Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2619 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. II, 04/02/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 04/02/2021), n.2619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5398/2016 proposto da:

R.V., F.M.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 8, presso lo studio dell’avvocato SERGIO

FALCONE, rappresentati e difesi dall’avvocato PIERFRANCESCO RINA;

– ricorrenti –

contro

D.B.M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE

DEI PARIOLI 76, presso lo studio dell’avvocato ANGELA MENSITIERE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE GELSOMINO;

– controricorrente –

e contro

D.B.T.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3209/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DE RENZIS Luisa, che

ha concluso per il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato Roberto Coen, per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda proposta da D.B.M.C., quale erede di V.J., con la quale aveva chiesto la condanna di R.V. e F.M. al pagamento del residuo prezzo relativo all’immobile da costoro acquistato e in relazione al quale la proprietaria, V.J., aveva dato mandato a vendere a D.B.T. e per l’effetto aveva condannato i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 30.987,41.

2. R.V. e F.M. proponevano appello avverso la suddetta sentenza.

3. La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione ritenendo che non vi fosse alcun vizio di ultrapetizione in quanto l’attrice, nel chiedere il pagamento del saldo del prezzo riportato dal contratto preliminare, pur dopo la stipula del definitivo, aveva implicitamente dedotto la simulazione del prezzo inferiore, quale risultante dal rogito ed integralmente quietanzato.

Inoltre, la Corte d’Appello evidenziava che in base alla giurisprudenza di legittimità il mandante, non partecipe ed ignaro dell’accordo simulatorio, il quale agisca per la dichiarazione di simulazione della quietanza relativa all’avvenuto pagamento del prezzo, in relazione ad una vendita posta in essere dal suo mandatario con rappresentanza, è da considerarsi terzo rispetto al contratto con la conseguenza che egli può fornire la prova della simulazione senza limiti, ai sensi dell’art. 1417 c.c. e, quindi, sia a mezzo testimoni, sia a mezzo di presunzioni, dovendosi inoltre escludere che, in dipendenza della natura di confessione stragiudiziale della quietanza, possano valere, riguardo alla sua posizione, i limiti di impugnativa della confessione stabiliti dall’art. 2732 c.c., che trovano applicazione esclusivamente nei rapporti tra il mandatario il preteso simulato acquirente.

Nella specie non erano emersi elementi probatori per ritenere che la dante causa dell’attrice fosse a conoscenza della veridicità o meno della quietanza rilasciata da D.B.T., suo mandatario nel rogito intercorso con gli acquirenti, tenuto conto anche del contenuto della procura a vendere rilasciata, laddove il rappresentante era autorizzato a fissare e convenire l’ammontare del prezzo ritenuto equo. Inoltre, la posizione dell’erede della mandante D.B.M.C. era sicuramente la medesima della propria dante causa. Sotto tale profilo correttamente il giudice aveva ammesso la prova per interrogatorio formale e per testimoni anche sulla simulazione della quietanza relativa al prezzo.

4. La Corte d’Appello, pertanto, esaminate le risultanze istruttorie, in particolare le testimonianze rese nel giudizio di primo grado, rigettava tutti i motivi di appello e confermava la sentenza.

5. R.V. e F.M.R. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

6. D.B.M.C. ha resistito con controricorso.

7. All’adunanza camerale del 9 gennaio 2020 il collegio ha ritenuto di rimettere la causa alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione per avere la Corte di merito presunto una domanda giudiziale in aperta violazione del principio dispositivo della domanda, del contraddittorio e del più generale diritto di difesa (art. 102 c.p.c. e art. 25 Cost.), e comunque error in giudicando per illogica, contraddittoria e insufficiente motivazione sul punto decisivo per la controversia, essendosi la Corte limitata a dire che la D.B. in prime cure aveva implicitamente dedotto la simulazione del prezzo.

Il ricorrente ritiene che nel nostro ordinamento non sia ammessa una domanda giudiziale implicita attraverso una semplice deduzione mentre deve essere manifestata la domanda processuale a pena di nullità assoluta dell’atto introduttivo del giudizio. Peraltro, un conto è chiedere il pagamento del residuo prezzo come non pagato è un conto domandare la simulazione del prezzo in atto notarile, contrariamente a quanto ivi dichiarato e alla quietanza liberatoria, da qualificare come confessione stragiudiziale.

