Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26185 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

su ricorso 28365-2014 proposto da:

COMUNE MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio

dell’avvocato I.R., che lo rappresenta difende unitamente

avvocati MANDARANO ANTONELLO, PAVIN ANNA MARIA, MERONI RUGERO, IRMA

MARINELLI;

– ricorrente –

contro

SVILUPPO INIZIATIVE POPOLARI E RECUPERO EDILIZIO CASA SOC. COOP SPA,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA GIOANNI NICOTERA 31, presso lo

studio dell’avvocato ASTORE FRANCESCO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MORANO DOMENICO ANTCNIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1776/2014 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 07/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/05/2019 dal Consigliere Dott. D’OVIDIO PAOLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con ricorso alla C.T.P. di Milano la Sviluppo Iniziative Popolari e Recupero Edilizio Casa Soc. Coop. s.p.a. impugnava una cartella di pagamento con la quale il Comune di Milano aveva richiesto il pagamento di ICI, per area fabbricabile, relativa agli anni 2005 e 2006;

– la contribuente deduceva la decadenza e la prescrizione del diritto del Comune a richiedere il pagamento per omessa notifica nei termini degli avvisi di accertamento e per la tardiva notifica della cartella in questione; inoltre, riteneva che l’imposta effettivamente dovuta era di gran lunga inferiore a quanto richiesto poichè parte del terreno era stato ceduto al Comune;

– il Comune di Milano si costituiva insistendo nella propria richiesta;

– anche Equitalia Sestri s.p.a. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso e, comunque, la declaratoria del proprio difetto di legittimazione passiva;

– con sentenza n. 101/40/2012 la C.T.P. di Milano annullava integralmente la cartella esattoriale per non essere stati ricevuti dalla società ricorrente gli avvisi di accertamento e per essere la detta cartella affetta da vizi propri, avendo preso in considerazione l’intera area senza tener conto della porzione ceduta al Comune di Milano;

– avverso tale sentenza interponeva appello il Comune di Milano ribadendo sia la validità della notifica degli avvisi di accertamento, effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., che la correttezza del calcolo del valore dell’area;

– si costituiva l’appellata società insistendo per la nullità della notifica degli avvisi di accertamento e, comunque, disconoscendo la firma apposta sugli stessi, prodotti dalla controparte solo in grado di appello; nel merito ribadiva l’erroneità dei calcoli sulla base dei quali era stata emessa la cartella;

– si costituiva anche Equitalia, chiedendo la riforma della sentenza impugnata e la conferma della cartella di pagamento in adesione all’appello del Comune e, in via subordinata, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva;

– con sentenza n. 1776/2014, depositata il 7.4.2014 e non notificata, la Commissione Tributaria regionale di Milano confermava la decisione di primo grado ed annullava le cartelle impugnate, attesa l’invalidità della notificazione dei prodromici avvisi di accertamento, compensando tra le parti le spese di lite;

– avverso tale sentenza il Comune di Milano propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

– la contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo articolato motivo di ricorso viene dedotta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 140 e 145 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 3 e art. 160 c.p.c. in relazione alla ritenuta inesistenza/nullità della notifica, e degli artt. 216,217,218 e 220 c.p.c. in relazione alla procedura di verifica della sottoscrizione del legale rappresentante, e degli artt. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2-bis. Omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)”.

Il ricorrente contesta la sentenza impugnata sotto diversi profili, dei quali tre riconducibili a violazioni di legge ed uno a vizio di motivazione.

In particolare, con il primo profilo di censura sostiene la regolarità della notifica, eseguita ex art. 140 c.p.c., degli avvisi di accertamento presupposti dalla cartella impugnata e, conseguentemente, l’erroneità della affermazione contenuta nella sentenza della CTR di Milano secondo cui, ai sensi del combinato disposto degli artt. 145 c.p.c., comma 3, e art. 140 c.p.c., la procedura di notifica alla persona giuridica può essere effettuata ex art. 140 c.p.c. “solo se sussiste l’inesistena della sede o il rifiuto dell’addetto a ricevere l’atto”, dovendo invece, ad avviso del ricorrente, ritenersi ammesso il ricorso a tale procedura in tutte le ipotesi di “irreperibilità o rifiuto di ricevere l’atto”. In ogni caso, prosegue l’illustrazione del motivo, la notifica a mani proprie del legale rappresentante, come avvenuta nella specie, deve considerarsi valida, ovunque tale soggetto sia stato trovato.

