Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26196 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29066-2017 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROSARIA ARCUDI;

– ricorrente –

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

CHERUBINA CIRIELLO, ELISABETTA LANZETTA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 311/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 29/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott.sa

FRANCESCA SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 13 aprile – 29 maggio 2017 numero 311 la Corte d’Appello di Palermo riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, respingeva la domanda proposta da B.M., già dipendente dell’INPDAP, nei confronti dell’INPS, quale successore ex lege del datore di lavoro, per il pagamento dell’equo indennizzo;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale reputava non condivisibili le osservazioni del c.t.u. nominato nel primo grado, che aveva ritenuto sussistere il nesso causale tra l’attività di servizio e le patologie (carcinoma vescicale e sindrome ansioso depressiva) Osservava che l’affermazione del c.t.u. secondo cui la esposizione del B. al fumo passivo nell’ambiente di lavoro era sicuramente più estesa rispetto a quanto riferito dal teste Z.E. si poggiava su un dato storico non documentato nè riscontrato da altri elementi.

Pur non ignorando il Collegio la nocività della esposizione ambientale al fumo di tabacco ed il fatto che nel rapporto del Ministero della Salute del 5.2.2009 tra i possibili danni alla salute cagionati dal fumo era indicato anche il tumore alla vescica, nella fattispecie di causa si restava sul piano di una mera ipotesi, non supportata da circostanze di fatto;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso B.M., articolato in due motivi, cui ha opposto difese l’INPS, che ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato, articolato in un unico motivo;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha denunziato:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, – nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè dell’art. 101 c.p.c..

Ha dedotto che la Corte d’Appello aveva violato il suo diritto di difesa, avendo concesso esclusivamente all’INPS un termine per replicare ai chiarimenti resi dal c.t.u. del primo grado a seguito della riconvocazione in appello e disposto lo stralcio delle note da lui depositate, perchè considerate inammissibili.

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti; erronea e contraddittoria valutazione dei fatti e dei documenti di causa. Ha denunciato l’errore commesso dal collegio d’appello per avere contraddittoriamente, da un canto, citato il rapporto del Ministero della salute del 5 febbraio 2009 – nel quale tra le malattie causate dalla esposizione al fumo passivo compariva il tumore alla vescica – ed affermato, poi, la insussistenza del nesso eziologico.

Ha altresì lamentato la omessa considerazione- in una alla deposizione del teste Z., dalla quale risultava lo stato di insalubrità dei luoghi di lavoro – della mancata esibizione da parte della amministrazione della documentazione attestante il risetto negli uffici delle norme di sicurezza (in particolare, il documento di valutazione dei rischi). Il c.t.u. aveva ritenuto il nesso causale anche e soprattutto in relazione al dato temporale – ovvero alla continua e prolungata permanenza negli uffici; l’errore della Corte di merito era consistito nel non considerare unitariamente il quadro probatorio;

che con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato l’INPS ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 461 del 2001, artt. 2 e 14.

Ha esposto che con l’atto di appello veniva censurato anche il rigetto dell’eccezione di decadenza dalla domanda di equo indennizzo, essendo la parte a conoscenza della neoformazione vescicale sin dall’anno 2004. Veniva contestata, altresì, l’assunzione erronea come dato normativo di riferimento del D.P.R. n. 686 del 1957, art. 51, abrogato dal D.P.R. n. 349 del 1994, art. 11, a sua volta sostituito dal D.P.R. n. 461 del 2001. Tale motivo era stato implicitamente respinto (o comunque assorbito) dalla sentenza di primo grado, laddove in corretta applicazione dei principi di diritto il ricorso originario avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

che ritiene il Collegio si debba dichiarare inammissibile il ricorso principale, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

che, invero:

– il primo motivo difetta di specificità, in quanto la parte non riporta nel ricorso i verbali della udienza di riconvocazione del ctu a chiarimenti e delle udienze successive al deposito dei chiarimenti del ctu, non consentendo a questa Corte di esaminare le richieste avanzate dalla parte qui ricorrente, i provvedimenti resi al riguardo dal giudice dell’appello e la eventuale dedotta violazione del suo diritto di difesa.

– il secondo motivo, con il quale si contesta l’accertamento di fatto espresso nella sentenza impugnata in ordine alla assenza della causa lavorativa delle patologie, non espone un fatto storico, oggetto di discussione e potenzialmente decisivo, non esaminato dal giudice dell’appello ma piuttosto si duole dell’apprezzamento dei mezzi di prova compiuto dal collegio giudicante, contrapponendovi una diversa ricostruzione dello stesso fatto, corrispondente al proprio interesse.

Pertanto – piuttosto che denunziare un vizio di motivazione – il motivo è diretto a sollecitare una non- consentita rivalutazione del merito;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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