1.2 I primo motivo è infondato, in disparte il rilievo di inammissibilità per difetto di specificità, non avendo il ricorrente riportato il contenuto della domanda giudiziale al fine di consentire a questa Corte di poter valutare la censura proposta,

La rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile solo qualora ridondi in un vizio di nullità processuale o ad un vizio attinente alla individuazione del petitum nel qual caso deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, o quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ciò premesso deve ribadirsi che il giudice di merito ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa attorea, senza che, in tale attività interpretativa, rilevino le espressioni utilizzate dalle parti, dovendo per converso prendere in esame il tenore letterale degli atti e la natura delle vicende di fatto rappresentate dalla parte, le precisazioni offerte nel corso del giudizio, il tipo di provvedimento concretamente richiesto” tale interpretazione, se, come nella specie, è immune da vizi logico-giuridici, si sottrae tout court dallo scrutinio del giudice di legittimità (ex multis Cass. n. 5743/2008, Cass. n. 3041/2007, Cass. n. 8107/2006, Cass. n. 18653/2004, Cass. Sez. Un. 10840/2003, Cass. n. 11861/1999).

Il giudice, dunque, deve considerare non solo il tenore letterale degli atti, ma anche la natura delle vicende rappresentate dalla parte, le precisazioni fornite nel corso del giudizio e il provvedimento concreto richiesto e può ritenere implicitamente introdotta perchè compresa nella domanda complessivamente considerata anche un’istanza non espressamente e formalmente proposta purchè si trovi in rapporto di connessione necessaria con il petitum e la causa petendi.

In applicazione dei principi ora esposti la Corte d’Appello ha ritenuto infondato il secondo motivo di appello proposto avverso avverso la sentenza di primo grado avente ad oggetto il vizio di ultrapetizione, sicchè, a prescindere dalla generica formulazione del presente motivo deve escludersi, nella specie, la violazione dell’art. 112 c.p.c., in base alla quale “il giudice deve decidere su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa”.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norma di legge, per avere la Corte di merito erroneamente interpretato le disposizioni di cui agli artt. 1414 c.c. e segg., artt. 2732 e 1391 c.c., comunque error in iudicando per illogica, contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo la corte di merito dato rilevanza ad un accordo simulatorio inesistente e ammesso la parte attrice a provare per testi un prezzo diverso in materia di compravendita di proprietà immobiliare, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

A parere del ricorrente sarebbe del tutto erroneo il riferimento ai rapporti tra mandante e mandatario in tema di simulazione e onere della prova, in quanto nella specie per gli acquirenti della vendita immobiliare non rileverebbero i rapporti interni tra mandante e mandatario.

D.B.T., infatti, era intervenuto nell’atto notarile di compravendita in forza di procura speciale che aveva conferito al medesimo solo un potere di rappresentanza e di spendita del nome della venditrice e cioè solo per sostituirla nella compravendita. Infatti, la procura speciale conferisce solo il potere di rappresentanza e non sottintende necessariamente un mandato. Ne consegue che la quietanza liberatoria sul prezzo di compravendita rilasciata agli acquirenti avrebbe dovuto avere sul piano processuale fede privilegiata e avrebbe dovuto essere impugnata solo con querela di falso. Inoltre, sotto il profilo sostanziale, la quietanza avrebbe natura di confessione stragiudiziale e, dunque, non potrebbe essere superata dalla prova testimoniale a prescindere o meno dall’ammissibilità di detto mezzo istruttorio.

In subordine i ricorrenti evidenziano che la D.B., in qualità di erede testamentaria della V.J., ha chiesto l’adempimento del contratto, comportandosi come parte dello stesso e la Corte, vista l’identità di posizione con la propria dante causa, non avrebbe dovuto ammettere la prova per testi sulla circostanza che la venditrice doveva ancora ricevere, oltre un anno dopo la compravendita, parte del prezzo.

