Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26194 del 22/11/2013
Civile Sent. Sez. 6 Num. 26194 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO
equa riparazione
SENTENZA
motivazione
semplificata
sentenza con
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,
pro
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, presso
cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– ricorrente contro
BEATRICE Luigi (BTR LGU 39M01 A783J), rappresentato e
difeso da se medesimo ai sensi dell’art. 86 cod. proc.
civ., elettivamente domiciliato in Roma, via Nomentana n.
91, presso lo studio dell’Avvocato Giovanni Beatrice;
– controricorrente –
grzol
i
Data pubblicazione: 22/11/2013
avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato
il 20 luglio 2011.
Udita
la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
sentito
il P.M.,
in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto
che, con ricorso depositato il
10 febbraio
2008 presso la Corte d’appello di Roma, Beatrice Luigi ha
chiesto la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di
una procedura fallimentare iniziata il 15 febbraio 1996
dinnanzi al Tribunale di Benevento, nell’ambito della quale
egli aveva presentato istanza di ammissione al passivo per
un credito di natura professionale il 14 ottobre 1998, ed
ancora pendente alla data di proposizione della domanda;
che l’adita Corte d’appello, stimata in quattro anni la
durata ragionevole della procedura fallimentare e
determinato in cinque anni il periodo di irragionevole
durata, ha riconosciuto il diritto del ricorrente ad un
indennizzo di 7.500,00, computato sulla base del criterio
di 1.500,00 euro per anno di ritardo, oltre agli interessi
legali dalla domanda e alle spese legali;
Stefano Petitti;
che il Ministero della giustizia ha proposto ricorso
per la cassazione di questo decreto, affidato a tre motivi,
cui l’intimato ha resistito con controricorso.
Considerato
che il collegio ha deliberato l’adozione
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso, il Ministero
ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, dolendosi del fatto
che la Corte abbia ritenuto la procedura fallimentare di
modesta complessità, peraltro senza adeguata motivazione,
mentre nella giurisprudenza di legittimità si ritiene che
la durata ragionevole delle procedure fallimentari debba
essere determinata tra i cinque e i sette anni;
che con il secondo motivo il ministero deduce vizio di
motivazione sia in ordine alla durata ritenuta ragionevole,
sia in ordine al quantum della liquidazione, essendosi la
Corte d’appello immotivatamente discostata dal criterio di
750,00 euro per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00
euro per ciascuno degli anni successivi;
con il terzo motivo il Ministero denuncia violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, dolendosi del fatto
che la Corte d’appello abbia riconosciuto gli interessi
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della motivazione semplificata nella redazione della
dalla domanda pur in mancanza di esplicita domanda in tal
senso;
che deve preliminarmente essere disattesa la richiesta
di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per
Procura generale sul rilievo che il ricorso è stato
confezionato con la tecnica della spillatura;
che, in contrario, è sufficiente rilevare che il
ricorso presenta una tecnica di redazione complessa, che
non si risolve nella mera spillatura di tutti gli atti del
giudizio presupposto, ma si articola nella ricostruzione
della vicenda processuale, nell’inserimento del testo del
decreto impugnato e nella esposizione di singoli motivi di
censura calibrati sulle questioni esaminate nel decreto
impugnato, sicché deve ritenersi che il ricorso stesso
superi il preliminare vaglio di ammissibilità formale;
che, sempre in via preliminare, vanno disattese le
eccezioni di tardività e improcedibilità del ricorso;
che, quanto alla eccepita tardività del ricorso, deve
rilevarsi che, essendo stato il decreto impugnato
depositato il 20 luglio 2011, il termine di un anno
(trattandosi di procedimento iniziato prima del 4 luglio
2009) veniva a scadere sabato 20 ottobre 2012, con la
conseguenza che la notificazione effettuata il successivo
lunedì 22 ottobre deve ritenersi tempestiva;
violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., formulata dalla
che quanto alla eccepita carenza di esposizione
sommaria dei fatti, la stessa deve ritenersi non
sussistente, rinvenendosi nel ricorso tutte le indicazioni
idonee a comprendere lo svolgimento del processo e le
che, quanto alla eccepita improcedibilità per mancata
indicazione dei documenti, la stessa appare insussistente
atteso che alla relazione del curatore viene fatto
riferimento nel provvedimento impugnato;
che, venendo al merito, il Collegio ritiene che i primi
due motivi, da esaminare congiuntamente in considerazione
della connessione delle censure proposte, siano fondati;
che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è
chiarito che «in tema di equa riparazione per la violazione
del termine di durata ragionevole del processo, a norma
dell’art. 2, coma secondo, della legge n. 89 del 2001, la
durata delle procedure fallimentari, secondo lo standard
ricavabile dalle pronunce della Corte europea dei diritti
dell’uomo, è di cinque anni nel caso di media complessità
e, in ogni caso, per quelle notevolmente complesse – a
causa del numero dei creditori, la particolare natura o
situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni
societarie, beni indivisi, ecc.), la proliferazione di
giudizi connessi o la pluralità di procedure concorsuali
interdipendenti – non può superare la durata complessiva di
questioni dedotte;
sette anni» (Cass. n. 8468 del 2012; Cass. n. 9254 del
2012);
che la Corte d’appello, pur riferendo delle difficoltà
occorse nella individuazione dei beni del fallimento e
senza alcuna specifica motivazione sul punto, la
ragionevole durata della procedura in anni quattro, in
contrasto con l’indicato principio;
che appare immotivata anche la individuazione del
parametro di liquidazione, atteso che la Corte territoriale
si è discostata dal criterio ordinario di liquidazione
senza addurre alcuna motivazione idonea a giustificare
l’adozione del diverso criterio;
che l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso
comporta la cassazione del decreto impugnato, con
assorbimento del terzo motivo, dovendo la Corte d’appello
di Roma procedere a nuovo esame della domanda alla luce
degli indicati principi e colmando le rilevate lacune
motivazionali;
che alla Corte d’appello di Roma, in diversa
composizione, è demandata anche la regolamentazione delle
spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di
ricorso, assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato e
nella liquidazione degli stessi, ha tuttavia determinato,
rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità,
alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione. .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.