Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2619 del 01/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 01/02/2017, (ud. 09/11/2016, dep.01/02/2017),  n. 2619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28895-2014 proposto da:

P.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato CARLO VALENTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE COZZO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

ATLAS CEMENTI S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FRANCESCO SIACCI 39, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO SINESIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato LORENZO MARIA DENTICI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 942/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 16/06/2014 R.G.N. 167/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2016 dal Consigliere Dott. MANNA ANTONIO;

udito l’Avvocato DENTICI LORENZO MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RITA SANLORENZO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 883/12 il Tribunale di Marsala rigettava la domanda di P.G., ex dirigente di Atlas Cementi S.r.l., avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli il (OMISSIS) e, in accoglimento della riconvenzionale proposta dalla società, lo condannava a risarcirle il danno per sviamento di clientela, quantificato in Euro 380.386,58.

Con sentenza depositata il 16.6.14 la Corte d’appello di Palermo riduceva il risarcimento ad Euro 291.331,09 – oltre interessi – e confermava nel resto le statuizioni di prime cure.

Per la cassazione della sentenza ricorre P.G. affidandosi a nove motivi.

Atlas Cementi S.r.l. resiste con controricorso.

Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2119 c.c., della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 2, e degli artt. 31 e 36 CCNL dirigenti aziende terziario del 23.1.08, nella parte in cui la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione di illegittimità del licenziamento per mancanza della contestuale motivazione prescritta dall’art. 36 cit., affermando il giudice d’appello che tale mancanza non era sanzionata e che, comunque, le ragioni del recesso erano state poi esplicitate con una nota del 28.12.2010: obietta il ricorrente che, avendo nell’atto introduttivo del giudizio chiesto non semplicemente l’indennità supplementare prevista dal cit. CCNL in ipotesi di licenziamento ingiustificato, ma anche l’indennità sostitutiva del preavviso spettante in caso di recesso privo di giusta causa, la sentenza è erronea perchè si è limitata a dare conto della mera sussistenza della giustificatezza del licenziamento, non anche dell’esistenza d’una giusta causa; pertanto – si conclude il motivo – in assenza di giusta causa è comunque dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso.

1.2. Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del L. n. 604 del 1966, art. 2 e dell’art. 36 cit. CCNL, nonchè vizio di motivazione apparente, avendo la sentenza impugnata sostanzialmente omesso qualunque motivazione sulla doglianza, mossa nell’atto d’appello, circa la motivazione del licenziamento, genericamente riferita ad una nota del 28.2.10 a sua volta riferita al coinvolgimento del ricorrente nel procedimento di prevenzione a carico del suocero C.R., senza considerare che l’art. 36 cit. CCNL sostanzialmente costituisce espressione della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2.

1.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e motivazione apparente, per avere la Corte territoriale ancorato il requisito della immediatezza della comunicazione del licenziamento al momento in cui la società era stata posta in amministrazione giudiziaria nel gennaio 2010, allorquando il ricorrente – genero d’un proposto a misura di prevenzione – era apparso espressione d’un assetto di interessi che l’amministrazione giudiziaria era, invece, chiamata a contrastare; la sentenza impugnata – si sostiene in ricorso – ha invece trascurato che per i medesimi fatti, posti a base del provvedimento di sequestro di beni del ricorrente emesso dal GIP il 28.4.09, l’allora consiglio di amministrazione della società aveva deciso di non procedere al licenziamento del ricorrente, non ravvisando in essi alcuna giusta causa di recesso.

1.4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 2 e 31 cit. CCNL, oltre che motivazione apparente, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il licenziamento era ascrivibile a volontà societaria e che il decreto del GIP del 28.4.09 era stato solo un atto autorizzatorio funzionale alla rimozione d’un ostacolo giuridico all’esercizio del potere di recesso: si obietta in ricorso che non vi era alcun ostacolo giuridico a tale esercizio e che in tal modo la Corte territoriale non ha risposto al senso della censura, che era quello di lamentare che il licenziamento non era riconducibile alla reale volontà della società datrice di lavoro, come desumibile dal tenore della richiesta rivolta al GIP dall’amministratore giudiziario, in cui il secondo chiedeva lumi al primo circa l’eventuale licenziamento di P.G.; nel motivo si censura, ancora, la gravata pronuncia nella parte in cui ha ritenuto che bastasse a giustificare il licenziamento l’impossibilità d’un vincolo fiduciario fra l’amministrazione giudiziaria e il genero del proposto alla misura di prevenzione (cioè il ricorrente), senza considerare che il sequestro dei beni disposto a carico del ricorrente L. n. 575 del 1965, ex art. 2 – ter, (applicato ratione temporis nel caso di specie), beni inizialmente ritenuti nella materiale disponibilità del proposto alla misura di prevenzione (cioè C.R.) era, poi, venuto meno grazie al decreto di dissequestro emesso il 21.12.11 dal Tribunale di Agrigento.

