Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26192 del 22/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26192 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

CAREDDU Giorgio (CRD GRG 681)08 L140K) e FAEDDA Antonio (FDD
NTN 66E29 I45214), rappresentati e difesi, per procura
speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Pietro L.
Frisani, presso lo studio del quale in Roma, Piazza del
Popolo n. 18, sono elettivamente domiciliati;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro

pro tempore,

rappresentato e difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente –

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Data pubblicazione: 22/11/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Ancona
depositato il 13 marzo 2012.
Udita

la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

sentito

il P.M.,

in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Ritenuto che con ricorso in riassunzione, depositato il
19 gennaio 2011 presso la Corte d’appello di Ancona,
Careddu Giorgio e Faedda Antonio chiedevano la condanna del
Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento
dell’indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001, per il
danno non patrimoniale subito per effetto della
irragionevole durata di un giudizio amministrativo iniziato
dinnanzi al TAR Emilia-Romagna con ricorso depositato il 12
luglio 1995 e conclusosi con decreto di perenzione del 27
marzo 2009;
che l’adita Corte d’appello riteneva che il giudizio
presupposto – che non presentava profili di complessità avesse avuto una durata irragionevole di 10 anni e otto
mesi, detratta la durata fisiologica triennale;
che quanto alla liquidazione dell’indennizzo, la Corte
territoriale riteneva che ai ricorrenti dovesse essere
riconosciuto nella misura di euro 2.900,00, applicando un

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Stefano Petitti;

criterio riduttivo di 300,00 euro per anno di ritardo in
considerazione della mancanza di specifiche indicazioni, da
parte dei ricorrenti, in ordine alla rilevanza economica
dell’eventuale accoglimento della domanda dinnanzi al

istanze di prelievo pur dopo l’attivazione nei loro
confronti del procedimento di cui all’art. 9, comma 5,
della legge n. 205 del 2000, e del rigetto nel merito della
domanda con riferimento ad uno dei ricorrenti;
che per la cassazione di questo decreto Careddu Giorgio
e Faedda Antonio hanno proposto ricorso sulla base di tre
motivi;
che l’intimata amministrazione ha resistito con
controricorso.
Considerato

che il collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti
lamentano violazione dell’art. 2, comma 3, della legge n.
89 del 2001, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e agli
artt. 6, par. 1, della CEDU e 360 n. 3 cod. proc. civ.;
violazione di norma di diritto con riferimento alla
liquidazione del danno non patrimoniale in maniera ridotta
di oltre la metà degli

standards

di riferimento della CEDU

per la eccessiva durata di un procedimento amministrativo

giudice amministrativo, della tardiva presentazione delle

protrattosi per oltre dieci anni per la proposizione di
istanza di prelievo a distanza di molti anni dalla
proposizione del ricorso e per la mancata attivazione della
procedura dopo la ricezione dell’avviso di cui all’art. 9,

che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione delle medesime disposizioni, censurando in
particolare il decreto impugnato nella parte in cui si
afferma che la determinazione del danno in termini così
riduttivi era giustificata dalla mancata specifica
indicazione della effettiva incidenza in termini economici
dell’eventuale accoglimento del ricorso giurisdizionale
amministrativo;
che con il terzo motivo i ricorrenti deducono vizio di
motivazione con riferimento alla ritenuta carenza di
interesse alla rapida definizione del giudizio presupposto
desunta dalla Corte d’appello dalla mancata presentazione
di istanze di prelievo e dalla perenzione del giudizio, pur
se nel corso degli anni erano state presentate istanze
sollecitatorie e la pronuncia di perenzione era stata da
loro impugnata;
che il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati
congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è
fondato;

comma 5, della legge n. 205 del 2000;

che infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la

indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo
scostamento dagli ordinari criteri di determinazione
dell’indennizzo facendo riferimento alla non specifica
indicazione della rilevanza economica del giudizio
presupposto e alla tardiva presentazione della istanza di
prelievo;
che lo scostamento operato dalla Corte territoriale,
pur se motivato con riferimento ad elementi suscettibili di
assumere rilievo ai fini della determinazione

liquidazione sia satisfattiva di un danno e non

dell’indennizzo, appare non ragionevole, essendo la Corte
pervenuta al riconoscimento di un indennizzo quasi
simbolico e comunque non idoneo ad assicurare un adeguato
ristoro delle sofferenze morali normalmente indotte nella

che in proposito, occorre rilevare che, con riferimento
ai giudizi amministrativi di durata irragionevole, questa
Corte, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo (decisioni Volta et autres c.
Italia, del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia, del
6 aprile 2010; Cass., 18 giugno 2010, n. 14753; Cass., 10
febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13 aprile 2012, n. 5914), è
solita liquidare un indennizzo che corrisponde a circa
500,00 euro per anno di irragionevole durata;
che il ricorso deve quindi essere accolto, con
conseguente cassazione del decreto impugnato;
che

non essendo

tuttavia necessari

ulteriori

accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che, invero, avuto riguardo alla accertata violazione
della ragionevole durata del giudizio presupposto per dieci
anni e otto mesi – accertamento, questo, che non ha formato
oggetto di censura – e alla natura del giudizio
presupposto, a ciascuno dei ricorrenti va riconosciuto un

parte dalla pendenza prolungata di un giudizio;

indennizzo che va liquidato in euro 5.500,00 sulla base
dell’indicato parametro di 500,00 euro per anno di ritardo;
che il Ministero dell’economia e delle finanze va
dunque condannato al pagamento, in favore di Careddu

ciascuno, oltre agli interessi legali dalla data della
domanda al saldo;
che il Ministero deve essere altresì condannato al
pagamento delle spese dell’intero giudizio, che si
liquidano in dispositivo, avuto riguardo alla operata
rideterminazione dell’importo dovuto alla ricorrente;
che le spese, come liquidate, devono essere distratte
in favore del difensore della ricorrente, Avvocato Pietro
L. Frisani, per dichiarato anticipo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto
impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero
dell’economia e delle finanze al pagamenti, in favore di
Careddu Giorgio e Faedda Antonio, della somma di euro
5.500,00 ciascuno, oltre agli interessi legali dalla data
della domanda al saldo; condanna altresì il Ministero al
pagamento delle spese dell’intero giudizio, che liquida,
quanto al grado di merito, in euro 873,00, di cui euro
50,00 per esborsi, euro 445,00 per diritti ed euro 378,00
per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di

Giorgio e Faedda Antonio, della somma di euro 5.500,00

legge, e, quanto al giudizio di legittimità, in euro 292,50

per compensi, oltre ad euro 100,00 per esborsi e agli
accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese,
come liquidate, in favore del difensore dei ricorrenti,

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.

Avvocato Pietro L. Frisani, per dichiarato anticipo.

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