Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26189 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. III, 06/12/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 06/12/2011), n.26189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

GEMMA DI COGHI GIORGIO & C SAS (OMISSIS), (già società Coghi

Mangimi di Coghi Giorgio, Emanuele, Marcellino & C.

S.a.s.),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AREZZO 54, presso lo studio

dell’avvocato MINDOPI FLAVIANO, che larappresenta e difende

unitamente all’avvocato VILLINI ANGELO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGRICOLA TRE VALLI SCRL (OMISSIS), in persona del Presidente

dott. I.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 197, presso lo studio dell’avvocato GALASSO ALFREDO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati BRENDOLAN STEFANO,

D’AMICO LICIA giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 356/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/02/2009; R.G.N. 1201/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato LICIA D’AMICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’inammissibilità.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.a.s. Coghi Mangimi (oggi s.a.s. Gemma di Giorgio Coghi & C.) ha notificato alla soc. coop. a r. L. Cooperativa Agricola Tre Valli – di cui era socia – decreto ingiuntivo del Tribunale di Verona, recante condanna al pagamento di L. 123.047.052, quale corrispettivo della fornitura di uova. L’ingiunta ha proposto opposizione, con domanda riconvenzionale di pagamento di L. 86.431.463, quale conguaglio dovuto dalla Coghi alla Cooperativa per la gestione 1993, nonchè di una penale di L. 55.814.400, come da Delib. 2 maggio 1994 che aveva disposto l’esclusione della Coghi dalla Cooperativa, a seguito di vari inadempimenti. Ha chiesto in subordine che, operata la compensazione fra i rispettivi crediti, la condanna di cui al decreto ingiuntivo venisse ridotta a L. 19.198.411. L’opposta ha resistito alle domande.

Il Tribunale ha ritenuto sussistente il credito di cui al decreto ingiuntivo, condannando la Cooperativa a pagare l’equivalente in Euro 63.548,50, ed il credito di Euro 44.638,13 della Cooperativa. Ha escluso l’obbligo della Coghi di pagare la penale, nonchè il suo obbligo di pagare altre due note di addebito per un totale di L. 187.093.790, perchè la domanda era stata tardivamente formulata dall’opponente solo in sede di precisazione delle conclusioni.

Proposto appello dalla Cooperativa, con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Venezia – in parziale riforma della decisione di primo grado – ha condannato la Coghi Mangimi a pagare alla Cooperativa tutte le somme da essa richieste, per l’importo complessivo di _ 125.451,61, oltre interessi, compensando le spese dell’intero giudizio. La s.a.s. Gemma (già Coghi Mangimi) propone due motivi di ricorso per cassazione.

Resiste la Cooperativa con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La Corte di appello ha condannato l’appellata a pagare la penale, poichè due testimoni hanno confermato che essa è incorsa nella violazione di obblighi statutari, avendo omesso di conferire alla Cooperativa le uova prodotte nel periodo febbraio – maggio 1994; ha accertato che l’importo della penale è stato correttamente calcolato in base ai principi stabiliti dall’art. 4 dello Statuto e dall’art. 7 del Regolamento interno della Cooperativa, e che comunque la delibera di esclusione, con l’irrogazione della penale, non è stata impugnata; che la domanda di pagamento delle due note di addebito – formulata in sede di precisazione delle conclusioni – non costituisce domanda nuova, ma mera modificazione delle domande già proposte, entro i limiti dell’originaria causa petendi.

2.- Con il primo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., la soc. Gemma assume che solo in sede di precisazione delle conclusioni la controparte ha aggiunto alle richieste di pagamento formulate con l’atto di citazione in opposizione le due note n. 1547 per L. 48.936.189 e n. 1548 per L. 138.157.601, nonchè il documento di chiusura del bilancio di esercizio del 1993, mai prima prodotti, e che la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare che si trattava di domanda nuova, avente diverso oggetto.