Da tale rilievo discende il secondo profilo di censura secondo il quale, alla luce del disconoscimento della firma da parte del legale rappresentante della società contribuente, e del deposito da parte del Comune di Milano degli originali delle cartoline r.r., la CTR avrebbe dovuto provvedere alla verifica dell’autenticità della firma ai sensi degli artt. 216 c.p.c., e ss..

Si sostiene, inoltre, che la CTR avrebbe statuito la nullità e/o inesistenza della notifica degli avvisi e, a cascata, anche la nullità degli stessi avvisi di accertamento in violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto tale questione non era stata neppure eccepita dalla controparte.

Infine, la CTR, oltre a violare le norme richiamate nel motivo, avrebbe omesso di esaminare il fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, relativo all’autenticità della firma del legale rappresentante della società.

1.1. La prima censura in cui si articola il motivo è infondata, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, nel modo che segue.

E’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l’art. 145 c.p.c. (nel testo novellato dalla L. n. 263 del 2005, applicabile alla fattispecie per cui è causa) prevede, sì, espressamente, con riguardo alla persona giuridica e all’ente non personificato, la notificazione ex art. 140 c.p.c., ma tale forma notificatoria – operante solo nel caso in cui sia impedita la notificazione presso la sede della società, o presso il legale rappresentante, ai sensi degli artt. 138,139 e 141 c.p.c. – non può attuarsi nei confronti dell’ente in quanto tale. Infatti, il vano esperimento delle forme previste dall’art. 145 c.p.c., commi 1 e 2, per la notificazione degli atti processuali alle persone giuridiche consente l’utilizzazione delle forme previste dagli artt. 140 e 143 c.p.c. purchè la notifica sia fatta alla persona fisica che rappresenta l’ente e non già all’ente in forma impersonale (Cass., sez. 1, 30/01/2017, n. 2232, Rv. 643510 – 01; Cass., sez. 1, 7/6/2012, n. 9237, Rv. 622720 – 01; Cass., sez. 6-1, 13/9/2011, n. 18762, Rv. 619293 – 01; v. anche Cass. sez. 1, 16/03/2018, n. 6654, Rv. 648138 – 01, in motivazione).

Nel caso in esame, invece, risulta che l’atto è stato notificato, secondo le modalità dell’art. 140 c.p.c., alla società e non alla persona fisica che ne aveva la rappresentanza: dalla relata trascritta all’interno del ricorso (p. 3), si ricava, infatti, che l’atto stesso doveva essere notificato a “Svil. Iniz. Pop e Rec. Edilizio Casa Istituto”, e che la notifica era stata poi effettuata a quest’ultima ai sensi dell’art. 140 c.p.c. per irreperibilità del destinatario e per assenza di persone abilitate a riceverlo, inviando conseguentemente le raccomandate informative impersonalmente a detta società nella sede legale in (OMISSIS) (v. raccomandate riprodotte a p. 4 del ricorso).

La notificazione in questione è pertanto da ritenere effettivamente nulla, ma ciò in applicazione del principio sopra enunciato e non, come invece ritenuto nella sentenza impugnata, per l’inapplicabilità dell’art. 140 c.p.c. conseguente alla circostanza che la società risultava “esistente”, e dunque, “reperibile presso la sede sociale”.

1.2. Il ricorrente sostiene, inoltre, che le notifiche di cui si discorre dovrebbero essere ritenute in ogni caso valide perchè le raccomandate informative inviate ex art. 140 c.p.c. risultano sottoscritte dal legale rappresentante della società (ancorchè con firma disconosciuta dalla controparte, questione che attiene all’ulteriore profilo del motivo).

Tale assunto non è condivisibile, non potendo nella specie trovare applicazione il principio, invocato dal ricorrente, secondo il quale la notifica ad una persona giuridica, ove venga eseguita “a mani proprie” del legale rappresentante, deve considerarsi validamente effettuata, in virtù sia del principio della validità della notifica a mani proprie del destinatario, fissato dall’art. 138 c.p.c. in riferimento alle persone fisiche ma estensibile anche alle persone giuridiche, sia del principio di immedesimazione organica tra la società e le persone che la rappresentano (Cass., sez. 2, 28/02/2007, n. 4785, Rv. 596266 – 01).