Inoltre, ai sensi del disposto dell’art. 1416 c.c., comma 2, se le parti avessero voluto un contratto diverso da quello stipulato ai fini della validità ed efficacia del contratto dissimulato doveva sussistere la forma scritta ad substantiam trattandosi di vendita di proprietà immobiliare e ciò a prescindere dai limiti processuali sulla prova della simulazione. Dunque, per provare un prezzo diverso era necessaria la forma scritta dell’accordo dissimulato.

In materia di poteri di rappresentanza conferiti con procura speciale ex art. 1391 c.c., nel caso in cui è rilevante lo stato di buona o di malafede, di scienza o di ignoranza di determinate circostanze, si ha riguardo alla persona del rappresentante salvo che si tratti di elementi predeterminati dal rappresentato. Dunque, il ricorrente contesta l’iter motivazionale della corte di merito nella parte in cui sostiene che, nel caso di specie, non vi fossero elementi probatori processuali per ritenere che la dante causa dell’attrice fosse a conoscenza della veridicità o meno della quietanza rilasciata dal D.B.T. suo mandatario. Infatti, gli stati soggettivi rilevano nella persona del rappresentante e il D.B.T., rappresentante della venditrice era ben a conoscenza della veridicità del prezzo della quietanza tanto da rilasciare lui stesso la liberatoria, avendo le parti acquirenti pagato l’intero prezzo.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della disciplina di cui agli artt. 112 c.p.c. e segg., per avere la Corte di merito erroneamente interpretato il materiale probatorio ed istruttorio, comunque error in giudicando per illogica, contraddittoria e insufficiente motivazione sul punto, decisivo della controversia, avendo la Corte di merito dato rilevanza ad un accordo simulatorio inesistente e ammesso la parte attrice di provare per testi un inadempimento nonostante prova scritta dell’adempimento totale (quietanza liberatoria) in materia di compravendita di proprietà immobiliare (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I ricorrenti ritengono che la prova della dilazione del versamento di parte del prezzo non poteva ritenersi raggiunta sulla scorta della dichiarazione di uno dei testimoni che avrebbe suggerito al D.B. di evidenziare con atto scritto che il prezzo era stato integralmente versato al momento dell’erogazione del mutuo. Tale circostanza sarebbe del tutto irrilevante perchè per prassi consolidata il mutuo viene stipulato ed erogato prima della vendita e, contestualmente, in sede di stipula del rogito di compravendita per consentire alla banca di ottenere da tutte le parti il consenso all’iscrizione ipotecaria sull’immobile oggetto del contratto, cosicchè la somma data a mutuo viene resa nella disponibilità giuridica dalla parte venditrice ma materialmente accreditata trascorsi 10 giorni dall’iscrizione ipotecaria per effettuare il cosiddetto consolidamento. Allo stesso modo, la Corte avrebbe travisato anche la testimonianza del notaio rogante.

Peraltro, la Corte assume anche la simulazione della quietanza senza che questa fosse mai stato oggetto della controversia e quindi senza domanda o contraddittorio sulla stessa e in contrasto con l’efficacia superiore della prova scritta rispetto alla prova per testi.

4. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono il secondo infondato e il terzo inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 7246 del 2007, nel risolvere un contrasto insorto nella giurisprudenza delle sezioni, hanno stabilito che la pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto.

La sentenza ha superato il filone giurisprudenziale, sviluppatosi nel corso di un notevole arco di tempo, secondo il quale, nell’ipotesi di simulazione relativa parziale, il contratto conserva inalterati i suoi elementi, ad eccezione di quello interessato dalla simulazione, sicchè, non essendo esso nè nullo nè annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti. Da tale affermazione questo orientamento traeva la conseguenza che la prova per testimoni della simulazione del prezzo di vendita non incontrava tra le parti i limiti dettati dall’art. 1417 c.c., nè contrastava con il divieto di cui all’art. 2722 c.c., sul rilievo che la pattuizione di celare una parte del prezzo non poteva essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto. (Cass., sez. III, 2 ottobre 1978, n. 4366; Cass., sez. II, 23 gennaio 1988, n. 526; Cass., sez. II, 24 aprile 1996, n. 3857; Cass., sez. II, 5 ottobre 1999, n. 11055).

