
che tale approdo consente di escludere che un
indennizzo di 500,00 euro per anno di ritardo possa essere
di per sé considerato irragionevole e quindi lesivo
dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte
europea intende assicurare in relazione alla violazione del
termine di durata ragionevole del processo;
che tale conclusione trova conferma ove si consideri
che in tema di equa riparazione per violazione del termine
di durata ragionevole del processo, ai fini del
disconoscimento dell’an

debeatur non rileva la cosiddetta

posta in gioco, la cui modestia è idonea solo ad incidere
sull’ammontare dell’indennità da liquidare, ma non ad
escludere il diritto all’indennizzo, per il cui
accertamento, pertanto, si deve valutare la durata del

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dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 18 giugno

processo presupposto, applicando per la determinazione
della ragionevole durata i parametri elaborati dalla CEDU
(Cass. n. 17682 del 2009) e che il giudice, nel determinare
la quantificazione del danno non patrimoniale subito per

di ‘`soglia minima” là dove, in considerazione del carattere
bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata
nel processo presupposto, parametrata anche sulla
condizione sociale e personale del richiedente,
l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il
risarcimento del danno non patrimoniale del tutto
sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio
sofferto (Cass. n. 12937 del 2012);
che deve quindi concludersi che, nel caso di specie, la
Corte d’appello, nel liquidare l’indennizzo in 500,00 euro
per ciascuno degli anni di ritardo nella definizione del
giudizio presupposto, anche in considerazione della scarsa
rilevanza della posta in gioco, non sia incorsa nella
denunciata violazione di legge, né nel dedotto vizio di
motivazione, atteso che ha tenuto conto della presentazione
della istanza di prelievo nel 1996 e tuttavia ha ritenuto
che la condotta inerte mantenuta successivamente dalla
parte fosse sintomatica di una carenza di interesse ad una
sollecita definizione del giudizio presupposto, e quindi di

ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello

una ridotta sofferenza per il ritardo nella definizione
della causa;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc.

statuizione di compensazione integrale delle spese di lite;
che anche questo motivo è infondato, avendo la Corte
d’appello dato adeguata motivazione della disposta
compensazione, valorizzando sia il ridimensionamento della
pretesa proposta dai ricorrenti in qualità di eredi, sia (e
soprattutto) il rigetto della domanda proposta in proprio;
che il ricorso va quindi rigettato;
che non vi è luogo a pronunciare sulle spese, non
avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.

civ. e vizio di motivazione, dolendosi della ingiustificata

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