Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26194 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 14/06/2018, dep. 18/10/2018), n.26194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16139-2012 proposto da:

FINMECCANICA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAISIELLO n.

33, presso lo studio dell’avvocato STUDIO LEGALE TRIBUTARIO DI TANNO

E ASSOCIATI, rappresentata e difeso dagli avvocati ROSAMARIA

NICASTRO e STEFANO PETRECCA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n.12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n.304/2011 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 09/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato ROSAMARIA NICASTRO per parte ricorrente, che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’avvocato dello Stato

ALFONSO PELUSO per parte controricorrente, che ha concluso per il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Ufficio Distrettuale Imposte Dirette Napoli, oggi soppresso, notificava alla Ansaldo Trasporti Spa il 27.12.1999 un avviso di accertamento per l’anno di imposta 1993 formulando tre contestazioni: (1) indeducibilità delle spese per un collegio arbitrale anticipate dalla società in ragione del 50% del totale, per Lire 882.500.000; (2) indebita deduzione dal reddito dell’esercizio dell’importo di Lire 4.038.874.676 quale quota di ammortamento dell’avviamento iscritto in bilancio a seguito della incorporazione della società Wabco Westinghouse Compagnia Italiana Segnali Spa; (3) indebita variazione in diminuzione di Lire 50.643.000.000 apportata dalla ricorrente per neutralizzare fiscalmente ex art. 44, comma 1 T.U.I.R., nella formulazione vigente all’epoca del fatto, la somma di pari importo accreditata nel conto economico del bilancio chiuso al 31.12.1993 alla voce “altri proventi da partecipazione” che la società aveva ricevuto dalla sua partecipata statunitense Union Switch & Signal a titolo di restituzione del sovrapprezzo versato dai sottoscrittori in seguito ad una offerta pubblica di aumento del capitale finalizzata a quotare la predetta partecipata sul mercato americano.

La ricorrente impugnava il predetto accertamento e la Commissione Tributaria Provinciale annullava in particolare il terzo rilievo, che interessa il presente giudizio, sul presupposto che ai sensi dell’art. 44 T.U.I.R. la distribuzione di un sovrapprezzo di emissione non concorre alla formazione del reddito, ma riduce soltanto il valore fiscale della partecipazione.

L’ufficio ricorreva in appello e la Commissione Tributaria Regionale con sentenza del 2003 confermava la sentenza appellata. L’ufficio ricorreva ancora in Cassazione e questa Corte, con sentenza n. 14023/2009, pur confermando l’irrilevanza ai fini reddituali della somma in contestazione, la riteneva invece rilevante ai fini patrimoniali, in quanto il premio di emissione, rappresentato dalla differenza tra prezzo effettivo di emissione e valore nominale della partecipazione, evidenzia un incremento di valore di quest’ultima, che dovrà poi essere tassato nel momento in cui esso si tradurrà in una plusvalenza, da calcolarsi mediante abbattimento del costo di acquisto della partecipazione in ragione del sovrapprezzo realizzato. Pertanto la ricorrente avrebbe dovuto, sempre secondo questa Corte, indicare la somma sia nel conto economico che nello stato patrimoniale, poichè diversamente la neutralizzazione dell’operazione in conto economico avrebbe, di fatto, comportato l’impossibilità di operare la tassazione in seguito, all’atto della realizzazione dell’effettiva plusvalenza. Nel caso di specie, la società non aveva riportato in alcun modo l’operazione nello stato patrimoniale, in tal modo implicitamente rinunciando al trattamento fiscale speciale previsto dall’art. 44 T.U.I.R. e considerando la posta in esame come utile di esercizio e non come costo di partecipazione. Di conseguenza, questa Corte individuava una ipotesi di elusione fiscale, realizzata mediante il doppio artificio contabile rappresentato da un lato dall’iscrizione in conto economico della variazione in diminuzione che azzera la posta sotto il profilo reddituale, e dall’altro lato dall’omessa registrazione della riduzione del costo della partecipazione nello stato patrimoniale.