1.5. Il quinto motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 2, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha considerato che non possono costituire giusta causa di licenziamento (ai fini del riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso) le argomentazioni contenute in decreti applicativi di misure di prevenzione che non coinvolgono direttamente il lavoratore, quando da essi non emerga alcun fatto concreto che gli sia riferibile.

1.6. Doglianza sostanzialmente analoga viene fatta valere con i motivi sesto (sotto forma di denuncia di vizio di motivazione in relazione all’art. 111 Cost.), settimo (sotto forma di denuncia di vizio di motivazione e di violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 6 CEDU e dei principi di legge in materia di licenziamento disciplinare per giusta causa) e ottavo (sotto forma di denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 1175 c.c., 31 e 36 cit. CCNL e di motivazione apparente).

1.7. Con il nono motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dei principi civilistici in tema di adempimento contrattuale e dell’art. 1223 c.c., per avere la sentenza impugnata confermato la condanna del ricorrente al risarcimento del danno – sia pure riducendone l’importo – in assenza di prova dell’an e del quantum del preteso danno da sviamento di clientela, prova che non può ricavarsi dalle fatturazioni delle prestazioni rese in proprio da P.G., atteso che di tali documenti la Corte territoriale non ha chiarito il significato probatorio o l’utile netto conseguibile con l’esecuzione delle forniture in questione, costituito dalla differenza tra il prezzo pagato dai fornitori e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle forniture stesse.

2.1. Il primo e il secondo motivo sono improcedibili per un verso, inammissibili per un altro.

Risultano improcedibili nella parte in cui lamentano violazione o falsa applicazione di clausole del CCNL dirigenti aziende terziario, senza però che il ricorso ne produca il testo integrale.

Invero, per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. n. 4350/15; Cass. n. 2143/2011; Cass. 15.10.10 n. 21358; Cass. S.U. 23.9.10 n. 20075; Cass. 13.5.10 n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale della fonte convenzionale, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c..

Nè a tal fine basterebbe la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tale atto sia stato eventualmente depositato, essendo altresì necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto processuale (v., ad es., Cass. n. 27228/14), il che nel caso in esame non è avvenuto.

I due mezzi sono, poi, inammissibili non solo e non tanto per difetto di autosufficienza circa l’esatto tenore delle conclusioni contenute nel ricorso introduttivo di lite e nell’atto d’appello, quanto per il rilievo che – in sostanza si dolgono della mancata pronuncia sull’indennità sostitutiva del preavviso, mancata pronuncia che, costituendo un error in procedendo, andava denunciata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, mediante deduzione d’un vizio di nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c..

In altre parole l’impugnata sentenza, lungi dal ravvisare una giusta causa di recesso, si è limitata ad affermarne la giustificatezza, così pronunciandosi soltanto sulla domanda di attribuzione dell’indennità supplementare di cui al CCNL dirigenti aziende terziario ed omettendo, invece, di pronunciarsi su quella di corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso, che presuppone l’inesistenza d’una giusta causa.

In proposito mette conto rimarcare l’insegnamento di Cass. S.U. n. 17931/13, secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata e inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla norma citata, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.

Pertanto, ove il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o come avvenuto nel caso di specie – si limiti ad argomentare su violazioni di legge.

Nè può supporsi che con l’affermata giustificatezza del licenziamento e con il conseguente diniego dell’indennità supplementare la sentenza impugnata abbia, sia pure implicitamente, pronunciato il rigetto anche di quella sostitutiva del preavviso: ciò deve escludersi in base alla differenza concettuale (cfr., per tutte, Cass. n. 5671/12) tra i relativi presupposti – rispettivamente, ingiustificatezza e insussistenza di giusta causa -, nel senso che un licenziamento giustificato (ai fini dell’attribuzione dell’indennità supplementare) non necessariamente è assistito anche da giusta causa.

2.2. L’inammissibilità del primo e del secondo motivo in base alle considerazioni esposte nel paragrafo che precede osta anche all’accoglimento del terzo, del quinto, del sesto, del settimo e dell’ottavo motivo di ricorso, tutti relativi al mancato riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso sul presupposto dell’inesistenza d’una giusta causa di recesso ritualmente contestata.

In altre parole, tutti questi motivi presuppongono – a monte – una denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronunCia (sulla domanda di indennità sostitutiva del preavviso) che, invece, in ricorso è mancata.

2.3. Il quarto e il nono motivo vanno disattesi perchè sostanzialmente con essi si sollecita solo un diverso apprezzamento del materiale di causa con espresso riferimento a determinati documenti, id est se ne chiede una delibazione nel merito previo accesso al materiale di causa, operazione non consentita in sede di legittimità.

3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2017

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