Ciò in quanto, anche prescindendo dal disconoscimento delle firme e considerando le stesse effettivamente riconducibili al legale rappresentante della società resistente, nella specie non si è in presenza di una notifica effettuata a “mani proprie” del legale rappresentante, non avendo quest’ultimo ricevuto in consegna alcuna copia dell’atto notificando ma solo una raccomandata informativa dell’avvenuto deposito ex art. 140 c.p.c. Anzi, non solo nella specie non risulta eseguita alcuna notifica nelle mani del legale rappresentante ex art. 138 c.p.c., ma nei confronti di quest’ultimo non si è neppure perfezionata una notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., atteso che solo uno degli adempimenti richiesti per il perfezionamento di tale procedimento notificatorio lo ha raggiunto (quale ricevente la raccomandata di deposito degli avvisi ex art. 140 c.p.c., e non quale diretto destinatario), mentre gli altri adempimenti (deposito dell’atto e affissione dell’avviso) sono stati eseguiti esclusivamente nei confronti della società impersonalmente considerata.

1.3. Le considerazioni che precedono assorbono le ulteriori due censure in cui si articola il motivo, relative alla violazione dell’art. 216 c.p.c. e ss. – per non aver la CTR proceduto alla verifica dell’autenticità della firma del legale rappresentante della società contribuente, nonostante l’implicita proposizione dell’istanza di verificazione da parte del Comune, desumibile dal deposito delle cartoline R.R. con le firme in originale – e all’omesso esame del fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, relativo all’autenticità di tali firme. Le censure in questione, infatti, si fondano sul presupposto che, se le firme fossero riconosciute autentiche, la notifica dovrebbe considerarsi valida in quanto eseguita a mani proprie del legale rappresentante della società, ma, per quanto sopra rilevato, tale presupposto è infondato e le notifiche di cui si discorre devono pertanto ritenersi nulle indipendentemente dalla autenticità o meno delle firme apposte dal legale rappresentante sulle cartoline R.R. degli avvisi di deposito ex art. 140 c.p.c..

1.4. Con l’ultimo profilo in cui si articola il primo motivo di ricorso il Comune di Milano sostiene che la CTR non avrebbe potuto statuire la “nullità e/o inesistenza della notifica degli avvisi, e addirittura, a cascata, anche la nullità inesistena degli stessi avvisi di accertamento in violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto neppure eccepita dalla controparte, ed in evidente contrasto con l’articolata motivazione degli accertamenti …”.

Anche tale doglianza è infondata.

Come emerge dalla narrativa della sentenza impugnata e come riferito dallo stesso ricorrente (p. 5 del ricorso), sin dall’atto introduttivo del giudizio la società contribuente ha eccepito “la decadenza e la prescrizione del Comune di Milano di esigere il pagamento delle somme richieste sia per difetto di regolare notifica dell’avviso di accertamento e/o liquidazione sia …”.

Risulta pertanto che la domanda circa l’accertamento della invalidità (e dunque della nullità e/o inesistenza) della notifica degli avvisi in questione era stata proposta come ragione fondante l’impugnazione della cartella di cui è causa, con conseguente insussistenza della dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. Dall’esito positivo di tale accertamento, poi, la CTR, ancorchè abbia impropriamente affermato la nullità e/o inesistenza dei detti avvisi di accertamento (anzichè della loro notifica), ha tuttavia esattamente ritenuto la nullità dell’atto consequenziale notificato (i.e.: la cartella di pagamento impugnata), così facendo corretta applicazione del consolidato principio secondo il quale l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato (Cass., sez. 6-5, 02/02/2012, n. 1532, Rv. 621546 – 01; Cass., sez. 5, 28/04/2017, n. 10528, Rv. 644101 01).

2. Con il secondo motivo di ricorso viene prospettata la “violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. a) e d) e comma 3, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, dell’art. 112, c.p.c., del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2-bis, e dei principi applicabili al processo tributario (art. 360 c.p.c., comma 1)”.

Deduce in proposito il ricorrente che la CTR sarebbe dovuta andare oltre la questione relativa all’asserita irregolarità della notifica degli accertamenti, in ragione del fatto che l’eventuale irregolarità o nullità di tale notifica poteva comunque ritenersi sanata ex art. 156 c.p.c., avendo la contribuente, con la propria impugnazione, dimostrato di conoscere il contenuto degli accertamenti stessi.