Su tali presupposti, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale veniva cassata e il giudizio era riassunto, ad istanza della società ricorrente, nei termini di legge. In particolare, la ricorrente assumeva che, per effetto della qualificazione della posta come utile di esercizio, operata da questa Corte con la sentenza di rinvio, essa dovesse essere tassata secondo il regime previsto per detti utili al momento dei fatti, e quindi (in base all’art. 96 e art. 115, comma 2 T.U.I.R.) nella misura del 40% ai fini Irpeg e con esenzione assoluta ai fini Ilor. Inoltre la ricorrente invocava D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 8 la disapplicazione delle sanzioni per oggettiva incertezza sula portata dell’art. 44 T.U.I.R.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 304/1/11, la Commissione Tributaria Regionale ravvisava la formazione del giudicato interno sui primi due rilievi operati dall’ufficio con l’avviso di accertamento impugnato ed accoglieva l’appello dell’ufficio sul terzo, osservando che la questione relativa alla tassazione della posta ai sensi degli artt. 96 e 115 T.U.I.R. non era mai stata proposta dalla ricorrente nei precedenti gradi del giudizio e non poteva quindi trovare ingresso in sede di rinvio, non rappresentando un adeguamento della tesi difensiva imposto dalla sentenza di rinvio. Respingeva altresì la richiesta di disapplicazione delle sanzioni, ritenendo in astratto il relativo potere esercitabile anche di ufficio, ma escludendone in concreto i presupposti alla luce del fatto che la sentenza di rinvio aveva ritenuto la natura elusiva dell’appostamento contabile operato dalla ricorrente.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza il contribuente affidandosi a tre motivi.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato-disposto dell’art. 44,art. 96, comma 1 e art. 115, comma 2 T.U.I.R., vigenti ratione temporis, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto la Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente ritenuto coperta da giudicato interno la questione relativa alla tassazione della posta attiva di cui è causa come utile di esercizio proveniente da partecipata estera, senza considerare che essa derivava direttamente dalla qualificazione fornita dalla sentenza di rinvio di questa Corte. Ad avviso della ricorrente, poichè con detta sentenza era stato affermato il principio secondo cui la mancata riduzione del costo della partecipazione nello stato patrimoniale del bilancio di esercizio della società comportava implicita rinuncia alla tassazione prevista dall’art. 44 T.U.I.R., nel testo applicabile ratione temporis, con conseguente necessità di trattare la posta attiva come utile di esercizio applicandovi la tassazione prevista dalla legge, la deduzione dell’applicabilità al caso di specie del regime per la tassazione degli utili da partecipate non residenti previsto dagli artt. 96 e 115 T.U.I.R. era stata legittimamente e tempestivamente dedotta nel giudizio di rinvio.

Con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe adeguatamente dato conto, nella sentenza impugnata, delle ragioni per le quali la questione concernente l’applicabilità al caso di specie della tassazione prevista dagli artt. 96 e 115 T.U.I.R. non rientrasse tra quelle utilmente deducibili in sede di rinvio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63. Ad avviso della ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto rilevare che la difesa rappresentava una diretta conseguenza della sentenza di rinvio, con la quale questa Corte aveva restituito la causa al giudice del merito proprio per consentire l’individuazione del corretto regime fiscale applicabile alla fattispecie. La questione, inoltre, non avrebbe potuto essere dedotta sin dalla prima impugnazione dell’avviso di accertamento, il quale non aveva esplicitato in alcun modo l’assimilazione della riserva sovrapprezzo ad una riserva di utili.

Le due censure, che per la loro connessione vanno trattate congiuntamente, sono fondate.

