Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26194 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. I, 27/09/2021, (ud. 08/07/2021, dep. 27/09/2021), n.26194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26569/2020 proposto da:

Z.L., elettivamente domiciliato in Roma Viale G. Mazzini, 6

presso lo studio dell’avvocato Agnitelli Manuela, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 118/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/07/2021 da Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

RILEVATO

– che viene proposto ricorso, sulla base di cinque motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma dell’8.1.2020, che ha respinto l’impugnazione avverso la decisione di primo grado, a sua volta reiettiva del ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

Diritto

CONSIDERATO

– che il ricorso deduce:

1) violazione dell’art. 9 Cedu, art. 1 Conv. Ginevra del 1951, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3,7,9, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, per non avere la corte d’appello valutato i presupposti per lo status di rifugiato, che essa avrebbe dovuto comunque considerare, non potendosi applicare il principio della corrispondenza del chiesto al pronunciato;

2) violazione dell’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per difetto di cooperazione istruttoria, avendo la corte del merito utilizzato le COI, ma solo in via sussidiaria esaminato i documenti della ricorrente, in particolare il parere redatto da due professori, ed avendo ritenuto ingiustificatamente che la ricorrente non è credibile;

3) violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., avendo la corte territoriale esposto una motivazione contraddittoria sulle risultanze istruttorie, quando ha ritenuto non credibile la richiedente;

4) violazione degli artt. 8-9 Cedu, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3-4, e difetto di motivazione, non avendo la corte territoriale concesso la protezione umanitaria, pur non valutando la situazione soggettiva e oggettiva della richiedente, essendovi una evidente compromissione del diritto alla libertà religiosa, mentre in Italia svolge una attività lavorativa;

– che la corte d’appello ha ritenuto la richiedente – cittadina (OMISSIS), la quale narra di essere fuggita per timore di conseguenze derivanti dalla sua appartenenza al credo religioso della (OMISSIS) – non è credibile, ampiamente argomentandone le ragioni; anche con riferimento alla circostanza relativa al passaporto che la richiedente era riuscita ad ottenere per potere fuggire dalla (OMISSIS), la corte territoriale ha messo in evidenza, con motivazione condivisibile, che l’avvenuto rilascio del passaporto da parte delle autorità cinesi consente di escludere che la stessa fosse schedata per motivi religiosi;

– che il giudice del merito ha, dunque, ritenuto insussistenti i presupposti normativi per la protezione sussidiaria, ritenendo il racconto, da un lato, non credibile, e dall’altro lato, non idoneo, dato il narrato, a rivelare la sussistenza dei presupposti previsti per la concessione delle forme di protezioni richieste, evidenziando come dalle stesse dichiarazioni rese risultino insussistenti i presupposti giuridici richiesti per riconoscere la protezione sussidiaria;

– che, quanto all’art. 14, lett. c), dopo ampio esame delle fonti, ha escluso del pari la ricorrenza dei relativi presupposti;

– che, infine, il giudice del merito ha rilevato l’assenza di ogni deduzione di profili di vulnerabilità integranti il presupposto della protezione umanitaria, in quanto viene allegata una mera partecipazione a funzioni religiose o l’insegnamento della lingua (OMISSIS), senza palesare l’inserimento in un percorso lavorativo o alcun radicamento, né sussistendo il rischio di vedere nel suo paese sacrificati i diritti fondamentali, in caso di rimpatrio;

– che, ciò posto, il primo motivo è inammissibile, in quanto confonde le censure di omesso esame e di omessa pronuncia: laddove la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consiste nella circostanza che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), mentre, nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione; in particolare, questa Corte ha già chiarito – con principio che qui si intende ribadire – come l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, , nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 16 marzo 2017, n. 6835; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23930); senza doversi, dunque, considerare il pur sussistente principio dell’onere di impugnazione anche nelle cause di protezione internazionale;

– che i motivi secondo e terzo sono manifestamente inammissibili, in quanto intendono ripetere il giudizio sul fatto;

– che il giudice del merito ha adeguatamente motivato il convincimento di non credibilità della richiedente: al riguardo, questa Corte ha ormai chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico della richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass., ord. 30 ottobre 2018, n. 27503) e che “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; v. pure Cass., ord. 5 febbraio 2019, n. 3340); ed il giudizio di attendibilità del richiedente è giudizio sul fatto, non riproponibile in sede di legittimità;

– che, in particolare, il giudice del merito, nell’apprezzamento della credibilità del racconto del richiedente, si è attenuto di fatto al principio di procedimentalizzazione legale della decisione avendo operato la propria valutazione, alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, prendendo in considerazione, con delibazione non atomistica ma complessiva, tutte le circostanze dedotte in giudizio, mentre le censure mosse con il ricorso (che non mettono in rilievo ulteriori e decisivi elementi di fatto la cui valutazione sarebbe stata pretermessa) sono orientate piuttosto a criticare l’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, costituente però quaestio facti;

– che va altresì ribadito il principio consolidato, secondo cui è manifestamente inammissibile la doglianza concernente il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), atteso che, in presenza delle dichiarazioni inattendibili dello straniero, neppure occorre un approfondimento istruttorio officioso in riferimento all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui alle citate disposizioni (cfr. Cass. n. 6897/2020; Cass. n. 7912/2021; Cass. n. 27503/2018 e Cass. n. 21142/2019); mentre il giudice del merito, in mancanza della deduzione di qualsiasi situazione oggettiva del paese di provenienza, integrante la fattispecie di riconoscimento della protezione di cui alla lett. c) del citato art. 14, correttamente può compiere una valutazione circa la stessa assenza, in astratto, di tale allegazione del richiedente;

– che, del pari, quanto all’ultimo motivo, il giudice del merito ha puntualmente esaminato le condizioni della richiedente, evidenziando come il medesimo non ebbe a dedurre nessuna situazione particolare di sua specifica vulnerabilità (cfr. Cass. n. 9304/19), né tale allegazione sussiste oggi;

– che, avendo il giudice del merito compiutamente approfondito l’esame in fatto della situazione nel rispetto dei principi enunciati da questa Corte in materia ed esponendo le ragioni per le quali ha reputato il richiedente privo dei requisiti idonei al riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria, nessuna censura può essere promossa in questa sede, trattandosi, per l’appunto, di valutazioni fattuali non sindacabili dinanzi al giudice di legittimità (cfr., in termini, Cass. n. 4053, 4054 e 4055 del 2020; n. 1777 e 1778 del 2020; n. 21283 del 2019);

– che non occorre provvedere sulle spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

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