Inoltre, sotto diverso profilo, si assume che la pronuncia impugnata avrebbe erroneamente omesso di pronunciarsi sul merito della questione, pur avendo la contribuente scelto, sin dall’atto introduttivo, di far valere, oltre alla mancata notifica degli atti presupposti, anche i vizi che, secondo la sua tesi, avevano inficiato questi ultimi, risultando così violate le norme richiamate nell’intitolazione del motivo; ciò tenendo conto che contrariamente a quanto affermato dalla contribuente, la cartella esattoriale di cui è causa era tempestiva, in quanto notificata in data 31/5/200’11, ovvero entro il termine previsto dalla L. 296 del 2006, art. 1, comma 161, scadente, rispettivamente, il 31/12/2011 (per l’anno d’imposta 2005) ed il 31/12/2012 (per l’anno d’imposta 2006).

2.1. Il motivo è inammissibile, e comunque infondato con riguardo ad entrambi i profili in cui è articolato.

In relazione alla dedotta sanatoria ex art. 156 c.p.c., deve darsi continuità al principio, già affermato da questa Corte, secondo il quale la nullità della notificazione dell’atto impositivo è sanata, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per effetto del raggiungimento del suo scopo, ma tale effetto, postulando che alla notifica invalida sia comunque seguita la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, può desumersi dalla tempestiva impugnazione, ad opera di quest’ultimo, dell’atto invalidamente notificato, e non certo dalla impugnazione di un atto diverso che trovi nella definitività del primo solo il suo presupposto. Ne deriva che nel caso in esame non può farsi discendere dalla impugnazione della cartella di cui è causa la sanatoria dei presupposti avvisi di accertamento non regolarmente notificati (Cass., sez. 5, 22/01/2014, n. 1238, Rv. 629468 – 01; v. anche, per un analogo caso in cui è stata esclusa la idoneità della impugnazione della cartella esattoriale, emessa per la riscossione dell’importo risultante da un avviso di accertamento, a sanare la nullità della notifica di quest’ultimo atto, Cass., sez. 5, 12/07/2006, n. 15849, Rv. 592038 – 01).

2.2. Con riguardo alla questione della asserita contestuale impugnazione, da parte della contribuente, sia dell’atto presupposto (l’avviso di accertamento) che dell’atto successivo (cartella di pagamento), con conseguente necessità che la CTR si pronunciasse anche nel merito, si osserva quanto segue.

Va premesso che, come chiarito da questa Corte, poichè la nullità dell’atto consequenziale per l’omessa notifica dell’atto presupposto può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (nella specie, la cartella di pagamento), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nella specie, gli avvisi di accertamento) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo per contestare radicalmente la pretesa tributaria, spetta al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa (Cass., SU, Cass., 4/03/2008, n. 5791, Rv. 602254 – 01; Cass., sez. 5, 18/01/2018, n. 1144, Rv. 646699 – 01).

Deve altresì precisarsi che nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale; nel secondo caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass., sez. 6-5, 21/12/2017, n. 30684, Rv. 651523 – 01).

Ciò premesso, nella specie non è chiaro se il ricorrente abbia inteso denunciare un vizio di interpretazione della domanda proposta (come sembra desumersi dalla doglianza secondo la quale la CTR “nulla ha espresso sul merito della questione e sulla scelta effettuata dalla SIPRE ipa”: v. pag. 18 del ricorso), ovvero di omessa pronuncia (con conseguente violazione del principio tra chiesto e pronunciato “sulla domanda svolta nell’atto introduttivo del giudizio, avente ad oggetto l’accertamento del valore dell’area fabbricabile …”: v. p. 19 del ricorso).

In entrambi i casi la doglianza è inammissibile, prima ancora che infondata.

Infatti, la verifica della scelta compiuta dal contribuente, implicando l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto, integra un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, con la conseguenza che in sede di legittimità può essere effettuato solo il controllo della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass., sez. 6-5, 21/12/2017, n. 30684, Rv. 651523 – 01). Tale controllo, a seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alle sentenze pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012, e dunque anche alla sentenza impugnata con l’odierno ricorso, depositata il 7 aprile 2014 -, può tuttavia investire esclusivamente l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale sussiste nelle sole ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828 – 01), al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia, riconducibile al vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella specie il ricorrente non ha invocato nessuno di tali vizi (art. 360 c.p.c., nn. 4 e/o 5), essendosi limitato ad argomentare sulla dedotta violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3). Di qui l’inammissibilità del motivo se inteso sotto tali profili. Peraltro, va rilevato che la sentenza di primo grado aveva espressamente motivato anche nel merito, implicitamente ma inequivocabilmente interpretando la domanda siccome rivolta esclusivamente nei confronti della cartella anche sotto il profilo del merito, laddove ha affermato che “tenuto conto che la cartella esattoriale prende in consideraione l’intera area, quindi la stessa, per come è redatta, contiene vizi propri, che sono stati tempestivamente rilevati dalla ricorrente medesima” (v. motivazione della sentenza di primo grado trascritta a p. 6 del ricorso). Tale statuizione non risulta essere stata impugnata, non avendo il ricorrente neppure affermato di aver proposto alcun motivo di gravame sul punto, sicchè la questione interpretativa non risulta aver costituito un “fatto controverso” tra le parti, circostanza che era invece onere del ricorrente affermare e che, peraltro, è stata negata dalla controricorrente.