Ed invero la sentenza di questa Corte n.14023/2009 ha affermato che “… per beneficiare del regime di sottrazione al prelievo sugli utili di esercizio e del conseguente rinvio della tassazione, occorre che le somme incassate siano registrate nello stato patrimoniale. La doppia esposizione, tra i componenti attivi e passivi, del bilancio di esercizio, accompagnata dalla omessa registrazione nello stato patrimoniale, costituisce un evidente artificio che sottrae una ricchezza tassabile al prelievo dovuto, ostacolando l’attività di accertamento degli uffici finanziari in ragione della errata contabilizzazione. In sintesi, condizione necessaria e sufficiente perchè le somme di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 44 (nel testo applicabile all’esercizio 1993) non siano sottoposte al regime di tassazione degli utili di bilancio, secondo quanto disposto dal medesimo D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art.44, è che vengano registrate nello stato patrimoniale come riduzione del costo delle partecipazioni. Nella specie, la società non ha adempiuto a tale condizione, bensì ha imputato al bilancio di esercizio la somma in questione, rinunciando sostanzialmente al regime della tassazione rinviata. Ha trattato la somma in questione come un utile di esercizio, e non come una riduzione del costo della partecipazione, così come le consentiva di fare il ripetuto D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 44… Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata al giudice a quo, per la definizione della controversia sulla base del principio di diritto enunciato, con tutte le conseguenze che ne derivano”.

Di conseguenza, la questione concernente l’individuazione del corretto regime di tassazione dell’utile di esercizio costituiva diretta conseguenza della sentenza di rinvio e del principio di diritto in essa affermato.

In argomento, va ribadito che “Nel contenzioso tributario (così come nel processo di cognizione ordinaria), il giudizio di rinvio è un processo chiuso, in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese, nè formulare difese che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, sì da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale” (Cass. Sez.6-5, Ordinanza n.18600 del 21/09/2015, Rv. 636302; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n.26200 del 12/12/2014, Rv. 633434).

Deve tuttavia ritenersi ammessa, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 4, la proposizione di nuove tesi difensive che non siano tali da alterare completamente il tema di decisione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15330 del 04/07/2014, Rv. 631566), come ad esempio l’allegazione dell’avvenuta fruizione del condono, sul presupposto che essa “si identifica in un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa”: Cass. Sez.6-5, Ordinanza n.4938 del 27/03/2012, Rv.622232). In applicazione del medesimo principio si ritiene che – pur non essendo di regola ammesse nel giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 394 c.p.c., comma 3, nuove prove, ad eccezione del giuramento decisorio – “nel caso in cui la sentenza d’appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perchè ritenuti erroneamente privi di rilievo, sono ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3” (Cass. Sez. 2, Sentenza n.16180 del 26/06/2013, Rv.626979; conf. Cass, Sez. 6-5, Ordinanza n.9768 del 18/04/2017, Rv.643805).

Non è quindi configurabile nel caso di specie il giudicato interno erroneamente ravvisato dalla Commissione Tributaria Regionale, poichè la questione relativa all’individuazione del corretto regime per la tassazione dell’utile di esercizio derivante da partecipata estera non residente costituiva proprio l’oggetto del giudizio di rinvio conseguente alla sentenza di questa Corte n.14023/2009. D’altro canto, va osservato che la difesa in esame costituisce un quid minus rispetto ai motivi di impugnazione originariamente formulati dalla società ricorrente, che avevano ad oggetto la pretesa tributaria nel suo complesso, onde anche sotto questo profilo non è possibile ravvisare alcun giudicato interno.

Da quanto precede discende l’accoglimento del primo e secondo motivo, con conseguente rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del presente grado di giudizio.

Va invece considerato assorbito il terzo motivo, con il quale la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 44 nella versione vigente ratione temporis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto ammettere la società ricorrente al beneficio della disapplicazione delle sanzioni, stante la novità della disposizione di cui all’art. 44 T.U.I.R. (introdotto con D.L. n. 557 del 1993, convertito in L. n. 133 del 1994), l’assenza di orientamento definito su di essa e la circostanza che la società ricorrente si era adeguata al dato letterale della norma, optando per l’interpretazione più conforme a quest’ultimo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso, dichiarando assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione quinta Civile, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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