Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26195 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. I, 27/09/2021, (ud. 07/07/2021, dep. 27/09/2021), n.26195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21292/2020 proposto da:

U.A., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

in calce al ricorso per cassazione per cassazione, dall’Avv. Maria

Visentin, presso il cui studio in Roma, via Cunfida, n. 16, è

elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, nella persona del Ministro in carica,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato e

domiciliato presso i suoi Uffici siti in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di ROMA n. 435/2020,

pubblicata in data 20 gennaio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 08/07/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 20 gennaio 2020, la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da U.A., nato a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), avverso l’ordinanza del 24 giugno 2018, comunicata il 20 luglio 1018, con la quale il Tribunale di Roma aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.

2. Il richiedente aveva riferito di essere nato e cresciuto a (OMISSIS), nell'(OMISSIS) fino a 22 anni, per poi trasferirsi ad (OMISSIS) per 8 anni e infine a Lagos per 2 anni, dove vendeva vestiti; che era fuggito perché era nato in un villaggio dove si facevano sacrifici umani e che egli, essendo suo padre diventato re, doveva essere sacrificato in quanto primogenito.

3. U.A. ricorre in cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma con atto affidato a quattro motivi.

4. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza e del procedimento, per la violazione del dovere officioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente della Corte di Cassazione (Cass., Sez. U., n. 27310/2008), al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e alla Direttiva 204/83/CE; e, con riguardo specifico alla protezione umanitaria, per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.

1.1 Il motivo è inammissibile per violazione del principio di specificità, dato che il ricorrente lamenta che il Tribunale e la Corte di appello non avevano affermato nulla sulle doglianze relative alla mancata puntuale audizione del ricorrente nel corso del primo grado di giudizio (cfr. pag. 3 del ricorso), ma nella sentenza impugnata, a pag. 5, si legge che le dichiarazioni dell’istante sono desumibili dall’audizione resa dinanzi al tribunale ed un ulteriore riferimento al racconto reso dal ricorrente al tribunale emerge a pag. 3, terzo rigo, del provvedimento impugnato. Ancora, il ricorrente fa riferimento, alle pagine 3 e 4 del ricorso, al libero interrogatorio, nel corso del quale l’istante aveva cercato di spiegare la propria situazione al giudice, che tuttavia non risulta essere stato disposto dai giudici di secondo grado.

1.2 Va precisato, in proposito, che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (Cass., 3 febbraio 2020, n. 2355).

1.3 Non sussiste, poi, la denunciata contraddittorietà della motivazione in tema di protezione umanitaria, poiché la Corte distrettuale ha evidenziato, alla stregua delle acquisite informazioni, alle pagine 13 e 14 del provvedimento impugnato, l’assenza di criticità nel Paese di provenienza del richiedente ((OMISSIS), (OMISSIS)) ed ha escluso la sussistenza di situazioni di vulnerabilità soggettiva derivante da grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di provenienza.

1.4 E ciò senza prescindere dal principio pure affermato da questa Corte secondo cui l’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza dovrà proiettare – per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza – un riflesso individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata tutela protettiva umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti né rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali, ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna, che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errato/omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale nonché delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente.

2.1 Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente censura la valutazione di non credibilità della sua vicenda personale, sollecitando, inammissibilmente, la rivalutazione di un apprezzamento di merito, che, nel caso di specie, è stato idoneamente motivato e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

La Corte di appello ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, peraltro con ragioni del decidere che non sono state minimamente censurate dal ricorrente, affermando che il richiedente aveva evidenziato un timore soggettivo di essere perseguitato che non poteva integrare un rischio effettivo di essere perseguitato, in mancanza di riscontri concreti in circostanze di fatto ed accadimenti che potessero dare corpo a fondate paure e ciò anche alla luce dei report sulle religioni tradizionali in (OMISSIS) che non riscontravano che i praticanti di tali religioni eseguissero sacrifici umani, ma soltanto sporadici sacrifici animali e che, anche quello prodotto dal ricorrente, riportava di sacrifici umani da parte degli Igbo nella diversa ipotesi di tumulazione di un capo e non della nomina del re (cfr. pag. 6 del provvedimento impugnato).

3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 14 per la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine.

3.1 n motivo è inammissibile perché non censura specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, avendo la Corte territoriale ritenuto la genericità dell’appello che sul punto si era limitato a richiamare la produzione documentale del sito “Viaggiare sicuri” e ad esporre in maniera generale e astratta l’instabilità socio-politica della (OMISSIS) (peraltro, a pag. 5 del ricorso per cassazione, si riferisce una provenienza senegalese del richiedente) e la violazione in quello Stato dei diritti umani, e non aveva indicato alcun rischio reale ed effettivo di subire un grave danno in caso di rimpatrio.

3.2 Ancora il motivo è inammissibile perché non coglie il segno per difetto di specificità e pertinenza rispetto alla “ratio decidendi”, avendo la Corte rigettato la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b), per la scarsa verosimiglianza del racconto, ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente.

3.3 Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato rilevante ai fini del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della (OMISSIS) ((OMISSIS)), giudizio quest’ultimo inibito alla Corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata, alle pagine 13 e 14 del provvedimento impugnato, in base alla COI redatta dall’EASO ed aggiornata a novembre 2018, in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nella zona di provenienza del richiedente non si assisteva ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma di riferimento.

3.4 Anche le fonti richiamate dal ricorrente nel ricorso per cassazione, lungi dal riscontrare che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre fonti più aggiornate e decisive, confermano che la (OMISSIS) e, in particolare, l'(OMISSIS), in cui l’istante aveva vissuto, posto a sud della (OMISSIS), è un paese che, per quanto caratterizzato da instabilità socio-politiche, non è soggetto a un livello di violenza generalizzata ed indiscriminata, essendo l’attività del gruppo fondamentalistico islamico denominato (OMISSIS) localizzata al nord del paese.

3.5 In ogni caso, è utile precisare che il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), ricorre in situazione in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati antagonisti, o nella quale due o più gruppi armati si contendono tra loro il controllo militare di un dato territorio, purché detto conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza – tenuto conto dell’impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili, della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche, della generalizzazione o, invece, localizzazione del combattimento, del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento – correrebbe individualmente, per la sua sola presenza su quel territorio, la minaccia contemplata dalla norma (Cass., 2 marzo 2021, nn. 5675 e 5676).

4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché dello stesso D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel Paese d’origine o che vi possa correre gravi rischi, anche in relazione al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, e alla L. n. 110 del 2017, che ha introdotto il reato di tortura e ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e all’art. 3 CEDU; nonché l’omesso esame dell’art. 10 Cost.

4.1 Anche il quarto motivo è inammissibile.

4.2 Ed infatti le deduzioni del ricorrente in materia di protezione umanitaria risultano del tutto generiche e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che mentre il,ricorrente lamenta la mancata valutazione della documentazione che la Corte avrebbe affermato non essere stata depositata (pag. 29 del ricorso), i giudici di secondo grado hanno evidenziato, a pag. 14 del provvedimento impugnato, che i documenti sui corsi di apprendimento della lingua italiana e sulla partecipazione al volontariato per la cura del verde, prodotti il 15 gennaio 2020, non erano rilevanti.

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

 

 

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