Analogamente, nel caso in cui la censura in discorso debba essere intesa siccome rivolta a lamentare l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande proposte (i.e. quella relativa al merito della pretesa), la stessa avrebbe dovuto essere dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., e, ai fini dell’ammissibilità, pur non essendo indispensabile l’esplicita menzione di tale fattispecie, era comunque necessario un univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione; ne consegue l’inammissibilità il gravame volto a censure, come nella specie, la sentenza impugnata sostenendo che la motivazione è mancante o limitandosi ad argomentare sulla violazione di legge. (Cass., sez. 2, 7/05/2018, n. 10862, Rv. 648018 – 01).

Peraltro, la doglianza è comunque infondata, atteso che, per quanto sopra evidenziato con riferimento al contenuto della sentenza di primo grado ed alla mancata impugnazione della statuizione riferita ai “vizi propri” della cartella, non è ravvisabile alcuna omessa pronuncia in relazione ai motivi di gravame proposti.

3. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e del principio di non contestazione, e dei principi relativi alla competena delle commissioni tributarie (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Assume il ricorrente che, poichè la contribuente non ha contestato di non aver denunciato l’area ai fini ICI nè di aver pagato alcunchè a titolo di imposta, ed ha conteggiato essa stessa l’ICI dovuta, il giudice del merito avrebbe dovuto riconoscere a carico della società quantomeno il debito d’imposta nell’importo dalla stessa riconosciuto, e ciò ai sensi dell’art. 115 c.p.c. e dei principi vigenti nel processo tributario, che, come precisato dalla giurisprudenza, non è giurisdizione di annullamento, ma di merito, diretta cioè non semplicemente alla verifica della legittimità degli atti impositivi, ma all’accertamento della fondatezza della pretesa tributaria.

3.1. Il motivo è inammissibile con riferimento al primo profilo (violazione dell’art. 115 c.p.c.) ed infondato con riguardo alla asserita violazione dei principi che governano il processo tributario.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., va rilevato che tale norma (così come quella di cui al successivo art. 116 c.p.c.) trova il suo fondamento nel principio del libero convincimento del giudice e, pertanto, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle relative regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e neppure una violazione di legge, riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 3, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012. (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828 – 02).

Avendo il ricorrente argomentato solo sotto il profilo della violazione di legge, senza neppure indicare la ricorrenza dei presupposti di un vizio motivazionale, ed in particolare sul se ed in che termini il “fatto” non considerato sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti, tale profilo di censura risulta inammissibile.

Con riferimento alla censura relativa alla natura del processo tributario, che secondo il ricorrente consentirebbe di entrare nel merito della pretesa impositiva, eventualmente anche modificandone i valori, la stessa non è pertinente nel caso in esame, in cui la controversia in grado di appello è stata definita esclusivamente ed in via assorbente sulla base del rilievo di un vizio di natura procedurale (mancata notifica dell’atto presupposto). Se è vero, infatti, che le Commissioni Tributarie hanno un potere di estimazione in forza del quale non sono affatto obbligate a confermare od annullare “in toto” l’avviso di accertamento, ma possono anche ritoccare i valori indicati dall’amministrazione, nel caso in cui gli stessi abbiano finito con il risultare errati od indimostrati, è altresì vero che tale potere sussiste nell’ipotesi in cui debba essere esaminata una domanda attinente all'”an” della pretesa impositiva contenuta nell’avviso e non alla regolarità della procedura che ha portato all’emissione dell’atto consequenziale (Cass., sez. 5, 26/08/2002, n. 12515, Rv. 557086 – 01), atteso che, in quest’ultimo caso, una volta riscontrata l’invalidità dell’atto impositivo per vizi formali, non residua spazio di valutazione sulla congruità del valore preteso dall’amministrazione (v. Cass., sez. 6-5, 15/10/2018, n. 25629, Rv. 651106 – 01).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Poichè il presente ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare alla controparte le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

Così deciso in Roma, dalla 5 sezione civile della Corte di Cassazione, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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