Come si è detto il suddetto orientamento è stato definitivamente superato a partire dalla citata sentenza n. 7246 del 2007 delle Sezioni Unite, sicchè la pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto (Sez. 2, Sent. n. 3234 del 2015).

Il limite alla prova della simulazione, tuttavia, vale tra le parti del contratto ma non per i terzi in buona fede, che ai sensi dell’art. 1417 c.c., possono provare la simulazione con ogni mezzo e ai quali la simulazione non può essere opposta, ai sensi dell’art. 1415 c.c., comma 1.

Nella specie l’attrice aveva conferito mandato con rappresentanza a D.B.T. e la tesi del ricorrente secondo la quale si trattava di una procura senza mandato non ha fondamento basti pensare che al D.B. era stato conferito il compito di stabilire l’ammontare del prezzo di vendita dell’immobile.

Ciò premesso il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: il mandante, non partecipe ed ignaro dell’accordo simulatorio, il quale agisca per la dichiarazione di simulazione della quietanza, relativa all’avvenuto pagamento del prezzo, in relazione ad una vendita, posta in essere dal suo mandatario con rappresentanza, è da considerarsi “terzo”: pertanto egli può fornire la prova della simulazione “senza limiti”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1417 c.c. e, quindi, sia a mezzo di testimoni, sia a mezzo di presunzioni, dovendosi inoltre escludere che, in dipendenza della natura di confessione stragiudiziale della quietanza, possano valere, riguardo alla sua posizione, i limiti di impugnativa della confessione stabiliti dall’art. 2732 c.c., che trovano applicazione esclusivamente nei rapporti fra il mandatario e il preteso simulato acquirente (Sez. 2, Sent. n. 10743 del 2008 nello stesso senso si veda anche Sez. 3, Sent. n. 20107 del 2009).

La Corte d’Appello ha fatto applicazione del suddetto principio e la decisione è immune dalle censure sollevate dal ricorrente sul punto, anche in relazione alla posizione di D.B.M.C. che ha agito in qualità di erede di V.J. e, dunque, anch’essa in posizione di terzietà rispetto alla simulazione del prezzo.

Anche la censura relativa alla pretesa nullità del solo patto dissimulato per mancanza di forma non è fondata atteso che il suddetto accordo configura un’ipotesi di simulazione relativa parziale, sicchè qualora la controdichiarazione non abbia la forma scritta richiesta dall’art. 1414 c.c., comma 2, essa non produce effetti tra le parti ma tale inefficacia non è opponibile al terzo che è ammesso a provare la simulazione ex art. 1471 c.c. e a far valere l’effettiva pattuizione intercorsa tra i contraenti ex art. 1415 c.c..

I ricorrenti censurano anche la valutazione della prova testimoniale e degli altri elementi posti a base della decisione, in particolare con riferimento all’accertamento compiuto dalla sentenza in ordine all’accordo di simulazione del prezzo di vendita e alla mancata consapevolezza di V.J. di tale accordo.

Tali doglianze sollevate con l’ultima parte del secondo motivo e con il terzo sono inammissibili. Anche in relazione a tale aspetto la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato, facendo riferimento alla procura nella quale si dava mandato a D.B.T. di determinare il prezzo da ritenersi equo e alle testimonianze rese dai partecipanti al rogito, compreso il notaio. Le censure proposte dai ricorrenti, pertanto, si risolvono in una inammissibile richiesta di rivalutazione in fatto degli elementi probatori, attività non consentita nel giudizio di legittimità.

La valutazione della prova è attività riservata al giudice di merito sindacabile da questa Corte o per violazione di legge nel caso il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni in violazione dell’art. 2697 c.c., mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115, è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma. Perchè vi sia tale violazione il giudice del merito deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016). (Cass. S.U. n. 16598/2016).

Infine, con riferimento alla dedotta censura di erronea valutazione di prevalenza della prova per testi su quella scritta, una volta riconosciuta la qualità di terzo ed ammessa la prova per testi in relazione all’accordo simulatorio è evidente che, qualora il giudice ritenga attendibili le dichiarazioni rese circa la sussistenza di tale accordo, la prova per testi prevalga sul testo scritto che esprime una volontà simulata.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3200 di cui Euro 200 per esborsi;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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