2.- Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366bis c.p.c., e dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il quesito è formulato in termini astratti, limitandosi a prospettare se la parte possa chiedere solo in sede di precisazione delle conclusioni “un diverso e maggiore risarcimento dei danni”, senza specificare se il maggiore importo rientri nella medesima causa petendi azionata dal danneggiato o se riguardino invece crediti derivanti da un titolo diverso da quello originariamente azionato.

Solo nel secondo caso la domanda è da considerare nuova. Nel primo caso, infatti, essa potrebbe qualificarsi come mera modificazione della domanda proposta, ove quest’ultima sia stata formulata come condanna a pagare un certo importo o la somma maggiore o minore che risulterà di giustizia. La Corte di appello ha rilevato che “l’odierna appellante si è limitata a ridisegnare la propria domanda nei limiti dell’originaria causa petendi, inserendo in essa un particolare credito (quello derivante dallo storno del bilancio 1993) con la documentazione necessaria. Non va dimenticato che il meccanismo di funzionamento della Cooperativa prevede che ai soci venga versato il dovuto sotto forma di acconti, salvo conguaglio all’approvazione del bilancio”; nel caso in esame essa ha per l’appunto aggiunto agli importi originariamente richiesti quelli ulteriormente accertati a seguito della definitiva approvazione del bilancio.

La Corte di appello ha ritenuto, cioè, che sia le note di addebito originariamente prodotte, sia quelle prodotte dopo la notificazione dell’atto di opposizione, riguardino crediti derivanti dal medesimo titolo.

Per poter invocare la violazione del divieto di introdurre domande nuove la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che le note di addebito riguardavano somme diverse da quelle dovute a titolo di ristorni negativi.

A tale scopo avrebbe dovuto produrre in questa sede la relativa documentazione, o richiamare quella prodotta nei gradi di merito, indicando come sia contrassegnata e reperibile fra gli atti di causa, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6 con riguardo ad atti e documenti sui quali il ricorso si fonda.

In particolare, avrebbe dovuto richiamare l’atto di citazione in opposizione, contenete le domande proposte dall’opponente; la memoria o il verbale di precisazione delle conclusioni, contenente le domande asseritamente nuove; i documenti illustrativi delle domande iniziali e quelli relativi alla domanda tardiva, sì da consentire a questa Corte di verificare la fondatezza delle censure, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, così come regolato dal nuovo art. 366 n. 6 cod. proc. civ. (cfr. (Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav, 7 febbraio 2011 n. 2966, fra le tante).

In mancanza, il motivo di ricorso è inammissibile.

3.- Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 1384 cod. civ. e vizi di motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto sussistere l’inadempimento sulla base delle sole testimonianze acquisite al giudizio, senza considerare che essa ha omesso di conferire le uova alla Cooperativa poichè ne aveva cessato la produzione. Assume di non avere sottoscritto la clausola penale, che pertanto non poteva essere posta a base della sua condanna al pagamento, ed afferma che la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio che la penale era manifestamente eccessiva e ridurne l’importo.

3.1.- Il motivo è inammissibile sotto più aspetti.

In primo luogo perchè censura la valutazione delle risultanze istruttorie e del merito della controversia ad opera della Corte di appello, senza indicare da quali documenti, testimonianze o prove risulterebbero le circostanze di fatto da essa affermate, sì da dimostrare l’inadeguatezza della motivazione.

La resistente afferma che la mancata accettazione della clausola penale non è mai stata eccepita nel giudizio di merito e che la ricorrente non specifica quando e come l’avrebbe proposta. Neppure specifica da quali elementi di prova risultino le altre affermazioni da essa formulate circa l’insussistenza dell’inadempimento e l’eccessività della penale, che la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare.

Se è vero che il giudice può ridurre anche di ufficio la penale manifestamente eccessiva, è pur sempre indispensabile che la parte interessata prospetti al giudice, e documenti, i presupposti di fatto per l’esercizio di un tale potere. Tali documentazioni e prove debbono essere richiamate nel ricorso, al fine di dimostrare l’illogicità o l’insufficienza della motivazione che si assume averle disattese.

Il motivo di ricorso è del tutto carente sotto questo profilo ed è quindi inammissibile.

5.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 3.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.400,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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